E’ ancora vivo lo spirito di De Coubertin?

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Apollo, dio del sole, manda i tuoi raggi ed accendi la sacra torcia. Zeus, da’ pace a tutti i popoli della terra ed incorona i vincitori della sacra corsa. L’invocazione, pronunciata sul monte Olimpo in occasione della accensione della fiaccola olimpica, mostra palesi i due volti dei Giochi: l’anacronistico legame con gli dei in naftalina dell’Antica Grecia, buoni tuttavia per tenere viva un’idealità perduta, e l’auspicio evidente che tutto vada per il verso giusto. Ad un centinaio di giorni dal via è infatti più che fondato il timore che ad Atene non tutto sia pronto per il 13 agosto e che i soldi, tantissimi, spesi dai greci, soprattutto per l’ordine pubblico, non bastino, alimentando provocazioni graffianti come quella di invitare gli atleti a portarsi di casa podi e medaglie. Dai Giochi di Atene non emergerà alcuna novità. Si spera solamente che gli interventi urbanistici risultino alla fine positivi per quella città. Quanto meno i milioni di euro spesi serviranno a qualche cosa. L’affermazione, severa ed amara, è di Antonio Lombardo, docente di Storia dello Sport al Corso di laurea in Scienze Motorie dell’università di Tor Vergata a Roma, massimo esperto di De Coubertin e delle Olimpiadi moderne. A pesare sull’organizzazione dei Giochi è anche l’affollamento crescente, di edizione in edizione, di discipline che ambiscono al palcoscenico olimpico: Ad Olimpia, per parecchi secoli – spiega Lombardo -, si mantenne una tradizione basata su poche gare. Anche De Coubertin privilegiava gli sport individuali e negava dignità olimpica agli sport di squadra. Oggi si tende a inserire le discipline sportive più diffuse e ad eliminare dal programma quelle non praticate in un numero congruo di paesi. Fino a trovate cervellotiche come quella di ammettere il bridge tra le discipline dell’Olimpiade invernale di Torino 2006!. L’evoluzione subita dai Giochi olimpici moderni da quella prima edizione del 1896, proprio ad Atene, voluta da De Coubertin è notevole: In lui – precisa Lombardo – era molto netta la distinzione tra festa e spettacolo: l’Olimpiade doveva essere la festa mondiale della gioventù. Al contrario, i Giochi si sono trasformati nel più grande spettacolo del mondo. Appare stridente oggi il divario tra le basi culturali su cui De Coubertin aveva poggiato l’edificio olimpico (la tradizione classica, i modelli vittoriani, i riferimenti alla pedagogia anglosassone di Arnold) e il governo dello sport negli anni più recenti. Privi delle tensione emotiva infusa dal suo fondatore, i Giochi si sono trasformati in semplici manifestazioni sportive. Come doveva concretizzarsi il valore pedagogico dello sporto secondo i suoi princìpi? L’olimpismo, vale a dire la nuova filosofia dello sport, aveva l’obiettivo primario di creare uomini nuovi più forti nel fisico e nel carattere. Gli atleti, le élites, erano un esempio da imitare per le vecchie classi dirigenti ritenute non adatte a governare una società dominata dalla diffusa presenza delle folle. A De Coubertin è attribuita la paternità dei Giochi olimpici ed a lui tutti riferiscono la famosa frase L’importante non è vincere, ma partecipare .Ma De Coubertin chi fu in realtà? De Coubertin non solo non fu l’autore della frase sopra citata – spiega Antonio Lombardo, autore del volume Pierre De Coubertin. Saggio storico sulle Olimpiadi moderne (1880-1914), Rai-Eri -, ma soprattutto fu fautore di un modello sportivo incentrato su valori diametralmente opposti, finalizzato all’agonismo spinto agli estremi, anche se ancorato ai valori del fair play. È un personaggio entrato nella leggenda e tutto sommato poco conosciuto: il barone francese ripristina i Giochi olimpici nel tentativo di dare risposte alla cosiddetta crisi di fine secolo che investe le società europee. Di fronte all’industrializzazione, alla questione sociale, ai prodromi della società di massa, percepiti dalle classi dirigenti come l’inizio della fine del mondo tradizionale, De Coubertin lancia la proposta dello sport olimpico come una nuova religione civile. Quale fu il modello dei Giochi voluti da De Coubertin? Considerò sempre i Giochi di Stoccolma del 1912 come l’Olimpiade perfetta: poche discipline, pochi giorni di gare, perfetto inserimento della manifestazione all’interno delle tradizioni scandinave. Non sempre, comunque, De Coubertin riuscì ad interpretare al meglio le situazioni in cui si collocavano i Giochi: il barone francese difese sempre i Giochi di Berlino del 1936! Anche a Stoccolma si esaltarono i culti locali, in particolare il Normanno quale eroe epico preso a modello per la gioventù di tutto il mondo. È evidente l’accettazione del darwinismo sociale quale ideologia posta a base di ogni dinamica socio-culturale. Nello sport di oggi si può ancora parlare di olimpismo? Assolutamente no: la concezione corrente di sport è totalmente diversa. De Coubertin aveva inventato i Giochi per modificare le basi culturali dello sport, accusato di eccesso di professionismo e di mancanza di valori positivi. Da qualche decennio lo sport ha al contrario contaminato l’olimpismo condannandolo ad ancorarsi su quei valori negativi combattuti dal barone francese. Di fronte agli interessi economici crescenti, al doping, alla violenza negli stadi, alla esasperata spettacolarizzazione che stanno modificando radicalmente il fenomeno sportivo, non è certo da essere ottimisti: Gli esempi che provengono dagli sport professionistici – conclude Lombardo – sono drammaticamente di segno negativo. Lo sport sembra condannato a un sicuro declino se non intervengono dei correttivi di fondo. Musica e sport sono due strumenti formidabili per comunicare tra e con i ragazzi: se questi strumenti vengono meno, se prima di tutto scuole ed università non li promuovono, si condannano intere generazioni ad un ulteriore isolamento e alla solitudine.

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