è stato adottato bisogna dirglielo?

Da un mese abbiamo adottato Manuel, un bellissimo bambino di 15 mesi. Ci poniamo alcune domande: avendolo adottato così piccolino, è giusto dirglielo? In che modo? E poi, essendo scuro di carnagione, come si inserirà con gli altri? E poi, riusciremo a rispettare le sue inclinazioni naturali?. Mauro e Francesca Viterbo Epoi, e poi… Quante domande ci poniamo come genitori! Il timore di sbagliare ci accompagna sempre. Forse, ciò sta a indicare una verità fondamentale, ossia che i figli (naturali o adottati) non sono nostri e non ci appartengono, ma ci sono affidati e proprio per questo dobbiamo averne la massima cura. Però, stiamo sereni perché se amiamo e le nostre intenzioni sono rivolte al bene tollerando anche gli eventuali nostri errori, allora possiamo essere sicuri che tutto andrà per il meglio. Vi ringrazio delle vostre domande perché mi danno la possibilità di parlare un po’ dell’adozione. Essa è una realtà bellissima ed importante che testimonia il valore della famiglia come contesto vitale per ciascun bambino. Ciò che è importante per voi è quello di essere una vera famiglia, in grado di comprendere i bisogni e le necessità del figlio: la famiglia perfetta non esiste (penso che sarebbe anche un po’ noiosa!). Esiste la famiglia umana, con la sua storia e le sue risorse. E allora cosa dire, cosa fare? Anche se i compiti di tutte le famiglie sono gli stessi, le adozioni non sono tutte uguali. Si possono adottare neonati, bambini piccoli in età prescolare (come il caso del nostro piccolo Manuel), bambini già in età scolare o addirittura adolescenti; bambini italiani, europei, di altri continenti con culture e tradizioni diverse. Inoltre, è opportuno tener conto che i genitori biologici possono essere morti o viventi, si possono contattare oppure no. Infine, bisogna avere presente che i bambini possono ricordarsi dei loro primi genitori ed anche dei loro primi anni di vita, oppure non avere alcun ricordo. Nonostante ogni realtà sia diversa, ciò che importa è come il bambino riesca ad accettare e ad integrare nella sua vita l’adozione, considerandola come un evento coerente della sua storia. Proprio per questo motivo, bisogna sempre dire al bambino la verità. Certo le parole da usare debbono essere semplici e rispettose del suo livello emotivo e affettivo e soprattutto, dopo aver detto al bambino la verità possibile (non è sempre necessario comunicare tutti i particolari), non bisogna mai fare domande dirette per verificare se ha capito. Sarà il bambino stesso a chiedere ciò che gli serve. E se non chiede, significa che va bene così, che quanto è stato detto è sufficiente. Generalmente occorre comunicare subito al bambino che è stato adottato e, per bambini così piccoli come Manuel, ciò sarà per lui un’informazione che riceve insieme a tante altre. Man mano che crescerà incomincerà a rendersi conto del colore della sua pelle e porrà domande specifiche, alle quali occorrerà rispondere con verità e semplicità. L’importante è la serenità degli adulti: Se si è tranquilli nel rivelare la verità e nel rispondere alle domande che inevitabilmente seguiranno, ciò si trasmetterà al bambino, che accetterà la sua condizione come un dato di fatto, una realtà fra le tante altre della vita. anno detto A proposito delle parole da dire, la psicologa infantile Anna Oliverio Ferraris scrive: La scelta delle parole è significativa. Se, per esempio stiamo parlando della madre biologica, è meglio evitare di indicarla come la tua vera mamma perché questo può indurre a pensare che i genitori adottivi non sono dei veri genitori. Con i più grandicelli si può dire la prima mamma. Con i più piccoli la mamma-pancia o qualcosa del genere. Leggere o raccontare una storiella simpatica su un bimbo o una bimba adottata è una strategia efficace per introdurre il racconto della adozione. (Anna Oliverio Ferraris, Le parole dei bambini, Rizzoli). acetiezio@iol.it

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