È morto Silvio Berlusconi, finisce l’era del Cavaliere
Inizia il mondo senza Silvio Berlusconi. La sua scomparsa configura uno dei rari eventi in grado di far percepire il senso della storia che scorre. Imprenditore espressione di quell’Italia nordica e intraprendente, genialmente creativa e mirata al risultato ad ogni costo, irrompe nella scena politica quando il Paese è tramortito e disorientato dal terremoto di “Mani pulite”.
Innovando radicalmente con le collaudate regole del marketing e con la cassa di risonanza delle sue reti televisive, alle politiche del 1994 si presenta in tv in un video che ha fatto scuola e storia, fonda Forza Italia, aggrega il Polo delle Libertà alla destra del polo centrista Patto per l’Italia e vince le elezioni impedendo la conquista del governo alla coalizione di sinistra guidata da Achille Occhetto e incentrata sul partito post-comunista PDS.
Affluenza: oltre l’86%. Il cuore degli italiani era definitivamente conquistato, in amore o in avversione. No, non lasciava neutrali e la sua insopprimibile esigenza di protagonismo, alimentata dalla altrettanto insopprimibile altrui esigenza di tenerlo sotto i riflettori, per tentare di buttarlo giù dalla scena o per enfatizzarne il protagonismo, ma comunque puntellandolo nella sua centralità, ha fatto sì che l’Italia vivesse trent’anni dentro un Truman show il cui padrone della telecamera in realtà era lui. L’Italia, non Berlusconi. Sì, perché apparentemente eravamo noi a seguire le sue vicende, i governi, le crisi, i colpi di teatro elettorali, i predellini, i delfini sempre trote, l’azienda, i figli, le mogli o quasi, le ville (quante?), i processi (quanti?), l’alcova affollata fino all’indicibile, l’amicizia con Putin e l’ambizione di essere il primo fino alla fine, questa volta sulla scena mondiale: quello che poteva far cessare la guerra in Ucraina recuperando “lo spirito di Pratica di mare”, suo rimpianto (tentativo di) capolavoro di geopolitica di portata storica, ma fallito non per il revanscismo imperialista del suo amico al Cremlino, ma per l’ottusa opposizione del premier ucraino… Non gli è stato dato ascolto e la malattia è precipitata fiaccando infine un fisico sopra le righe tanto quanto tutto il resto.
Eravamo noi dentro il Truman show, non si può negare. Il passaggio di Silvio Berlusconi ha cambiato i connotati del Paese, i nostri connotati: politici, di costume, di informazione, infine culturali perché neppure il robusto impianto antropologico radicato nel cattolicesimo e tutto sommato alla base di un ethos che restava diffuso ha resistito alla (peraltro irresistibile) religione à la carte che il Silvio nazionale diffondeva a piene mani, con la sua vita e con le sue tv.
Su Silvio Berlusconi il mondo cattolico si è lacerato come non mai, rendendo l’Italia binaria tra chi ne vedeva né più né meno che la personificazione del male (politicamente parlando, quanto meno) e chi gli perdonava tutto (se mai vi vedesse qualcosa da perdonare) in nome della salvifica protezione dal comunismo – dalla sinistra in genere – che assicurava. E poi c’era la tutela dei valori.
Ma al di là di tutto ha dato espressione a un popolo che dalla politica si attendeva una rivoluzione liberale, anche se l’aspettativa è rimasta frustrata per ragioni che oltrepassavano Berlusconi stesso e che non restano circoscritte alla politica, giacché un aspetto predominante dell’era berlusconiana è stata la contrapposizione con la giustizia, vero terreno di lotta in cui Silvio si è battuto, senza mai cedere. Ma sono argomenti che meriterebbero trattazione a parte.
Insomma, oggi ci svegliamo che una variabile della nostra vita, certamente quella politica, non c’è più. Non poche cose si rimescoleranno perché tutto ciò che dipendeva da lui non potrà sopravvivergli, né si vedono personalità in grado di esercitare una leadership, tranne sua figlia Marina, il suo alter ego.
Staremo a vedere. Il pensiero ora va all’uomo e al crinale della sua esistenza, a quei giorni passati all’ospedale San Raffaele dove, chissà, magari si è misurato con quella fastidiosa dimensione umana che è la finitezza. Persone così sono destinate a morire con dei rimpianti, nonostante il loro gigantismo. Speriamo però davvero senza paure.
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