E se il Mediterraneo si prosciugasse?

Nonostante l’acqua alta a Venezia e lo scioglimento dei ghiacciai alpini, il Mediterraneo rischia di prosciugarsi? Recenti studi hanno calcolato infatti che il Mare Nostrum ha un bilancio idrico negativo: dalla sua superficie, cioè, evapora più acqua di quella che ne arriva per precipitazione o dai fiumi; tuttavia il suo livello si mantiene costante grazie all’enorme afflusso di acqua dall’Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra. Ma se questo si chiudesse, il Mediterraneo si prosciugherebbe nel giro di circa duemila anni. Sembra uno scenario da fine del mondo, ma in effetti qualcosa di simile si è già verificato, e proprio nel nostro mare. Circa 5,9 milioni di anni fa, infatti, il contatto tra il Mediterraneo e l’oceano Atlantico venne a mancare. Il nostro mare presentava già una geografia molto simile a quella attuale; unica differenza sostanziale è la connessione con l’oceano, che non era data dal solo ed esiguo stretto di Gibilterra ma da un’ampia area comprendente due canali principali: quello betico a nord e quello rifeano a sud. In seguito ad eventi sismici, tutta l’area di questi canali subì un sollevamento relativo nei confronti del livello del mare, sufficiente perché gli scambi Mediterraneo-Atlantico diminuissero drasticamente. Il livello dell’acqua nel Mediterraneo cominciò così a scendere, ma allo stesso tempo, come in una salina, la concentrazione dei sali nell’acqua residua saliva continuamente fino a che questi precipitarono: si riaggregarono, cioè, in cristalli e caddero al fondo. Questi depositi di sale dovuti all’evaporazione delle acque sono detti evaporiti. Le evaporiti della crisi di salinità del Mediterraneo, come è chiamato dai geologi il fenomeno verificatosi nel nostro mare a cavallo di cinque milioni e mezzo di anni fa, si ritrovano oggi in affioramento lungo tutto il mare e sono presenti anche nelle zone più profonde, come attestano i dati delle perforazioni oceanografiche eseguite negli ultimi trent’anni. Fra i più famosi di questi depositi in Italia si ricordano, per esempio, quelli di gesso e di alabastro (Vena del Gesso e Formazione Gessoso-solfifera) che costeggiano la parte esterna degli Appennini, in particolar modo nel settore tosco-romagnolo e marchigiano. Si riferiscono a questa fase anche le immense miniere di salgemma della Sicilia occidentale, ma in generale si ritrovano piccoli depositi che testimoniano quest’evento un po’ in tutta la penisola e nelle coste di tutto il bacino mediterraneo. Dopo poco più di seicentomila anni dalla chiusura dei canali, in maniera altrettanto repentina, la zona ebbe una subsidenza tettonica; si riabbassò, cioè, riconsentendo un flusso copioso e continuo di acqua con l’Atlantico. 5,3 milioni anni fa, perciò, il Mediterraneo riacquistò un aspetto e una profondità simili a quelle attuali e comunque con un livello marino pari a quello del sistema oceanico. Ancora oggi i geologi di tutto il mondo studiano la crisi di salinità mediterranea cercandone cause e modalità di trasformazione. Da più di trent’anni il dibattito è aperto e in alcune occasioni ha anche assunto toni aspri. Molte sono le ipotesi e le teorie avanzate, tutte suffragate da dati consistenti; ma va anche detto che la crisi si presenta con una varietà di fenomeni che non rende alcuna delle varie teorie scartabile a priori. Forse ci si dovrà scervellare ancora per anni per trovare una teoria che possa spiegare allo stesso tempo tutti i fenomeni riscontrati. Rimane però il fatto che circa cinque milioni e mezzo di anni fa il Mediterraneo si è già chiuso e forse completamente seccato.

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