E alla fine fu Francesco

Una settimana fa veniva eletto papa il cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ha scelto il nome Francesco. Il ricordo di quella serata vissuta in piazza san Pietro, tra la folla trepidante ed emozionata
Papa Francesco

Vivere a Roma presenta sicuramente dei vantaggi. Non ci sono solo il clima quasi sempre favorevole, le opere d’arte fra le più belle al mondo o la suggestione dei colori che questa città può regalare nei momenti più inaspettati.

Uno dei vantaggi che in molti abbiamo scoperto, mercoledì 13 marzo, è quello di poter vivere in diretta l’elezione di un pontefice. Sì è vero, ci sono i social network, le televisioni e internet che rendono “globale” ogni evento, annullano distanze; favoriscono una condivisione in tempo reale delle emozioni che prima non era possibile nemmeno immaginare. La comodità di stare davanti a uno schermo può avere un suo perché, ma calpestare quei sanpietrini, avere le proprie braccia, gambe, mani e piedi accanto a quelli di migliaia di altre persone da tutto il mondo qui accorse, respirare la stessa aria e prendere la medesima pioggia leggera, ha un sapore particolare. È tutta un’altra esperienza che, prima o poi, ognuno dovrebbe avere la possibilità di provare.

il 13 marzo lascio casa intorno alle 18, quando comincio a capire “che è ora”. In verità non immagino ciò che sta per accadere. Mi reco verso San Pietro, una manciata di minuti di treno dalla stazione Trastevere. Mi accorgo che nel vagone stracolmo siamo in tanti a percorrere lo stesso tragitto. Non sappiamo ancora se il fumo sarà bianco o nero, ma c’è la tacita certezza che fa bene andare lì, essere lì, tutti insieme. I vagoni si svuotano alla stazione di Roma San Pietro e in massa cominciamo a camminare verso il colonnato. Non sappiamo nemmeno i nomi gli uni degli altri, ma stasera sembra di conoscersi da sempre.

La pioggia comincia a scendere all’altezza dell’ex Sant’Uffizio, poco prima di arrivare al colonnato. Ci sono i metal detector e inflessibili controlli per l’accesso alla piazza. Poi, appena al di là, la rigidità del protocollo lascia spazio alla creatività e al calore di famiglia che si respira in ogni angolo della piazza. Quella distanza che di solito non fa parlare gli estranei fra loro sparisce: si sorride, si chiede al vicino da dove proviene, si condividono aspettative, ansie, e…anche qualche pronostico. Sempre con il naso all’insù. Voci mescolate alla pioggia, in un’atmosfera carica di quella attesa che rende speciale ogni passaggio epocale.

E le voci sono diverse: ci sono i turisti e i pellegrini, ci sono i bambini e le famiglie, i giovani e gli anziani. Ci sono le “borgatare”, squisite nella loro semplicità e verità, che offrono i commenti più colorati delle varie elezioni alle quali hanno assistito. Silvana ad esempio, era già presente nel marzo 1939 per l’elezione di Pio XII: «Chiaramente ricordo poco di quel conclave, ero troppo piccola- racconta – ma gli altri li ho visti tutti. Anche quelli non erano momenti facili, c’era la guerra alle porte, nel ’58 c’era invece la guerra fredda. Ogni volta c’erano delle sfide, ma la speranza è sempre prevalsa». E la stessa cosa Silvana la sente oggi, e in un bellissimo romanesco conclude: «Anche se a me sto’papa che c’era (Joseph Ratzinger, ndr) me piaceva tanto. Non so perché, ma era ‘na perzona ‘bbona».

Andando più avanti c’è invece Marisa, non credente ma “riconoscente” per quello che la chiesa fa in tutto il mondo: «Sicuramente i problemi ci sono e non vanno nascosti, l’incoerenza esiste anche nel clero, ma questo non può eliminare tutto il bene che la Chiesa riesce a fare nel mondo, anche attraverso le sue persone e le strutture. Forse sì, queste vanno semplicemente indirizzate per farle essere a servizio del Vangelo».

E poi ci sono i ragazzi più giovani, come Paolo, quindicenne, che insieme ad altri amici “tifa” per un cardinale ben preciso, e non si nasconde dietro a false diplomazie.

Appoggiati a una transenna, proprio sotto un lungo braccio della telecamera, il “jimmy”, ci sono un padre e una figlia. Anziano lui, visibilmente scosso, di mezza età lei: «L’ho accompagnato qui perché ci teneva molto, speriamo lo eleggano oggi».  Ci scambiamo un sorriso e poi continuiamo il giro della piazza.

È giusto un attimo, poi il boato: la fumata è bianca, nettamente bianca, inaspettatamente bianca. Sotto la pioggia, quel comignolo continua a sbuffare, e un sentimento di gioia e gratitudine si leva dalla piazza contagioso e irresistibile. Si sente dire “grazie” da più parti, forse in riferimento già al nuovo papa che già c’è, anche se non sappiamo ancora il suo nome.

Poi l’annuncio, quel nome, “Franciscum”, così evocato negli ultimi giorni e allo stesso tempo così sorprendente. Quel dialogo schietto tra Roma e il suo nuovo vescovo, che inizia con un silenzio eloquente, che fa sbarrare gli occhi ai miei vicini, e che si alterna alla parola dolce e paterna, alla preghiera che spinge, noi perfetti sconosciuti resi amici dalla storia, a chinare il capo e a prenderci tutti per mano in modo spontaneo. È una sorpresa dei gesti e delle parole, che dicono in modo chiaro che Francesco, prima di tutto, è un padre che ci vuole bene.

Tra l’altro, il padre e la figlia di prima si abbracciano ora sotto il jimmy in un pianto liberatorio. L’anziano è immobile, la figlia se lo accarezza e gli dice: “Hai visto? Hai visto?” come se da questa elezione fosse cambiata la loro vita. E forse, davvero, è un po’ così.

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