E lasciatemi divertire!
Il viaggio a Reims. Musica di G. Rossini. Il Festival Belcanto. Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia.
Ci vuole proprio il celebre verso di Palazzeschi a definire l’atmosfera del “dramma giocoso in due atti”, scritto dal Rossini “francese” per l’incoronazione di Carlo X nel 1825. Diciamo subito che di Carlo X a Rossini interessava solo la sovvenzione economica a proprio favore. Per il resto, Il viaggio è una divertente “attesa di un viaggio” di diciotto personaggi internazionali che passano tranquillamente le tre ore di musica, aspettando una diligenza che li porti a Reims per l’incoronazione del re.
Non aspettiamoci approfondimenti psicologici o drammatici in questo Rossini che cerca di conquistarsi Parigi con battute in punta di fioretto e ritmi eleganti. Un pesarese sofisticato, insomma, con un’orchestra che sembra un arazzo brillante, dove però la nostalgia del Belpaese si sente, in un certo canto “sillabico”, in alcuni momenti languidi o patetici o nei commenti ironici con cui il musicista – astutissimo – punteggia la situazione. Che fanno infatti diciotto personaggi in cerca di autore, nel caso una diligenza? Se la raccontano, flirtano, sognano. Hanno nomi pittoreschi: la marchesa Melibea, dama polacca, madama Cortese, tirolese, il conte di Linbenskof, generale russo, Lord Sidney, colonnello inglese, don Profondo, il letterato; il barone di Trombonock (!) maggiore tedesco, don Alvaro, Grande di Spagna… Ciascuno canta in stile “nazionale” (anche il celebre “Dio salvi la regina” inglese), addirittura in quattordici tutti insieme: senza confondersi, cosa possibile solo al teatro musicale.
Insomma, Il viaggio è un gran divertimento. Per le voci, che Rossini tratta magnificamente, per l’orchestra, guizzante e vaporosa. E per il compositore che nasconde sotto la serena ironia una gran voglia forse di piangere, ma vuole ancora divertire. Noi non ci accorgiamo troppo della sua malinconia, perché Gioachino, come sempre, gioca a nascondino con l’ascoltatore, inducendolo a credere che lui stia solo prendendo in giro l’Europa delle glorie inutili e delle “incoronazioni” anacronistiche.
L’opera, alla prima parigina un trionfo, a Roma (prima esecuzione dal 1825!) è stata diretta da Kent Nagano con giusti scatti, colori e arguzia, grazie all’orchestra ceciliana che sa cantare e ridere senza esagerare. I solisti si sono destreggiati nell’allestimento semiscenico con sicurezza. Molto bravi il tenore cinese Shi Yijie e il mezzosoprano Daniela Barcellono, rossiniana di gran classe. Pubblico felice ed entusiasta. Da riascoltare questo gioiello, nell’edizione storica diretta da Claudio Abbado nel 1984 (Deutsche Gramophon).