È l’ora dei musical

«È un genere che aiuta a fare comunità, adatto al tempo in cui viviamo». A colloquio col cantautore romano Daniele Ricci.
Scena "Il risorto" di Daniele Ricci

Vento in poppa per Daniele Ricci, uno dei cantautori “storici” del Movimento dei focolari, già collaboratore dei complessi internazionali Gen Verde e Gen Rosso. Con all’attivo 33 album di canti per la liturgia e per i giovani, per la maggior parte editi dalle Paoline, da qualche anno la sua vena artistica si va esprimendo con crescente successo attraverso il genere del musical.

 

Daniele, da quant’è che ci conosciamo? Saranno quarant’anni?

«Pressappoco. Mi hai conosciuto cantautore timido che usava la chitarra per dire: io esisto. Per fortuna, dopo un po’, ho capito che alla gente non importava niente del fatto che io esistessi e ho cambiato registro. Sai, la cosa importante è far arrivare il messaggio che è Dio che esiste e che ama ciascuno di noi. Tentare di esprimere questo in musica ora mi appaga molto più di quando superavo la mia timidezza per dire che esistevo».

 

Un tempo eri capace di comporre una canzone in cinque minuti…

«Sì, magari per festeggiare il compleanno di un amico. Ora però non è più il tempo di scrivere canzoni “così come vengono”. Se la canzone dev’essere, come io penso, un atto d’amore verso gli altri, io devo dare il meglio, la qual cosa richiede di mettere in un cassetto l’ispirazione del momento e di rivederla a distanza di tempo, perché sia frutto meditato di un’esperienza».

 

Dalla canzone singola sei passato al genere del musical (se non sbaglio sei al terzo della serie). Come mai ti sei orientato verso questo tipo di produzione?

«È un’evoluzione della mia musica e corrisponde anche a una diversa richiesta: alla gente piace riunirsi, fare esperienza insieme, magari attorno a un tema spirituale. Mentre per il concerto di un singolo occorre il personaggio che sappia cantare, per un musical occorrono molte più persone. Vengono infatti reclutati falegnami, costumisti, coreografi, quelli che curano la messa in scena… Ho visto come per allestire un mio lavoro in un paesino dello spoletano, si sia mobilitata – e compattata – un’intera comunità, che tra l’altro si è messa addirittura a fare ricerche sui vestiti dell’epoca. Il musical è un genere che aiuta naturalmente a fare comunità. Per questo lo ritengo un linguaggio adatto all’oggi».

 

Come hai iniziato questo percorso?

«Nel 2007 con Il Risorto, messo in scena in Italia ma anche all’estero (perfino nel Mato Grosso, che io sappia). L’ultima rappresentazione in ordine di tempo è stata fatta il 18 agosto di quest’anno alla Gmg di Madrid dalla compagnia italiana Arenaartis, la stessa che interpreta anche l’opera nel dvd edito dalle Paoline. La prima invece risale al 2008 in Lituania, artefice una religiosa venuta a cercare in Italia qualcosa che potesse aiutarla per il suo lavoro in patria. Ne è risultato un evento a livello nazionale e tuttora continuano le repliche. La rappresentazione, diversamente da qui in Italia, dove si fa un grande impiego di mezzi, costumi, coreografie, lì invece rispecchiava una Chiesa uscita dalla clandestinità, povera se vuoi, basando tutto sull’interpretazione, sui primi piani, con altri tempi anche, diversi da quelli televisivi a cui siamo abituati; e con una profondità commovente».

 

E dopo questo primo successo?

«Il mio editore mi ha proposto un musical ispirato al Natale. Così è nato L’Atteso che, rispetto al precedente dove c’è l’accenno alla passione di Cristo, ha tutt’altra atmosfera: qui c’è poesia e intimità (Maria serbava tutte queste cose nel suo cuore). Tutto ruota intorno alla storia d’amore tra gli sposi di Nazareth. Vien fuori un Giuseppe che si confida con Maria e al quale lei confida i suoi segreti (così m’è piaciuto pensare). Quindi, se vogliamo, c’è una scelta di verginità anche di Giuseppe nel momento in cui si è fidanzato con Maria: perché non c’era nessun altro come lui che potesse andarle dietro nella sua via impervia, sconosciuta. Allora non è tanto che Giuseppe si sorprende scoprendo Maria incinta, solo non capisce; quello che per lei è luce per lui è ombra: la sua prova è questa.

 

«Come Il Risorto, anche L’Atteso è stato subito rappresentato in Lituania, oltre che in Italia. Ovviamente, tra i due musical c’è un argomento centrale, che meritava un altro musical: ed è quello che sto componendo adesso e che presenterò a gennaio. S’intitolerà Il Messia e riguarda la storia di Gesù dal battesimo nel Giordano fino al suo ingresso in Gerusalemme. Prima però, il 15 ottobre al Teatro del Divino Amore, ci sarà la “prima” di Massimiliano Kolbe, di cui ricorre quest’anno il 70° del suo sacrificio ad Auschwitz, musical che mi è stato commissionato dalla Milizia dell’Immacolata, da lui fondata. Il cd dovrebbe uscire per quella data per Città Nuova Editrice. Per sei mesi ho approfondito il personaggio e ho scoperto che padre Kolbe non è solo quello dell’ultimo atto eroico di donazione di sé al posto di un altro: è uno che vi è arrivato attraverso una vita dedicata a predicare e vivere una potente devozione per l’Immacolata. Certo, mi chiedevo, per la sensibilità di oggi, così diversa da quella di cento anni fa, l’approccio di Massimiliano non potrebbe rischiare di apparire a qualcuno un po’ – come dire – datato?

 

«E qui mi ha soccorso la spiritualità dell’unità che, essendo anch’essa mariana, ma fiorita in quest’epoca, ci fa capaci di abbracciare anche altre spiritualità con la freschezza di oggi. Così mi sono trovato a mettere in rilievo certe sfumature che agli stessi committenti, quando hanno sentito il mio lavoro, sono risultate come una scoperta. Era indubbiamente il loro carisma, ma come “rispiegato” alla luce della spiritualità di Chiara Lubich».

 

Chiara è stata una grande ispiratrice per te.

«Non faccio altro che cercare di dire in musica quello che ha cambiato e dà senso alla mia vita. Un mio personale omaggio a Chiara mi sta dando gioia, per gli echi positivi che ne ricevo: si tratta di un cd con undici canzoni ispirate a sue meditazioni e alle esperienze di noi poveri uomini che nei confronti di un ideale grande come il suo ci scopriamo limitati e condizionati dall’egoismo. Dal passaggio obbligato del dolore si arriva alla festa del canto finale Se siamo uniti Gesù è fra noi. La penultima canzone, invece, Hai fatto della mia esistenza un sogno, l’ho composta pensando a tanti che, percorrendo la stessa strada di Chiara, hanno sperimentato già in questa vita la piena felicità. E questo per tre semplici ragioni: ci ha rivelato un Padre che è amore (non siamo più soli), ci ha messo accanto mille fratelli (perché Padre suppone una famiglia) e ha dato un nome al dolore (Gesù abbandonato)».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons