E se la diagnosi è sbagliata?

La testimonianza di Martina, mamma di un bimbo con patologia rara. Non basta un po’ di timidezza per essere definiti autostici
autismo

Con la legge sull’autismo da oggi in ogni parte d’Italia si potranno ricevere gli stessi interventi, a carico del Sistema sanitario nazionale perché inseriti nei Lea (livelli essenziali di assistenza). In questo c’è un solo rischio, che i neuropsichiatri siano propensi a definire autistici “bambini con problemi” non facilmente decifrabili.

 

Martina (nome di fantasia per tutelare la privacy), mamma di un bambino di 7 anni affetto dalla nascita da una rara patologia metabolica, racconta: «Ho chiesto una consulenza neuropsichiatrica per il mio bimbo, ai fini della 104 a scuola. A causa dei continui ricoveri, e dal momento che da quando è nato devo recarmi giornalmente a scuola anche in orario scolastico per effettuare la sua terapia salvavita, Diego (anch’esso nome di fantasia) fin da piccolo si è eccessivamente legato alla sottoscritta. Volevo comprendere se necessitava ancora di una figura di sostegno, vista la sua timidezza nel relazionarsi coi coetanei (ora va alle elementari). Diego non presentava altre turbe di sviluppo, faceva sport regolarmente ed aveva 9 in tutte le materie. Non mi aspettavo di ricevere una diagnosi tanto infausta: “Suo figlio ha una forma sfocata di autismo”».

 

Di fronte a questa diagnosi ‹‹sono rimasta di sasso. Avevo dentro tante lacrime che non sono scese. Perché non poteva essere, doveva sbagliarsi, si stava sbagliando: io, mio marito e tutti i familiari conosciamo mio figlio. A detta di chiunque Diego è un ragazzo speciale, profondo, dalla vivace dialettica, e credo d’essere sempre stata una mamma attenta e responsabile, in continuo ascolto degli altri, anche degli specialisti. Ma questa volta non potevo accettare. Come educatrice ho avuto anche a che fare con soggetti autistici. Con mio marito lo stesso pensiero: “Questa diagnosi non sta né in cielo né in terra!”. Ce ne siamo infine andati dallo studio, senza firmare alcun documento, perché non firmi ciò che ritieni inaudito››.

 

Martina spiega che la diagnosi era stata definita in modo frettoloso, «senza aver sottoposto il ragazzo ad alcun test di riferimento specifico, senza averlo osservato “in situazione” per mesi o anni come sarebbe legittimo fare. Abbiamo vissuto 15 giorni di dolore e frustrazione, dopo di che ci siamo rivolti al Tribunale dei diritti del malato, perché per il dottore la diagnosi era irremovibile. Noi genitori ci siamo trovati nella condizione di dover scegliere se avere o no l’insegnante di sostegno a scuola in queste condizioni. Abbiamo fatto sottoporre il ragazzo ad una consulenza logopedica: ottima padronanza ed uso della lingua italiana. Malgrado la scuola fosse finita, abbiamo riunito, d’accordo con la preside, tutti i docenti del bimbo: erano esterrefatti.

 

I dottori che lo conoscevano da quando era piccolo erano increduli, e ci hanno consigliato una sola cosa: contattare, per debellare ogni dubbio, la massima esperta di autismo in Sicilia, la dottoressa Gambino, la quale ha riferito dopo averlo visto: “Non solo il bambino non è autistico, ma ha un quoziente intellettivo superiore alla media, e non capisco perché il collega si sia così espresso”. Abbiamo, infine chiesto d’interloquire col superiore di questo neuropsichiatra, che ha chiacchierato innanzitutto con Diego, ha fatto semplici domande, ha verificato la sua prontezza e profondità di risposta, e infine scusato per l’errore del collega. La vicenda è stata chiarita. Eppure mi chiedo: chi ci ripagherà di quest’ennesima delusione e mortificazione?».

 

La storia conferma che a volte c’è inadeguatezza e superficialità da parte di alcuni medici. «I sintomi emergono nei primi mesi e primi anni di vita con disturbi nella relazione, difficoltà ad entrare in contatto con gli estranei, non produzione di gesti, attività ripetitive senza un fine. Chi è autistico lo resta a vita» sottolinea Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria infantile all’Ospedale Bambin Gesù di Roma.

 

Non basta possedere, dunque, un po’ di timidezza per poter essere definiti autistici, né il disturbo emerge all’improvviso in un bimbo di età scolare, come volevano far credere per Diego. E come sempre, a lottare per difendere il proprio fanciullo, far notare che va riconosciuto per i suoi problemi ma anche le sue potenzialità, far partire, peraltro a scuola un adeguato piano educativo personalizzato, è sempre uno: il genitore. Il vero “dottore” senza laurea, il vero personal trainer senza titoli e tifoso sfegatato del proprio ragazzo.

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