È tempo di intervenire per fermare il massacro

Continua l’avanzata delle forze fautrici di un nuovo califfato dell’Isis (o Is). Centomila cristiani in fuga. Una tragedia umanitaria. L’appello del papa e la decisione di Obama
Iraq

Purtroppo le previsioni di peggioramento della situazione nel Nord dell’Iraq si sono puntualmente verificate. Di fronte alla resistenza blanda e non convinta dell’esercito iracheno, nella consueta latitanza della comunità internazionale, si sta compiendo una delle più gravi tragedie umanitarie conosciute dal Paese del Tigri e dell’Eufrate.

La convivenza pacifica tra religioni è purtroppo ormai uno sbiadito ricordo della stagione della dittatura, mentre la pax americana esportata da George W. Bush non ha portato quella democrazia che veniva auspicata. Al contrario, siamo di fronte ad una ulteriore divisione in campo musulmano, con il trionfo, per il momento, del progetto di Gran califfato portato avanti dall’Isis e dal suo capo al-Baghdadi.

I 100 mila cristiani rimasti in Iraq, confinati in una zona del Paese sempre più esigua al confine con il Kurdistan, per la conquista dapprima di Mosul e ora anche di Qaraqosh da parte dei militanti dell’Isil, stanno rischiando lo sterminio. Sono rifugiati dalle parti di Erbil. Le vessazioni continuano contro di loro, ma anche contro tutti coloro che non sono di stretta osservanza sunnita, compresi gli sciiti e la setta musulmana degli yaziti.

ll papa ha lanciato un forte appello alla comunità internazionale, così riassunto in un tweet: «Chiedo a tutti gli uomini di buona volontà di unirsi alle mie preghiere per i cristiani iracheni e per tutte le comunità perseguitate». Mentre Obama ha finalmente deciso di autorizzare bombardamenti mirati delle postazioni dell’Isil. Colpiscono queste due “armi”: quella della preghiera, invocata dal papa, e quella dei bombardamenti, concessa da Obama.

Quale la più efficace? Parrebbe ovvio che la seconda sia più efficace, ma viene da chiedersi se ciò sia vero, dopo che tante guerre nella regione partite nello stesso modo sono poi andate a finire male e da “chirurgiche” che erano si sono trasformate in devastanti conflitti di terra. Il presidente Usa giura che questi bombardamenti non avranno come conseguenza un nuovo dispiegamento di forze sul terreno. Si vedrà.

Chi fa parte dell’Isis? C’è di tutto e di più: dai mercenari venuti da altrove ai jihadisti di ogni parte del mondo, anche della nostra Europa, dai rivoltosi siriani che, non riuscendo a scalzare Assad, di sono trasferiti in Iraq, ai tanti, tantissimi ex-membri dell’esercito di Saddam (un milione e mezzo di uomini) che da un giorno all’altro, nel 2003, si sono ritrovati senza un lavoro e senza una casa.

L’intelligenza degli invasori ha commesso l’errore imperdonabile di non cambiare le mostrine al vecchio esercito e di trasformarlo nelle forze di difesa del nuovo Iraq, col risultato di avere una massa di persone senza arte né parte in un Paese scosso da continui attentati e sommovimenti etnici.

Il 21 luglio scorso, così si esprimeva il vescovo Warduni, ausiliare dei caldei a Baghdad, in un’intervista concessa al nostro Aurelio Molè: «Dobbiamo capire cosa fare per il futuro di gente che ha perso tutto, per vedere come fare per recuperare i documenti che gli hanno sequestrato i terroristi dell’Isis. Soprattutto per smuovere la coscienza assopita del mondo. Cosa ha fatto l’Europa? Cosa fanno gli Stati Uniti? Abbiamo solo ricevuto una lettera molto bella dai vescovi americani. Abbiamo diritto a vivere, è un diritto umano, siamo in questa terra da tanti anni. I terroristi dell’Isis sono gente senza coscienza, senza religione, non hanno niente a che fare con l’Islam. Sanno bene che noi, come cristiani, difendiamo la nostra nazione».

Un appello che ci sentiamo di far nostro. La comunità internazionale deve muoversi, non può stare con le mani in mano. Non si può lasciare agli Usa il monopolio delle risposte, che sarebbero comunque di parte.

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