“È così bella la Mamma”. Come si dona un’esperienza
Due testi di Chiara Lubich del 13 ottobre 1949 e del 2 settembre 1950. Il primo è una sua esperienza, il secondo una meditazione frutto dell'esperienza.
Ancora una giornata intensa di lavoro, quel 13 ottobre 1949, piena di contatti con persone le più varie: deputati, religiosi, casalinghe, studenti… Chiara Lubich era a Roma da pochi giorni e subito, assieme ad altre compagne – Giosi, Aletta, Lia, Graziella, Marilena – aveva ripreso ad annunciare il suo grande Ideale. “E lo facevamo, racconta lei stessa, con una forza unica, tanto da meritare l’appellativo di ‘incendiarie’”. Era come mossa da un fuoco interiore che la spingeva, da un’urgenza: “Gesù va annunciato nella città eterna ed immesso dovunque”.
Un’esperienza su Maria
Chiara era giunta la prima volta nella capitale due anni prima, nel 1947, per esporre ad un famoso professore di teologia, Leone Veuthey, la propria esperienza spirituale. Era così nuova che alcuni ne rimanevano perplessi. Lui, esperto di mistica, rimosse ogni dubbio: “Voi, figliola – le disse con sincera ammirazione – partite da dove gli altri arrivano”. Già in quella prima visita i Padri Conventuali l’avevano invitata a parlare nel collegio internazionale, a gruppi di Terziari francescani, a persone con cui erano in contatto, e l’Ideale dell’unità mise radici in città e nei dintorni.
Chiara ritornò a Roma nel settembre del 1948, per cercare una casa: erano ormai così tante le persone che volevano vivere la nuova spiritualità, che occorreva una presenza stabile. Fu in quella occasione che incontrò Igino Giordani. A dicembre 1948 era nuovamente in città per stabilirsi definitivamente, ospite della Famiglia Alvino, in via Gioacchino de Rossi, nei pressi della Nomentana. Di tanto in tanto tornava a Trento per seguire l’Opera nascente.
Adesso, nell’ottobre del 1949, dopo un’estate di fuoco sulle Dolomiti, era nuovamente in città. Aveva preso dimora in un appartamento alla Garbatella, in Piazza Oderico da Pordenone, 1; quartiere appena fuori città, nelle vicinanze della basilica di San Paolo fuori le mura. Era una zona storicamente “rossa” ed operaia, con costruzioni moderne, disegnata come borgata a misura d’uomo, nell’alternanza di antiche villette di sapore medievale, condomini moderni, spazi verdi e ambienti pubblici.
L’impatto con la città, nella quale a stento si potevano riconoscere le tracce della Roma cristiana dei primi secoli, fu quasi traumatico: “come sono lontani i tempi nei quali i grandi santi ed i grandi martiri illuminavano attorno a loro con l’eterna Luce persino le mura di questi monumenti che ancora s’ergono a testimoniare l’amore che univa i primi cristiani”.
In una pagina memorabile, pubblicata sulla rivista “La Via”, in quei giorni, il 10 ottobre 1949, col titolo Resurrezione di Roma, consegnò le sue impressioni e la decisione di incendiare d’amore divino la città, riportandovi Cristo attraverso la presenza viva di una comunità, nella quale sarebbe tornato a circolare l’amore[1].
Aveva lasciato da poco le montagne trentine dove Dio l’aveva introdotta nel suo Paradiso attraverso un’esperienza mistica di rara intensità, ed ora trovava “il mondo con le sue sozzure e vanità”. Pensa a Gesù che guardava il mondo come lei lo vedeva e che pure non dubitava della sua risurrezione. Anche lei, come lui, vuole passare per Roma senza guardarla, avendo occhi soltanto per il mondo dentro di sé, così da guardare fuori con gli occhi stessi di Cristo e far tutto rivivere con la sua presenza: “Bisogna far rinascere Dio in noi, tenerLo vivo e traboccarLo sugli altri come fiotti di Vita e risuscitare i morti”.
Questo portare Dio nella società per tutto rivoluzionare, politica ed arte, scuola e religione, vita privata e divertimento, la obbliga a donarsi interamente, ovunque, in Parlamento, nei bar, per strada, sugli autobus. Chiara non ha più tempo per se stessa.
Il giorno seguente, 14 ottobre, nel pomeriggio andrà a Fregene, sul litorale romano, ospite della famiglia Alvino. Potrà trascorrere un sabato e una domenica tranquilli, scrivere ancora pagine e pagine sulla luce che Dio le dona e che le fa sperimentare il cielo, la Trinità, Maria… Perché anche adesso, nel Lazio, Chiara continua, come nel Trentino, a riceve illuminazioni e a vivere con intensità quanto Dio le fa intendere.
Ma oggi, 13 ottobre, ha appena il tempo di vergare poche righe che dicono il dolore per il contrasto tra il vortice di vita nel quale è immersa e lo struggente desiderio di essere come Maria, nascosta, avvolta nel silenzio; il desiderio di vivere raccolta e nota soltanto a Dio, per concentrarsi nella formazione al suo Ideale della famiglia di figlie e figli che, sempre più numerosi, nascono attorno a lei. Ne scaturisce una pagina di diario incisiva, di rara bellezza:
Quante volte mi passa per l’anima il desiderio d’imitare la Mamma anche in tutta la sua vita esteriore.
Vorrei essere e rimanere sconosciuta e nota solo al mio Dio, che m’occupa il cuore, ed al Gesù che vado formando nelle mie anime…, quelle ch’io conosco e che conoscono me. E vorrei non uscire mai da questa cerchia e non parlare mai ad altra gente del gran segreto custodito nel mio cuore: il mio Ideale.
Ma la volontà di Dio mi chiama anche ad altro, anche a mettermi in mostra fra la gente. E questo stato di cose mi umilia, donandomi la gioia della mia inferiorità di fronte a Lei! Umiliazione che ambisco e desidero e che mi garantisce la mia vocazione di figlia di tanta Madre, di cui conosco il cuore e la virtù e la vita e alle cui ginocchia mi siedo, felice d’averLa di fronte a me come mamma e modello e regina: vera copia di Dio.
Una meditazione su Maria
Negli anni precedente e in questi primi anni Cinquanta, Chiara ha diffuso il suo Ideale soprattutto con la parola, ma anche scrivendo tantissime lettere ai più vari destinatari. Ha dato alle stampe qualche breve scritto, su periodici di tiratura e ambito di diffusione molto limitati, raggiungendo un ristretto pubblico. Adesso che è a Roma, gradatamente le si aprono nuove opportunità: può scrivere su “La Via”, diretta da Igino Giordani e presto su “Città Nuova”.
Il raggio dei destinatari si allarga e richiede un modo di porgere più universale. La raccolta di quei primi articoli darà vita, nel 1959, ad uno dei più famosi, più tradotti e più letti libri di Chiara: Meditazioni. È qui che leggiamo il testo “È così bella la Mamma”[2][3], che sembra essere una rielaborazione dell’esperienza del 13 ottobre 1949[4]. La versione che ora riportiamo, poi ritoccata per la pubblicazione, è originale e inedita., già pubblicato su “La Via” il 2 settembre 1950
È così bella la Mamma nel suo perenne raccoglimento in cui il Vangelo ce la mostra: “Conservabat omnia verba haec conferens in corde suo”.
Quel silenzio pieno ha un fascino per l’anima che ama.
Come potrei vivere io Maria nel suo mistico silenzio quando la mia vocazione è parlare per evangelizzare, sempre allo sbaraglio, in tutti i luoghi ricchi e poveri, dalle cantine a Montecitorio, dalla strada ai Conventi di frati e di suore?
Anche la Mamma ha parlato. Ha detto Gesù. Ha dato Gesù. Nessuno mai al mondo fu apostolo più grande. Nessuno ebbe mai parole come Lei che diede e disse il Verbo.
La Mamma è veramente e meritatamente: Regina degli Apostoli.
E Lei tacque. Tacque perché in due non potevano parlare. Sempre la parola ha da poggiare su un silenzio, come un dipinto sullo sfondo.
Tacque perché creatura. Perché il nulla non parla. Ma su quel nulla parlò Gesù e disse: se stesso. Iddio Creatore e Tutto parlò sul nulla della creatura.
Come allora vivere Maria, come profumare la mia vita del suo fascino?
Facendo tacere la creatura in me e su questo silenzio lasciando parlare lo Spirito del Signore.
Così vivo Maria e vivo Gesù. Vivo Gesù su Maria. Vivo Maria vivendo Gesù. Vivo Gesù vivendo Maria.
Lettura dell’esperienza
I due testi, quello del 1949 e quello del 1950, mostrano una grande diversità dal punto di vista formale: maggiore brevità il primo, quasi la metà, rispetto al secondo; assenza, nel secondo, di significative parole chiave del primo, quali “umiliazione”, “inferiorità”…; il primo si presenta, nel tipo di scrittura, vergato di getto, a caldo, annotazione immediata di un’esperienza, il secondo elaborato con molta cura e finezza.
Soltanto due frasi si richiamano esplicitamente nei due testi: “Vorrei essere e rimanere sconosciuta e nota solo al mio Dio”, nel secondo diventa: “Come potrei vivere io Maria nel suo mistico silenzio”; “Ma la volontà di Dio mi chiama anche ad altro, anche a mettermi in mostra fra la gente”, nel secondo diventa: “la nostra vocazione è a volte parlare per evangelizzare, sempre allo sbaraglio”.
Per il resto non appaiano parallelismi evidenti. Sorprendono poi i due incipit, completamente opposti tra di loro: nel primo c’è “il desiderio di imitare la Mamma anche in tutta la sua vita esteriore”, nel secondo il “fascino” del “perenne raccoglimento” e del “silenzio” di Maria. Eppure è evidente che Chiara sta narrando, pur con modalità così distanti l’una dall’altra, un medesimo sentire, un anelito a rivivere il nascondimento di Maria anche nella sua vita esteriore.
La lettura comparata dei due scritti può aiutare, in qualche modo, a capire come Chiara “evangelizzava”, come trasmetteva la parola che Dio aveva seminato nel suo cuore. Lo faceva soprattutto comunicando quanto viveva di Vangelo, partendo dalla propria esperienza.
Il primo testo è un brano di diario che testimonia in diretta un momento particolare del suo vissuto come tradiscono subito le prime parole di taglio esperienziale: “Quante volte mi passa per l’anima il desiderio d’imitare la Mamma”. L’inizio dell’esperienza è dunqueun desiderio di imitare Maria capace, anche nel suo andare per il mondo, di rimanere in silenzio, nascosta, nota solo a Dio, in rapporto prima con Giuseppe e con il figlio suo, poi con la ristretta cerchia dei discepoli.
Come lei anche Chiara vorrebbe essere “sconosciuta” e nota solo al suo Dio, che la inabita, e al cerchio di persone con le quali condivide il nuovo ideale di vita e che va formando ad esso. Vorrebbe custodire in cuore il “gran segreto” della scoperta di Dio Amore e dell’unità.
Proprio guardando a Maria – ecco il secondo passaggio dell’esperienza –, percepisce la sua lontananza da quel modello. A differenza di Maria, ella si vede lanciata in mezzo alla gente, in primo piano, quasi allo sbaraglio, come in mostra, dovendo annunciare a tutti la grande nuova: Dio ti ama immensamente! Si intuisce il dolore che passa nella sua anima alla costatazione di non poter vivere, anche esternamente, come Maria.
È volontà di Dio, per Chiara, andare ovunque a portare il suo ideale di vita, il Vangelo riscoperto in modo nuovo grazie al carisma conferitole, ma questo non toglie il senso di lontananza dal modello di Maria, che ella vorrebbe rivivere. Soffre nel non poterla imitare appieno nel suo nascondimento, ben consapevole di essere da meno di lei, inferiore a lei, la Tutta Santa.
Subito l’esperienza prosegue, in un terzo passaggio, verso una direzione inattesa: “inferiorità” e “umiliazione” nei confronti di Maria non ingenerano frustrazione o angoscia, piuttosto infondono gioia. L’“inferiorità” (= stare sotto, più in basso), l’“umiliazione” (= essere poco elevato da terra) davanti a Maria non fanno altro che mettere ancora più in luce la grandezza di lei. È come quando una bambina, perché piccola, gode nel vedere davanti a sé la grandezza della mamma: più la mamma è grande più la figlia ne è fiera.
Per Chiara inferiorità e umiliazione diventano addirittura oggetto di desiderio, sono come una garanzia della sua vocazione a figlia di Maria: la mettono al posto giusto, il più ambito, ai piedi di lei! Inferiorità e umiliazione in questa esperienza conducono a sedersi alle ginocchia di Maria, in atto di ascolto, di contemplazione, per imparare da lei “mamma e modello e regina: vera copia di Dio”. Chiara è ora “felice” d’averla di fronte a sé, di stare di fronte a lei.
Nel secondo testo, quello del 1950, Chiara non scrive più per se stessa, ma per un vasto pubblico. In esso quasi non si riconosce più l’appunto del 1949, eppure si tratta proprio di quella stessa esperienza, soltanto che adesso è donata a tutti, raccontata in modo personalissimo e insieme universalizzata.
Rimangono ancora gli interrogativi in prima persona: “Come potrei vivere io Maria… come profumare la mia vita del suo fascino?”, ma già l’inizio pone in primo piano Maria nel suo perenne raccoglimento, oggettivando la riflessione. Non c’è più un desiderio che “mi passa per l’anima”, ma un fascino attribuito genericamente a “l’anima che ama”. Non siamo più davanti alla narrazione di un’esperienza, ma ad una meditazione pacata e serena, argomentata, che procede in maniera logica, lineare, progressiva…
Lettura della meditazione
Confrontando i due testi si possono notare alcuni passaggi della rielaborazione riflessa, direi dottrinale, dell’esperienza.
L’atteggiamento di Maria, che nell’esperienza non era esplicitato, nella meditazione diventa “il silenzio di Maria” ed è avvalorato dalla citazione biblica: “Serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2, 51). Nell’esperienza v’era un’intuizione che non necessitava d’essere tematizzata; adesso è focalizzata e compresa alla luce della Scrittura, al punto da generare “un fascino” e da suscitare il desiderio di “profumare la mia vita del suo fascino”. Nella riflessione sull’esperienza vissuta il confronto con la Parola di Dio è diventato illuminante.
L’originario “mettermi in mostra fra la gente”, nella meditazione si esemplifica: “in tutti i luoghi ricchi e poveri, dalle cantine a Montecitorio, dalla strada ai Conventi di frati e di suore”. Riflettendo sulla propria esperienza, distanziata da alcuni mesi, Chiara ha ora modo di contestualizzarla, di riandare agli inizi della sua presenza romana, di ripercorrere il vissuto ricordando luoghi, persone, episodi. Anche questo fa la meditazione: rivede la propria vita e la confronta con gli appelli del Signore.
Soprattutto la meditazione sulla propria esperienza la porta a scoprire qualcosa di nuovo, completamente assente, o almeno non registrato, al momento vissuto nel 1949: “Anche Maria ha parlato” con un linguaggio non fatto di parole, ma capace di comunicare la Parola stessa, il Verbo di Dio incarnato: “E ha dato Gesù”.
Questo passaggio è uno dei più ricchi e significavi della meditazione, non soltanto per la straordinaria riflessione sul “parlare” di Maria, sul suo essere Regina degli Apostoli, sul conseguente rapporto tra lei e Gesù, tra noi e lei e Gesù, ma anche proprio per il modo di risolvere la contraddizione, avvertita da Chiara, tra silenzio e parola. Potremmo dire che soltanto qui, nella meditazione e nel dono che ella ne fa a tutti, l’esperienza fatta mesi prima è pienamente compiuta.
Il testo di Chiara, per le tematiche che affronta pur nella brevità dello scritto, meriterebbe uno studio particolareggiato. Il nostro intento non è tuttavia penetrare nella dottrina che esso raccoglie, quanto piuttosto limitarsi a mostrare il rapporto tra l’esperienza e il modo di donarla, tra il fatto sorgivo in sé e per sé e la sua espressione per gli altri, così da renderli partecipi dell’esperienza vissuta.
Il dono dell’esperienza
In questo scritto destinato alla pubblicazione, al grande pubblico, Chiara non dà l’esperienza così come lei l’ha vissuta, ne offre piuttosto i frutti, tacendo il travaglio che le ha consentito di portar frutto. Sono sparite infatti parole come “umiliazione” e “inferiorità”, che nell’esperienza denotano un passaggio sofferto: fanno parte del suo segreto. Appena quattro pagine dopo la meditazione È così bella la Mamma, il libro Meditazioni riporta un brevissimo testo titolato Due cose segrete, nel quale Chiara sembra spiegare l’operazione compiuta nel riscrivere per il pubblico la propria esperienza: “Due cose debbo tenere segrete: l’amore e il dolore. Perché l’amore è l’amore col quale Egli mi ama, o si ama in me, e il dolore è l’amore col quale io Lo amo. La luce invece va donata”[5].
Tutto va donato, sempre, perché questa è la via di chi vive l’amore, che è donazione per natura. Nonostante le esplicite esortazioni che vengono dalla Parola di Dio (cf. 1 Pt 4, 9; 2 Cor 13, 11; Col 3, 16; Eb 10, 24-25…), una certa tradizione spirituale ha preferito raccomandare un atteggiamento di forte riserbo riguardo alla comunicazione delle realtà della vita interiore. Esse potevano essere affidate al proprio diario, al direttore spirituale, al confessore, ma non ad altri. Si era soliti citare un testo del libro di Tobia in cui si dice che è bene tenere nascoste le cose del re.
Tuttavia questa affermazione, nello stile letterario ebraico, serve soltanto come rafforzativo della seconda parte del versetto, sistematicamente e inspiegabilmente passato sotto silenzio, che invita a comunicare i doni ricevuti: “È bene nascondere il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio” (Tob 12, 7). Forse si confondeva la sincera comunione delle realtà più profonde della propria anima con l’esibizionismo, lo sfogo, lo sterile parlare di sé. Anche san Tommaso aveva detto che “è più perfetto donare agli altri ciò che si è contemplato che contemplare soltanto”[6]. Ma come donare?
Molti anni più tardi Chiara avrebbe dato vita ad un nuovo modo di trasmettere il suo carisma, in forma di dialogo fatto di domande da parte dei membri del Movimento alle quali rispondeva sminuzzando il suo insegnamento. Le trascrizioni delle registrazioni costituiscono un genere letterario tutto particolare rispetto ai suoi scritti e, per la loro immediatezza, sono ricchissimi di sapienza.
Rispondendo a chi le domandava se ci sono realtà che vanno custodite nell’intimità con Dio o se è bene comunicare tutto – siamo nel 1995, molto lontani dai due testi fin qui letti –, Chiara riprendeva la citazione del libro di Tobia, riformulando l’interrogativo: “Teniamo segreti o li riveliamo? La mia esperienza è questa: io ho scritto che il dolore e cioè il mio amore verso Dio, e l’amore, cioè quello che sento che Dio ha verso di me, vanno taciuti; ciò che va data è la luce, cioè l’esperienza che se ne fa”.
Adattandosi poi al particolare uditorio che ha davanti, si immedesima nella sua problematica specifica: “Per esempio: io ho un dolore, una grandissima tentazione contro la purezza. In questa tentazione cosa faccio? Abbraccio Gesù crocifisso, come facciamo sempre noi, che è dolore, e ci risolviamo. Cosa devi dire tu alle altre quando comunichi questa tua esperienza? Devi dire che hai avuto una tentazione sulla purezza? No, perché va taciuto l’amore e il dolore. Va data la tua esperienza. Tu dici: ‘Sai, nelle prove della vita, prova ad abbracciare Gesù Abbandonato e ti troverai nella luce, ti troverai nella pace’. Quindi va data l’esperienza, non va dato il particolare. Qualche volta questi particolari sono grossi, per esempio l’anima è invasa da scrupoli; oppure cose positive, non so, ha qualche grazia particolare. E questi [particolari], come facciamo con questi? Questi noi li riferiamo a persone più mature di noi nella via spirituale, che possono guidarci, che possono illuminarci. Perciò ‘è bene tener nascosti i segreti del re, ma è ottimo rivelarli’“[7].
Allora il “dolore”, il travaglio che ha portato alla luce, non va mai dato? Dipenderà dalle circostanze, dal tipo di esperienza, dalle persone a cui ci si rivolge, come sembra indicare Chiara rispondendo ad un’altra domanda che completa il suo pensiero – siamo ormai nel 2002 –: “Se per poter essere chiara nell’esperienza tu devi raccontare come l’hai vissuta, col tuo dolore, le tue prove…, allora diventa tutto amore il dare e perciò lo puoi fare, diventa carità e alla carità è permesso tutto”[8].
La via della meditazione
Abbiamo accennato al fatto che il passaggio tra lo scritto del 1949 e quello del 1950 è avvenuto attraverso una rilettura dell’esperienza, un suo approfondimento, una meditazione. Anche questo elemento è determinate per il modo di donare un’esperienza, così che essa sia costruttiva.
Chiara talvolta usava far meditazione a partire dai suoi scritti, perché in essi trovava “la strada che Dio mi ha dato, che Cristo mi ha dato, il verbo che Cristo mi ha dato”, sintetizzato della parola “unità”, “che è un particolare del Vangelo e della Scrittura”[9].
Riflettendo, durante la meditazione sull’esperienza del 13 ottobre 1949, forse non aveva sotto mano la nota di diario, ma aveva ancora viva l’esperienza di allora e ne ha fatto oggetto di meditazione, onde poterne donare la luce.
Parlando ai membri del Focolare più volte ha spiegato come si fa meditazione. Rivolgendosi alle focolarine ha detto, ad esempio: “Si incomincia a leggere un libro con calma, senza la fretta perché la fretta rovina tutto, con calma, dopo esserci messi naturalmente davanti a Dio. Se ad un certo punto si ha l’impressione che egli prenda l’anima e la elevi, allora bisogna chiudere il libro, stare con lui, ascoltarlo, rispondergli, amarlo, adorarlo, chiedergli grazie… Con ciò la meditazione deve diventare un vero colloquio con Dio: ci si sente ascoltati, gli si parla e tutta l’anima è presa da lui. È come aprire una bottiglia di profumo che sparge la sua fragranza su tutta la giornata”.
Sempre in quella stessa conversazione ha illustrato gli effetti della meditazione fatta in questa maniera, ed è evidente che sta comunicando il suo modo di fare meditazione e gli effetti che ella sperimenta: “Tu sperimenti il regno di Dio dentro di te, c’è! si sente! si può toccare con l’anima, è qualcosa di al di là di tutte le cose che si possono pensare e immaginare e sognare…”.
Ma il frutto determinante lo si ritrova nel modo di vivere che scaturisce dalla meditazione: “quando tu torni poi nel mondo anche per l’apostolato [il mondo] è di cartone di fronte a quella cosa che hai dentro di te. Tutta l’attrattiva che c’è nel mondo in genere, che piglia le anime, ti scompare, perché hai sperimentato un altro regno, un’altra società, un’altra umanità: quella di essere tu con Dio, con Gesù. Quindi per noi che siamo per la maggior parte chiamati ad essere nel mondo e non del mondo ma nel mondo, questo modo di fare meditazione è utilissimo! perché annienta, annulla tutta l’attrattiva che il mondo avrebbe su di noi, c’è un’altra cosa che ci attira”.
Non è questo che ha prodotto la meditazione di Chiara sulla propria esperienza vissuta quel 13 ottobre 1949? È rimastra attratta da Dio, dal suo amore, in particolare è rimasta affascinata da Maria[10]. Tace in lei la creatura e tacciono le creature. La realtà esteriore di Roma, sia come sia, non parla più, lasciando che a parlare sia soltanto lo Spirito del Signore: “vivo Maria e vivo Gesù. Vivo Gesù su Maria. Vivo Maria vivendo Gesù. Vivo Gesù vivendo Maria”. Pur “sempre allo sbaraglio in tutti i luoghi ricchi e poveri, dalle cantine a Montecitorio, dalla strada ai Conventi di frati e di suore”, tutto si è soprannaturalizzato, ed ella rimane lì, nel suo cielo, e da lì acquista lo sguardo di Gesù: il tocco della mano di lei diventa quello di lui, di lui l’accento della sua voce[11].
L’evangelizzazione (“la nostra vocazione è a volte parlare per evangelizzare”) è annuncio di un Vangelo diventato vita, è testimonianza, è comunicazione di un’esperienza riflessa, oggettivata e pur sempre personale, come insegna la prima lettera di Giovanni (cf. 1 Gv 1, 1-4): noi annunciamo “Ciò che era fin da principio…. ossia il Verbo della vita”, una realtà che ci precede e ci trascende infinitamente, non posta da noi, ma da noi scoperta perché a noi rivelata e donata; nello stesso tempo annunciamo “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato”, una realtà divenuta nostra perché fatta vita della nostra vita.
[1] Il testo, da cui sono tratte le citazioni qui riportate, si può trovare in Nuova Umanità.
[2] Scritti spirituali/ 1, Città Nuova, Roma 1978, pp. 31-32.
[3] P. 5 sotto il titolo La Parola di vita.
[4] Riportiamo lo scritto nella sua versione originale, inedito, poi riadattato forse da Igino Giordani direttore della rivista “La Via”. Il testo è stato successivamente ritoccato per l’edizione di Meditazioni del 1959, così come per quella del 1991, dove il titolo non è più È così bella la Mamma ma È così bella Maria.
[5] Scritti spirituali/ 1, cit., p. 36.
[6] Summa, IIa IIae, q. 188, art 6.
[7] Trascrizione da registrazione, Grächen (Svizzera), 21.07.1995.
[8] Trascrizione da registrazione, Loppiano, 17.01.2002.
[9] Trascrizione da registrazione, Ottmaring (Germania), 24.11.1998.
[10] Trascrizione da registrazione, Castel Gandolfo, 7.12.1998.
[11] Cf. Il tempo mi sfugge veloce, in Scritti Spirituali/ 1, cit. p. 63.