È iniziato il Ramadan
Giovedì scorso i musulmani del mondo hanno iniziato il sacro periodo del digiuno noto come Ramadan. Come spesso accade, ci sono stati problemi di contemporaneità a causa dell’avvistamento della luna – che in Arabia Saudita era previsto per mercoledì 22 marzo, mentre in altre parti del mondo è avvenuto il giorno seguente. Comunque, da alcuni giorni due miliardi (circa) di fedeli dell’Islam hanno iniziato questa pratica annuale che rappresenta uno dei cinque pilastri della loro religione.
Il primo di questi pilastri è la shahada, la professione di fede che consiste nel dichiarare di credere in un solo e unico Dio (Allah) e nella missione profetica di Maometto, suo profeta. Il secondo pilastro è la preghiera canonica che viene recitata cinque volte al giorno (salat). L’elemosina (zakat) rappresenta il terzo aspetto portante dell’Islam mentre il pellegrinaggio a La Mecca (hajj), almeno una volta nella vita, è l’ultimo dei pilastri. Il digiuno completa la lista di questi elementi portanti di cui tutti i fedeli dell’Islam cercano di assicurare l’osservanza, ovviamente con eccezioni dovute anche a processi di secolarizzazione e laicizzazione che avvengono all’interno di questa religione.
Nei Paesi a maggioranza musulmana o dove vige l’ordinamento giuridico islamico (la sharia) tutta la società scandisce tempi e ritmi su quelli dettati dal digiuno. Gli orari di lavoro sono accorciati, i ristoranti chiusi fino al tramonto quando nel giro di pochi minuti si aprono per accogliere clienti che celebrano la rottura del digiuno. Ma la maggior parte della gente celebra nella propria abitazione o in quella di amici e parenti la cena di iftar (della rottura del digiuno) che rappresenta anche un momento di vita sociale assai significativo. È il momento in cui si rompono tutte le barriere e anche persone di altre culture e religioni sono invitate a condividere l’iftar. Partecipare a queste cene significa entrare nella vita sociale e ‘familiare’ dei musulmani ed essere percepiti e riconosciuti come veri fratelli e sorelle.
È sempre bene ricordare che circa due terzi dei musulmani vivono in Asia, dove l’Indonesia da sola ha una popolazione musulmana superiore ai duecento milioni, e dove anche in India, Pakistan e Bangladesh la popolazione seguace di questa religione supera ciascuna, abbondantemente, i cento milioni di fedeli. L’osservanza del Ramadan comporta l’astenersi, dall’alba al tramonto, non solo dai cibi, ma anche dal bere acqua, fumare e avere rapporti sessuali. Ci sono comunque delle eccezioni che sono previste ed ammesse per coloro che non godono di buona salute e per i bambini ed anziani. In questi giorni mi ha colpito vedere quante fonti di informazione hanno parlato di questa scadenza. Quasi tutti i quotidiani italiani ne hanno riportato la notizia, spiegando di cosa si tratta. Lo stesso hanno fatto agenzia di stampa. È un segno evidente di quanto anche la società italiana stia cambiando e di come questo momento così importante per un cultura fino a qualche decennio fa assolutamente estranea alla nostra ne stia diventando sempre più parte integrante.
Come ogni anno, il Dicastero per il dialogo interreligioso ha inviato a nome del papa un messaggio di auguri a tutti i fedeli musulmani; intitolandolo, significativamente, «Cristiani e musulmani: promotori di amore e d’amicizia». Il testo sottolinea come durante il sacro mese di Ramadan «si rafforzano le amicizie esistenti e se ne costruiscono altre, aprendo la strada a una convivenza più pacifica, armoniosa e gioiosa. Questo corrisponde infatti alla volontà divina per le nostre comunità, per tutti i membri e le comunità dell’unica famiglia umana».
Il messaggio riprende alcuni punti chiave della dichiarazione di Abu Dhabi, firmata nel 2019 da papa Francesco e dal grande imam de il Cairo, al-Tayyeb. In questo ambito mette in rilievo come, di fronte alle molte sfide e minacce odierne – estremismo, radicalismo, polemiche, dispute e violenza a sfondo religioso – alimentate dalla cultura dell’odio, sia necessario «trovare le modalità più opportune per contrastare e vincere tale cultura, fortificando invece l’amore e l’amicizia, in particolare tra musulmani e cristiani, in virtù dei legami che ci uniscono».
In tal senso il testo cerca di mettere in evidenza l’importanza di un lavoro di presa di coscienza che i leader delle due religioni devono compiere onde evitare che le differenze di religione, di etnia, di cultura, di lingua o politiche rappresentino una minaccia capace di suscitare comportamenti negativi come «sospetto, paura, rivalità, discriminazione, esclusione, persecuzione, polemica, insulti e maldicenze». Quest’anno particolare attenzione è data alle «piattaforme dei social media [come] spazi comuni per tali comportamenti dannosi, [capaci di] pervertire il loro ruolo da mezzi di comunicazione e amicizia a strumenti di inimicizia e lotta». La sfida comune, allora, diventa oggi quella di promuovere insieme anche sui social media comportamenti opposti come «il rispetto, la bontà, la carità, l’amicizia, la cura reciproca per tutti, il perdono, la cooperazione per il bene comune, l’aiuto a tutti coloro che si trovano in qualsiasi tipo di necessità e la cura dell’ambiente, al fine di mantenere la nostra ‘casa comune’ un luogo sicuro e piacevole dove vivere insieme in pace e gioia».
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