… E per favore manteniamo la parola data
“Non stia a sprecare la pellicola – ammonisce bonariamente il nostro fotografo mentre lo inquadra -, perché non troverà a chi vendere gli scatti”. Scherza, con un pizzico di autoironia, Michel Camdessus, fino a poco fa uno degli uomini più potenti del pianeta. Per dodici anni ha ricoperto la carica di direttore generale del Fondo monetario internazionale, uno degli organismi (assieme alla Banca mondiale) più criticati perché indicati come responsabili, in gran parte, del malfunzionamento del sistema economico planetario. Eppure a chi tacciava quei vertici d’incapacità o malafede, l’economista Stefano Zamagni ha sempre ribattuto: “Credo non sia vera né l’una, né l’altra: basti pensare a Camdessus”. Questo distinto signore francese non sta adesso a godersi un dorato riposo, ma va mettendo a frutto il formidabile patrimonio di esperienze e di conoscenze nel nuovo ruolo di presidente delle Settimane sociali dei cattolici in Francia e di componente del pontificio Consiglio Justitia et Pax, dove segue la questione relativa alla cancellazione del debito dei paesi poveri. Lo abbiamo incontrato nell’aria frizzante di Vallombrosa, nell’Appennino toscano, tappa di una serie di conferenze nel nostro paese. “La mondializzazione – esordisce – è un singolare miscuglio di rischi e opportunità. A partire dagli anni Settanta, gli scambi di beni e servizi tra paesi e continenti si sono pressoché triplicati. L’aumento degli investimenti stranieri diretti ha conosciuto una crescita enorme per attestarsi su un livello annuale superiore ad 800 miliardi di dollari. Questo livello d’integrazione dei mercati finanziari internazionali è senza precedenti nella storia. È un segno della prodigiosa intensificazione dell’interdipendenza dell’economia mondiale. “Il gioco combinato dell’allargamento di campo dell’economia di mercato, dell’unificazione mondiale dei mercati monetari e dell’irruzione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha creato condizioni molto favorevoli allo sviluppo dell’economia mondiale. Le imprese si organizzano in reti planetarie. Con la liberalizzazione dei controlli sui cambi, l’esistenza di un’immensa riserva potenziale di finanziamenti privati può favorire lo sviluppo”. Come non vedere, si chiede Camdessus, nelle forze della mondializzazione, quelle dinamiche formidabili che valorizzano ciò che l’uomo ha di migliore? “La sua creatività, il suo senso della solidarietà e della responsabilità verso il mondo nella sua globalità. Viviamo in un pianeta che, pur trovandosi nel disordine e non senza molti guasti e sofferenze, si fa uno: per il meglio, per la rapidità senza tregua accresciuta dalla diffusione delle conoscenze, la moltiplicazione delle opportunità di viaggio e di contatti, la reattività stessa delle società alle disgrazie che avvengono nel più lontano angolo del mondo. Niente arresterà, sembra, questa marcia verso un’unificazione crescente del mondo “. Ovviamente, non tutto è oro. “Certo, queste chances non saranno automaticamente massimizzate né rese accessibili a tutti i paesi e a tutti gli uomini. L’impegno a valorizzare al meglio le opportunità e a perseguire l’equità nella loro distribuzione richiede quindi la vigilanza e l’azione dei poteri pubblici”. Per l’ex direttore generale del Fmi, i rischi in corso portano nomi ben precisi: “incapacità dello stato nazione a far fronte a nuovi problemi che d’improvviso si manifestano a livello mondiale, livellamento culturale, minacce ecologiche, marginalizzazione dei più poveri e ineguaglianze stridenti”. Per Camdessus, comunque, il primo pericolo è l’instabilità finanziaria. “La crisi asiatica degli anni Novanta ce l’ha ben mostrato. Siamo, d’ora in avanti, in una situazione d’interdipendenza molto più grande di quanto possiamo immaginare. Anche se un solo paese – magari di proporzioni modeste come la Thailandia – sprofonda, tutta l’economia mondiale è in pericolo. Le crisi dell’ultimo decennio, dal Messico alla Turchia, hanno lasciato alle loro spalle milioni di vittime e di disoccupati. Ci si è attivati, non senza successo, a contenerli, ma la crisi in Argentina, gli scandali come quello Enron, l’utilizzazione dei centri off-shore, da parte di Al Qaida, per finanziare le sue attività criminali, mostrano come resti molto da fare per stabilizzare e civilizzare realmente il mondo politicizzato della finanza”. E non è tutto. “L’insorgere continuo di problemi di dimensione mondiale (clima, criminalità -, particolarmente finanziaria – droghe, pirateria informatica, migrazioni) valicano le frontiere dello stato-nazione e rendono i governi pietosamente disarmati. Incertezza e instabilità soprannazionali fanno sorgere una domanda: “C’è un pilota in questo aeroplano che attraversa turbolenze sempre maggiori?”. Altra questione. “Se certi paesi in via di sviluppo hanno compreso come fare affidamento sulle forze della mondializzazione per accelerare il proprio progresso economico, questo non è vero per tutti. I paesi incapaci di partecipare all’espansione del commercio internazionale o di attirare un volume significativo d’investimenti privati rischiano d’essere i dimenticati dell’economia mondiale”. Commenta: “Tutto avviene come se i paesi più poveri non figurassero sul mappamondo degli investimenti mondiali. Il mercato non ha cura dei più poveri. Si può dunque temere che il fossato si allarghi ancora tra i due estremi”. Minacce pesanti, fragili opportunità. “C’è chi – esemplifica Camdessus – teorizza la propria disperazione sui vecchi argomenti dell’irresistibile potere di Wall Street oppure dei monopoli, delle forze schiaccianti dell’imperialismo americano; altri infine coltivano il sogno o le preghiere di una mobilitazione popolare universale che invertirebbe i rapporti di forza “. Dove trovare la forza per piegare le derive perverse di questo periodo? Camdessus cita un pensatore suo connazionale, lontano da riferimenti religiosi, Andrè Malraux: “La risposta al male assoluto è la fratellanza”. Ma prontamente avverte: “Attenzione! Non andiamo a cercare cose impossibili e nessuno si aspetti da me un grande programma di umanizzazione della globalizzazione”. E fa una singolare richiesta: “Se vogliamo essere un po’ seri rispetto al nostro proposito di fratellanza, non possiamo sfuggire ad un dovere imperioso: mantenere la parola”. Precisa: “Il mondo si è abituato ad organizzare grandi conferenze, a concluderle con solenni impegni e velocemente a dimenticarli. Qui ci vuole uncambiamento radicale. Dobbiamo come cittadini pretendere che la parola sia mantenuta. In particolare, quella data in occasione delle grandi conferenze che hanno segnato l’inizio del millennio”. E ricorda che nella conferenza delle Nazioni Unite a New York nel settembre 2000, 170 capi di stato rinnovarono gli impegni presi in precedenza e che avevamo tutti, più o meno, perso di vista. Quelli contro la grande povertà, la mortalità delle donne e dei bambini, l’Aids; quelli per l’accesso all’acqua potabile, un’istruzione primaria universale, la parità dei sessi nell’educazione. “Il primo orientamento che potremmo seguire in questo spirito di fratellanza è quello di utilizzare la nostra influenza presso i pubblici poteri affinché siano scrupolosamente mantenuti gli impegni da parte di ognuno dei nostri paesi”. Questo vale per le decisioni prese agli mobilitata, l’obiettivo della fratellanza avrà possibilità di realizzarsi”. Un altro capitolo concerne la riforma delle organizzazioni finanziarie internazionali. “Siamo abituati a considerarle quali capri espiatori di tutto ciò che non va o gli agenti di un imperialismo finanziario. Avendo gestito una di queste, vorrei dire quanto sia ingiusto un tale apprezzamento e credo che, a condizione di dare loro gli orientamenti necessari, possano contribuire a mettere la finanza al servizio del bene comune universale”. Camdessus guarda anche al Palazzo di Vetro. “Bisogna riformare profondamente il sistema delle Nazioni Unite ereditato dalla seconda guerra mondiale in modo che risponda ai problemi sollevati dalla globalizzazione. Tale riforma, come quelle delle organizzazioni finanziarie, acquisirà un senso solo se saranno trovati i mezzi per dare, realmente, ai paesi poveri, il loro posto nell’assunzione delle decisioni. È la ragione per cui attribuisco grande importanza all’allargamento del G8 ai rappresentanti dei paesi del Terzo mondo”. Inoltre, “è necessario che l’Europa, avendo avuta la possibilità di sperimentare il cambiamento delle strutture di integrazione amichevole lì dove esistevano solo diffidenza e odio secolare, eserciti pienamente, e non timidamente, nel mondo il ruolo di partner degli Stati Uniti. Questo può avere un’importanza storica e dare un corso più fraterno alla diplomazia “. Da uomo navigato, Camdessus indica anche un cantiere fondamentale per la diffusione della fraternità. “Intraprendere in ogni parte del mondo, ovunque venga impartita una lezione, l’insegnamento del dovere di fratellanza. E poi interrogarci sul nostro atteggiamento rispetto all’immigrazione “. Ed è solo l’inizio, sottolinea. Occorre mettere in moto un’indomita creatività: “Bisogna andare oltre e diventare tutti, lì dove siamo, inventori di fratellanza”.