È ancora viva la poesia

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Ci sono ancora, per fortuna, persone di lucida intelligenza che guardano il mondo e la vita con occhio di contemplazione e riflessione. E poi lo sostanziano in versi. La loro è una poesia di alta meditazione, in cui l’universo culturale acquisito si plasma in una visione personale: così che i riferimenti a letteratura a filosofia ad arte del passato divengono presente vivo, materia lavorata con disciplina formale attenta. Si leggono questi versi, e non ci si sazia, pur nella loro intensità: perché ognuno rimanda non tanto e non solo a sensazioni, ma a vita vissuta, trasfigurata poi dalla poesia che è riflessione e sentimento lirico insieme. È questo il mondo, anzi l’universo, delle poesie di Giovanni Casoli. In un’epoca in cui si discute sempre più spesso se la poesia serva ancora, o in cui la poesia stessa a volte degenera in artificio retorico o stilistico, i Poemetti dell’autore romano hanno il sapore pregnante dell’essenzialità: meglio, della verità. Perché, nell’itinerario intellettuale spirituale e umano di Casoli, è la sete inesausta della verità a porsi in primo piano: essa appare il tessuto sottostante al fluire poetico, l’anima della sua stessa anima. Con quale commozione allora si leggono i Cinque poemetti(1) aperti dalla briosa autoironia della copertina, con il Ritratto del padre eseguito dalla bambina del poeta nel ’94. Casoli inizia d’impeto, con versi di ampiezza riflessiva straordinaria: “Gloria/ in excelsis/ in profundis/… in ciò che è tra i due abissi/ che parla, guarda, non vede, non dice/… con paura e senza pietà”. C’è un carico di tensione morale unico, un sublimare la riflessione, che fa pensare a uno sguardo che si direbbe biblico in quel Natale 1986. Poi, seguono i quattro poemetti: Sibilla & Tailai, Il testamento, Per distinguere i vivi e i morti, La vita poetica. Non sono, queste, poesie da leggersi una dopo l’altra, per quella specie di voracità intellettuale che pure potrebbe prenderci a causa del loro fascino immediato. Esse vanno centellinate. Sono come un corale bachiano da cui si stacca un’aria solista di grande commozione: ma tutto l’affresco ha una sua rara bellezza. Sentire in Sibilla & Tailai l’incipit musicale “Io canto un altro canto/ al suono del dolore,/ tu/ inaridisci nel silenzio,/ ti dilati nel nulla”…: non è solo attacco lirico e melodioso ma pensiero sul mistero e sulla vita, un guardare dentro e fuori di sé, dilatandosi verso orizzonti universali. Nel vasto poema Il testamento, Casoli unifica dramma e narrazione: una “sacra rappresentazione” “laicamente religiosa”: “Com’è immobile: è lei/ ma è già (la mamma morta, ndr) una statua irraggiungibile./ Eppure ho tremato/ molte volte, stanotte/ credendo si muovesse…”. Ma sempre Casoli alza la melodia personale a dimensione metastorica, cui dà voce il coro… “L’anima che ha perduto la speranza/ dall’una all’altra si muove in spavento/ chiedendo neppure la gioia/ ma qualche pace e una morte non dura,/ una sicura fine”. Versi che sono il riflesso della postmodernità contemporanea; ma anche lo specchio di sempre, di quando l’uomo perde sé stesso. Quel che non cessa di affascinare in questi testi è il continuo intreccio vita-morte, disperazione-speranza, passato- presente ; ma pure giocosorriso, satira-umorismo, polemica-dramma: insomma, la gamma intera di un poeta che vive, osserva, narra. Con imprevedibili squisitezze come il sonetto Donna, s’io non credessi disgustarte, un gioiello che lega finemente il passato al presente. Tutto infatti in Casoli è sincero. La poesia nasce “co’ conati miei” – direbbe lui – non solo da una lunga gestazione interna, ma anche per ispirazione improvvisa, sorgiva: “L’albero che s’indora di fulgore/ autunnale, di carminio/…squadra l’aria/ come il foglio del disegnatore/ e la contiene precisamente…”. Casoli sa la fatica del poetare. “Vive d’altro la vita poetica/ e per altri; se in sé/ cercasse nulla troverebbe,/ e per sé una rovina;/ e dunque comprenderla, vederla/ quanto la luce, è impossibile”… Dolore, quasi impossibilità. Ma alla fine del cammino d’arte di Casoli non si rimane incompiuti o amari. Piuttosto – ed è la sorpresa – accompagnati da una luce “piena d’amore”. Una poesia infatti è questa che ci fa arrivare con l’autore al “limpido fluire nel più grande mare”: a chiudere cioè bene il cerchio dell’esistenza, nel calore di quella verità – e Casoli se ne fa interprete – cui tutti agogniamo.

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