E alla fine tutto sarà bene
Esiste un libro che, in un’epoca oscura in cui si temeva Dio come un giudice severo e ogni calamità, dalla peste alla guerra, veniva considerata una sua punizione per i peccati degli uomini, parla audacemente di Gesù come Madre. Scritto da una che si definiva illetterata, quando la donna era esclusa dall’istruzione e ritenuta un essere inferiore (qualcuno dubitava persino che avesse un’anima), questo libro occupa un posto di rilievo nella letteratura anglosassone. Ma soprattutto conforta, stimola ad amare, induce alla speranza e alla gioia: perché – vi è detto e ripetuto – alla fine tutto sarà bene. È il Libro delle rivelazioni di Giuliana di Norwich (1342-1416), una mistica inglese che visse per circa quarant’anni da reclusa in quella cittadina, antica capitale del Norfolk, allora seconda per importanza solo a Londra. Se del personaggio conosciamo a fondo l’esperienza spirituale grazie a un testo che ha nutrito generazioni di lettori (fra gli altri Thomas Merton, che ha scritto: Ho pregato molto per avere un cuore saggio: credo che la riscoperta di Giuliana di Norwich mi aiuterà), scarne invece sono le notizie riguardanti la vita esteriore, al punto che ne ignoriamo perfino il luogo di nascita. Più documentato l’evento che segnò l’esistenza di Giuliana (o meglio Katherine, stando al suo vero nome): il 13 maggio 1373, quando aveva ormai superato i trent’anni, nel corso di una malattia che la portò in punto di morte, ebbe una serie di visioni centrate attorno alla passione di Cristo. In seguito avvertì la chiamata a chiudersi in un romitorio adiacente alla chiesa di San Giuliano a Norwich, dove, accudita da una donna, rimase fino alla morte, lasciando fama di grandissima santità . Non senza però aver fissato per iscritto il ricordo delle sue esperienze mistiche in una prima stesura seguita, dopo anni di meditazione, da una seconda e forse da una terza. Oltre all’aggiunta più sostanziosa (la lunga parabola del padrone e del servo in cui sono adombrati Dio Padre e Adamo/ Cristo), le modifiche da una redazione all’altra denotano un progredire in serenità e sicurezza e sottolineano l’universalità delle Rivelazioni, rivolte non solo a lei, ma a vantaggio di tutti i fratelli cristiani. Verrebbe voglia di saperne di più, di Giuliana. Per questo giunge quanto mai gradita la pubblicazione de La cella di Juliana (Ed. San Paolo), eccellente biografia romanzata in cui la figura della reclusa di Norwich prende vita su uno sfondo storico ricostruito senza appesantimenti eruditi. L’autore, il canadese Ralph Milton, si è calato nella vicenda e nella psicologia del personaggio al punto che chi legge ha proprio l’impressione di essere contemporaneo di Giuliana. Siamo in un’epoca tormentata come poche: guerra dei Cent’anni, pestilenze, scisma di Avignone, persecuzione dei Lollardi” I servi della gleba cominciano ad insorgere con furia distruttrice contro i potenti, anche ecclesiastici, e la voce genuina della chiesa si esprime soprattutto nei mistici, nei reclusi, nelle anime semplici del popolo. Epoca di terrore, di eccidi, di soprusi, da cui per poco non esce sovvertita la struttura sociale dell’Inghilterra. Anche Norwich ne è travolta. Ma non Giuliana, la cui autorità spirituale la pone al riparo dalle rappresaglie. L’autore ci fa penetrare nella sua cella, partecipare ai suoi momenti di dubbio, di sofferenza e di abbandono confidente in Dio, alle sue conversazioni con quanti, in momenti così tragici, sono in cerca di conforto o di consiglio: anime semplici, reietti della società, sacerdoti innovatori braccati dalla chiesa istituzionale come John Ball e mistiche come Margery Kemp. Sullo sfon- do delle lotte fratricide e delle turpitudini dei potenti, emerge un’altra storia, l’unica che veramente conta: quella di cui Dio va reggendo le fila nella sua misericordia per la quale alla fine tutto sarà bene. Sì, alla fine: perché non è quaggiù la meta definitiva. Non prigione o tomba, dunque, appare la cella di Giuliana, ricercata ormai dalle folle come maestra spirituale malgrado lei non si consideri una guida (Sono, dopotutto, una donna, fragile, umana e semplice), ma grembo materno in cui rinascere a nuova vita e da cui poter influire sulle sorti dell’umanità. Il Libro delle rivelazioni è stato definito una pacata meditazione che raccoglie attorno alla verità fondamentale – l’amore di Dio – tutti i punti più importanti e vitali della teologia cristiana. Ne deriva una spiritualità del quotidiano fatta di serenità e di equilibrio, radicata sul costante ricordo dell’amore di Dio (1). È quanto si può desumere dai seguenti passi: Dio mi mostrò una piccola cosa, grande quanto una nocciola nel palmo della mia mano, rotonda come una palla. Io la osservai e mi chiesi: Cosa mai può essere?. E questa è la risposta che mi fu data: È tutto quanto il Creato!. Io ero sorpresa che una cosa simile potesse durare, del perché non svanisse nel nulla: Dura e sempre durerà, perché Dio la ama. E così tutte le cose ricevono la loro vita dall’amore di Dio. E io conobbi la tristezza e poi la gioia, l’una e l’altra in successione, molte volte. (“) Entrambe le cose fanno parte di un’unica forma di amore. E allora io vidi che Dio è lieto di essere nostro Padre, e Dio è lieto di essere nostra Madre, e anche di essere il nostro vero Sposo. E Cristo è felice di essere nostro Fratello, e il nostro unico Salvatore. Sembra incredibile che un testo così positivo sia potuto scaturire da un mondo grondante paura, sangue e sofferenza, che per certi versi ricorda il nostro di oggi, in profonda crisi: un contrasto che dà modo di cogliere ancor meglio la novità e la preziosità delle Rivelazioni. Ecco perché quest’opera, forse più di altri testi spirituali medioevali, tocca in profondità anche il lettore contemporaneo, risultando ristoratrice come una brezza nel nostro travagliato presente. Per tornare al romanzo, di grande efficacia risulta la scelta dell’autore di far impersonare la serva che accudisce Giuliana da un’ex prostituta analfabeta, che si riscatta divenendo amica, sorella e confidente della reclusa, a riprova di ciò che le Rivelazioni propongono: l’immagine vera di un Dio Padre di tutti e per il quale il peccato, anche se inevitabile, non è, è l’Amore. RECLUSIONE, NON ESCLUSIONE La vocazione alla vita solitaria ha origini antiche nella storia della chiesa. Nel Medioevo, questo fenomeno fu largamente diffuso nelle isole britanniche, dove è documentata la straordinaria irradiazione spirituale dei cosiddetti reclusi o romiti. Reclusione non significa tuttavia esclusione dalla vita sociale: lo dimostra appunto il caso di Giuliana di Norwich, la cui cella inserita nella città aveva una finestra che permetteva di assistere alle celebrazioni liturgiche all’interno della chiesa di San Giuliano, e un’altra aperta sull’esterno per ascoltare quanti a lei si rivolgevano. La presenza frequente, inoltre, di un piccolo orto accanto al romitorio e di una domestica, che si occupava dei bisogni materiali della persona reclusa, temperava ulteriormente questa solitudine, fatta essenzialmente di preghiera e di lavoro.