Utero in affitto, capiamoci meglio

Riceviamo e pubblichiamo una lettera stimolata dalla recente approvazione della norma che estende la punibilità della maternità surrogata anche ai casi avvenuti all'estero.
manifestazioni di femministe in Messico contro la legge che legittima l'utero in affitto EPA/Isaac Esquivel

Il 16 ottobre scorso il Senato ha approvato il disegno di legge n. 824 di modifica dell’articolo 12 (di quel che resta) della legge 40 del 2004.

Il disegno di legge, con un solo articolo, estende semplicemente le sanzioni previste dalla legge italiana a “fatti” di maternità surrogata vietati in Italia e compiuti all’estero da cittadini italiani. Si parla tutti i giorni di “utero in affitto”, si agitano le polemiche, si acuisce lo scontro, ma non si entra mai nel merito della questione.

Lo fa Città Nuova con l’articolo di Adriana Cosseddu che cita gli interessi del del nascituro, come persona, e la gestazione per altri di tipo “solidale”.

Il solo fatto di portare in grembo un bambino concepito da altri non pare di per sé una cosa necessariamente immorale. Donare una “funzione” del proprio organismo, come donare un organo del proprio organismo, non è intrinsecamente contrario all’etica (come chiarisce Adriana Cosseddu).

È il carattere lucrativo, mercenario, di questa azione ad essere riprovevole, perché trasforma la “donazione” in una “vendita”; aliena la categoria del dono e la riduce a volgare scambio.

Nancy Hauck, Julia Navarro, Lisa Rutherford sono i primi nomi che trovate sul web di nonne che per amore hanno portato in grembo la gravidanza di una figlia o di una nuora fisicamente impossibilitate a farlo.  L’hanno fatto per amore dei figli, della famiglia, e nessuno eccepisce nulla sulla moralità di questo atto; qualcuno anzi considera il carattere addirittura eroico, di una gravidanza per altri (Gpa) “solidale” portata per amore e per puro spirito di donazione.

Da oggi in Italia si parlerà al passato di utero in affitto?

Nei Paesi dove la maternità surrogata non è illegale proliferano agenzie che organizzano a pagamento la maternità surrogata lucrando pesantemente e sfruttando peraltro o ricattando economicamente donne povere disposte o costrette per bisogno a portare in grembo un bambino altrui. Gran parte di queste agenzie ed anche alcune cliniche appartengono ad una società multinazionale con sede a Miami.

Accedere a un pacchetto di Gpa negli USA costa tra 120 e 140 mila euro, come costo base. In Grecia si parte da 66.900 euro, in Georgia da 47.200 euro e in Albania da 61.900. Il pacchetto più economico è quello ucraino, che partirebbe da “solo” 43.000.

È noto come alla madre surrogata, motivata in genere da pure necessità economiche, vada solo una piccola quota dell’ingente somma che l’agenzia incassa.

È dunque per questo che la maternità surrogata mercenaria è considerata con sdegno ed è messa al bando dalla legge di molti paesi tra cui il nostro. Secondo la sentenza 272/2017 della Corte Costituzionale italiana, infatti, la pratica offende in modo intollerabile “la dignità della donna”, “mina nel profondo le relazioni umane” ed impone di tutelare “l’interesse del minore”.

Anche l’Alta Corte del nostro Paese, come la legge 40 del 2004, per maternità surrogata, pare intendere solo la gestazione per altri di tipo mercenario e non contempla il caso di una possibile maternità surrogata “solidale”.

A ricorrere alla maternità surrogata sono (erano?) per il 70% coppie eterosessuali non in grado di portare a termine una gravidanza; il 30% sono (erano?) single e coppie omosessuali.

Tralasciamo qui altri problemi etici legati alla procreazione medicalmente assistita (PMA), alle adozioni eccetera.

È giusto insomma capire meglio di cosa parliamo quando diciamo “utero in affitto”; sarebbe ora di distinguere, e non chiamare con lo stesso nome e punire con la stessa pena, un generoso atto di donazione ed un odioso, riprovevole e lucroso business sulla pelle delle persone.

Roberto di Pietro

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