E la vita cambia

Ovvio e inderogabile per una missionaria: ritornare al più presto sul luogo e tra le persone alle quali ha particolarmente dedicato la vita. Così anche per suor Laura Cantello, Francescana dei poveri e medico, ormai da 13 anni in Senegal. Mentre ne racconto l’esperienza, infatti, lei è già tornata in Africa dopo un breve periodo passato in Italia. Incuriosita dalla sua vicenda, ho chiesto ed ottenuto di farle alcune domande. L’ho così abbordata all’uscita dalla messa di mezzogiorno tra lo scampanellare festoso e un po’ assordante delle campane. Suor Laura mi ha risposto sorridendo e acconsentendo subito all’intervista, ma a patto che le dessi subito del tu. Sono così partita con la mia inchiesta. Ma prima ancora non ho potuto fare a meno di osservarla per cercare di tratteggiarne il tipo: un aspetto calmo, posato, giovanile nonostante i capelli argentati che sbucano dalla cuffia e suggeriscono sì e no mezzo secolo di vita. Il sorriso è contenuto, ma i suoi occhi parlano più delle parole. Una missionaria-medico, dunque. Professione impegnativa e a volte senza tregua, oltre che delicata, dato l’ambiente musulmano nel quale principalmente si svolge. Come è arrivata laggiù? La domanda apre un fiume in piena. È una storia lunga, che parte dalla mia giovinezza quando, orientata a diventare medico, avevo intrapreso gli studi all’università di Messina, ben lungi dall’idea di farmi suora. Tra l’altro tutta la mia famiglia, e specialmente mio padre, non era praticante e il mio cristianesimo lo vivevo a livello personale, un po’ nelle catacombe, per evitare discussioni inutili. Dentro di me però c’era una grande ricerca, come un’insoddisfazione sempre crescente per qualcosa che non sapevo bene come definire. Questo fino all’età dei vent’anni. Ad un certo punto, all’università, circostanze fortunate mi hanno fatto incontrare un gruppo di giovani dei Focolari che mi hanno subito colpita per il loro comportamento: non meditavano semplicemente il Vangelo, ma cercavano di metterlo in pratica, comunicandosi le esperienze fatte. Per non capitolare subito, ho assunto un atteggiamento scettico nei loro confronti e mi dicevo: Quello che vedo in loro mi piace, ma… non so se ci credo del tutto. Per un po’ sono quindi rimasta ad osservarli, ad ascoltare quello che dicevano per capire dove volevano condurmi, sempre tenendo le distanze. Questo mio atteggiamento negativo non è durato molto, però, perché ho dovuto ammettere che quella chiesa viva che avevo sempre sognato ora me la trovavo davanti agli occhi. E così ad un certo momento mi sono decisa: Beh, facciamo la prova. Mi metto anch’io a vivere come dicono loro: amare tutti, amare per primi, farsi uno, amare i propri nemici… poi vedremo. Grandi nemici forse non ne avevo, ma antipatie sì: è stata l’occasione per ristabilire, magari attraverso una telefonata, dei rapporti che si erano deteriorati, per provare ad amare tutti ricominciando infinite volte, per essere disponibile verso chi avevo accanto nei banchi dell’università… Ero così impegnata che ad un certo punto i miei colleghi hanno incominciato a dirmi: Ma Laura, che ti succede? Sei diversa da prima. Qualcuno ha perfino pensato che fossi diventata un po’ matta, che mi stavo ammalando ed hanno fatto di tutto per dissuadermi dal frequentare quel gruppo. Io invece ero sempre più felice e convinta di aver finalmente trovato quello che cercavo. Anche ciò che a priori avevo sempre scartato, come la consacrazione a Dio in una congregazione religiosa, incominciava inspiegabilmente ad interessarmi: infatti, tra queste giovani c’era anche chi si stava orientando ad entrare fra le suore Francescane dei poveri. E così un giorno, un felice giorno, ho deciso di seguire anch’io la stessa strada. Ti lascio immaginare le reazioni della mia famiglia! Ma ormai più nulla poteva dissuadermi: sarei diventata me- dico e suora francescana, sempre però fermamente ancorata alla spiritualità di comunione dei Focolari, e che anche la mia congregazione aveva fatta propria, in perfetta armonia con lo spirito di Francesco. Domando a suor Laura se si è orientata subito ad andare come missionaria in Africa. No – risponde -, la cosa è maturata attraverso le circostanze. Diventata medico, da Messina, dove avevo concluso gli studi, sono arrivata a Vermicino, nei pressi di Frascati, per completare la mia formazione religiosa e professionale. Novizia e poi suora, per alcuni anni ho esercitato la mia professione facendo turni di guardia medica in una delle circoscrizioni di Roma. Mi sentivo veramente portata a questo, ma ad un certo punto, per varie circostanze, sono andata in crisi: a cosa dare la precedenza? Prima suora e poi medico o viceversa? Ambedue le realtà erano e diventavano infatti sempre più esigenti… Ci ho molto riflettuto, ho pregato, ed ho capito chiaramente che Dio voleva da me una consacrazione esclusiva a lui: innanzitutto religiosa, quindi. L’ho comunicato alle mie superiore e dovendosi aprire una nuova comunità a Petrignano, presso Assisi, si è visto che era bene dessi anch’io il mio contributo attraverso l’insegnamento della religione alla scuola locale. Nel frattempo il vescovo del luogo mi ha anche chiesto di approfondire lo studio delle scienze religiose ad Assisi. Per cinque anni ho così insegnato, traendone un grande giovamento: è stato infatti un periodo che mi ha fatto molto maturare, preparandomi a un dopo che allora mi era ancora ignoto. Intanto qualcosa si andava come unificando dentro di me e sentivo che era importante diventare uno strumento duttile nelle mani di Dio. Di questo periodo ricordo anche, fra le tante, una esperienza: in una terza media avevo alcuni adolescenti un po’ ribelli, e tra questo uno in particolare. Un giorno nel quale i ragazzi erano andati in gita a Roma a visitare i Musei Vaticani, mi sono accorta che lui solo, forse per motivi economici, era rimasto. Dapprima avevo pensato di aggregarlo ad un’altra classe per essere libera di completare alcuni lavori urgenti, ma una voce dentro mi diceva: Aspetta, può essere l’occasione di un nuovo rapporto. Mi sono così seduta al solito posto e infatti, ad un certo punto, si è avvicinato per mostrarmi alcune foto della sua famiglia. Ne ho approfittato per chiedergli confidenzialmente: Ma senti, mi spieghi perché sembri sempre arrabbiato con tutti?. La risposta non me la sarei mai aspettata: Vede, mia madre non si comporta bene e mio padre l’ho perso ancora da piccolo. Lavorava nei campi sul trattore; un giorno questo si è capovolto ed io l’ho visto morire davanti ai miei occhi… Da allora, quando io vedo un ragazzo col suo papà divento violento. Per me è stata un’esperienza quasi scioccante, che mi ha fatto riflettere e dato anche la possibilità di poterlo poi aiutare in tanti altri momenti. Sono passati alcuni anni e ad un certo punto, nel ’91, la mia congregazione necessitava di personale sanitario per la nostra missione in Senegal. È stata per me l’occasione di ripropormi come medico e questa volta non per soddisfare una mia aspirazione, ma per contribuire a realizzare qualcosa che evidentemente Dio voleva. All’inizio ho avuto anche un po’ di paura e non ero sicura di farcela. Un ambiente del tutto nuovo, al 90 per cento musulmano e scarso di strutture sanitarie; arrivando poi sul posto, la situazione mi si è presentata ancor più difficile di come l’immaginavo. Ma ho deciso per un sì irrevocabile: Se è questa la sua volontà, la mia resa è incondizionata: voglio spendere la mia vita per il Senegal. Da allora sono passati tredici anni, dei quali dieci come responsabile della piccola comunità di religiose che si prodigano incessantemente nel villaggio di Koungheul, nella regione di Kaolak: suore amate e benvolute da tutti si direbbe, anche se il mestiere delle missionaria comporta sempre qualche rischio… lo abbiamo visto tutti anche di recente. C’è nel paese qualche iniziale struttura pubblica ma gli abitanti, musulmani, preferiscono le suore. Si sentono capiti, amati, aiutati: sperimentano un aiuto sincero, senza interessi personali, e perciò spontaneamente si rivolgono a loro. Ultimamente a suor Laura è stato chiesto di dirigere una scuola nazionale cattolica per infermiere ostetriche a Dakar, la capitale, dove contemporaneamente insegna etica professionale. Ottimi i rapporti sia col governo senegalese che con la popolazione, nel rispetto dei valori musulmani della nazione, ma senza nascondere la propria specificità cristiana. Le chiedo se si sente soddisfatta, realizzata… e intanto le scatto una foto. Suor Laura ride e si schermisce un po’, raccomandandomi di non farla diventare una celebrità: Non ti basta quello che ti ho detto?. E riconosco che la mia era veramente una domanda superflua.

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