È partito il numero sette
E così la settima edizione del Festival internazionale del film di Roma titolo lunghissimo è partita venerdì 8 novembre. Di migliore, rispetto al passato, c’è almeno la puntualità nell’inizio dei film in sala. Cosa, a Roma, non di poco conto. Speriamo duri.
Quanto ai film, a parte le feste fatte in casa, e meritate, a Carlo Verdone e l’omaggio molto bello e curato con attenzione a cura di Marco Spagnoli a Giuliano Montaldo (una delle colonne del cinema nostrano) , non è ancora facile districarsi fra l e sezioni e gli orari che si intersecano. Gente ce n’è, anche se non folle osannanti. E sono nati negozi e negozietti. La crisi c’è, si sente e si vuole vendere, un po’ di tutto..
Passiamo ai film. Quello di apertura, che è costato otto anni di lavoro, Aspettando il mare, è una favola-parabola-mélo del regista kazachistano Bakhtiar Khudojnazarov su Marat, pescatore indomito che perde l’equipaggio durante una tromba d’aria, ma non si arrende. È da recuperare, se non altro per la fede nella vita che trasmette, oltre un linguaggio che adocchia forse troppo alcuni cliché occidentali (ma bisogna pur vendere!).
Resta in sospeso “Aspettando l’alba” di Susanna Nicchiarelli, trhiller psicologico familiare dal romanzo di Veltroni, sul dramma di un padre scomparso nel nulla. Margherita Buy tiene gran parte del film, contornata da Sergio Rubini e Lino Guanciale. Si poteva forse puntare più in alto.
Quanto all’australiano “Mental” di P. J. Hogan (nella foto) si resta sconcertati davanti ad una commedia fra il demenziale, l’ironico con tinte vagamente moraleggianti in un quintetto di donne che poi diventano molte di più scatenate e pazze. Risate su un film forse un po’ troppo sopra le righe. Della serie: già visto.
Sulfurei i cinquanta minuti che Paul Verhoeven regala in “Steekspel”, girandola familiare su un dirigente cinquantenne, dongiovanni ingannatore, a sua volta ingannato. Della serie: la vendetta della donna buona e innamorata. Sapido, mai volgare, divertente e quanto mai umano, il film è una lezione di come si possano dire cose serie con leggerezza, gusto, ironia in poco tempo. Ma bisogna saper fare cinema, come è il caso di Verhoeven. Una lezione per qualche saputello del Belpaese
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