È morto un maestro, Eugenio Borgna
Oggi se n’è andato un maestro. Uno di quei pochi maestri che sono rimasti ai nostri giorni. Una specie sempre più rara. Ma chi conosce Borgna? Solo gli specialisti, purtroppo. E pochi altri. Anche se ha scritto diversi libri divulgativi, davvero appassionanti.
Borgna è stato una figura centrale nella psichiatria italiana. Il suo metodo si può riassumere in poche parole: lui non si rapportava alle malattie mentali, ma ai malati. Seguace e collaboratore di Franco Basaglia, ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui la società e la medicina considerano il disagio mentale, ponendo al centro il rispetto per la persona e la comprensione della sofferenza psichica.
Ha applicato la filosofia fenomenologica alla psichiatria, interpretando il disagio mentale non come pura malattia biologica, ma come espressione di una crisi esistenziale e umana. Ha promosso una psichiatria che considera la relazione tra paziente e terapeuta come strumento terapeutico fondamentale, riconoscendo l’importanza dell’ascolto. Ha descritto il disagio mentale come una forma di linguaggio dell’anima, in cui la sofferenza va compresa attraverso la narrativa personale del paziente. Ha esplorato soprattutto le esperienze psichiche femminili, evidenziando le specificità delle sofferenze delle donne. Tutto questo, e tanto altro.
Scriveva Borgna: «Nel cuore di ogni emozione, anche delle emozioni più dolorose e apparentemente al di là di ogni orizzonte di senso, si nasconde almeno una scheggia di palpitante umanità». Per questo Borgna ha affascinato anche gli scrittori, e tutti quelli che sentono la grande passione di comprendere la mente umana.
La mitezza è un pilastro cardine nel suo approccio alla vita e alla cura psichiatrica. Lui considerava la mitezza come un modo di essere che permette di avvicinarsi al prossimo con delicatezza, rispetto e apertura, evitando giudizi frettolosi. Per lui la mitezza significava accogliere il dolore dell’altro senza prevaricarlo, creando uno spazio sicuro in cui il paziente possa esprimere la propria sofferenza senza timore di essere frainteso o stigmatizzato. Per Borgna la mitezza non è sinonimo di debolezza, ma di forza interiore: è la capacità di sostenere l’altro, mantenendo vivo il legame umano che è alla base di ogni autentico processo di cura.
Borgna ha compreso che, per risultare efficace, uno psichiatra o psicoterapeuta deve avere una grande capacità di introspezione, necessaria per cogliere l’interiorità del paziente: «Sapere guardare dentro di sé, negli abissi della nostra interiorità, e sondare le emozioni, gli stati d’animo, le immaginazioni, che sono in noi, sono le premesse per riconoscere le altrui emozioni, gli stati d’animo e le notti oscure».
Lui sapeva che per addentrarsi nei contorti vicoli della mente è di valido aiuto una grande conoscenza dell’arte, della filosofia e della letteratura. Diceva: «Chi vuol fare lo psichiatra dovrebbe leggere Giacomo Leopardi. Ma anche Emily Dickinson e Giovanni Pascoli». Quando in una recente intervista al Corriere della Sera gli è stato chiesto che cosa è secondo lui la follia, ha risposto citando il filosofo Brentano: «È la sorella sfortunata della poesia».
Borgna era animato da una grande fede cristiana, che lo portava a vedere in ogni paziente “la parola del Dio incarnato”. Sempre nell’ultima intervista al Corriere gli fu chiesto se lui pregava. Rispose: «Non potrei non farlo dopo tutto quello che le ho detto. Seguo un cammino interiore che mi porta al silenzio». È il suo cammino verso Dio, che lui definiva “l’indicibile silenzio”. Da lì scaturivano tutte le sue parole, i suoi pensieri, i suoi ascolti, le sue cure. Ora questo suo cammino terrestre si è concluso. Credo che per lui ora se ne apra un altro. Ancora più luminoso.