E a me chi ci bada?
La signora Elisa, ottantenne, ha dovuto anticipare le vacanze. Da alcuni anni trascorre qualche tempo nei mesi estivi presso un istituto di suore in una località fresca. Contava di partire intorno al 20 luglio ma già dall’8 non la vediamo più. Qualche giorno dopo telefona per salutare e dire che ha dovuto partire abbastanza in fretta perché la donna che mi accudiva è andata via. Sa, sto cercando di riposare, ma mi riesce difficile al pensiero che quando torno non so come fare. La signora Giuseppina, invece, ultranovantenne, da qualche anno è in carrozzina, dopo la rottura del femore. Donna di gran classe e altrettanto cuore, da quando non è più autonoma, è assistita amorevolmente da una signora peruviana che abita con lei. Federico è figlio unico. La sua mamma ha bisogno di assistenza infermieristica e per lei sarebbe necessario trovare una casa di riposo attrezzata in questo senso. Anche Antonietta è nella stessa situazione e per la mamma sta cercando una sistemazione adeguata. Le ricerche vanno avanti da mesi. Accettiamo solo persone autosufficienti, si sentono dire. Il problema è che, finché si riesce a badare a sé stessi, non si cerca, per lo più, una soluzione diversa da quella di casa propria. Potremmo andare avanti a lungo ed elencare, solo fra le nostre conoscenze, i casi di persone anziane, ammalate o non del tutto autonome per le quali non si sa come fare. Perché i figli e le figlie lavorano e non ce la fanno a prendersi carico di uno o più genitori (compresi quelli del coniuge). Ed anche quando non lavorano, difficilmente si riesce a reggere a lungo da soli lo stress che comporta la malattia di una persona cara. Se capita di trovarsi in ospedale, si incontrano tante storie di solitudine. Il signor Mario viene ricoverato d’urgenza per un blocco renale. Al suo capezzale la moglie, che non lo lascia giorno e notte, per tanti giorni e per tante notti. Poi nessun altro. Non hanno figli e fratelli e nipoti… sono tanto impegnati. La signora Lina, invece, di figlie ne ha quattro. Per un mese e mezzo di ricovero si prodigano con encomiabile generosità attorno alla mamma che è rimasta viva per miracolo. Non le fanno mancare niente, la accudiscono in tutto. Quando è ora di uscire dall’ospedale però, Lina è preoccupata. Che fine farà? Ce la faranno le quattro figlie a mettersi d’accordo su come procedere? Fino a quando riusciranno a reggere il peso di una situazione di salute comunque complessa? Una telefonata nei mesi successivi conferma che quelle preoccupazioni non erano infondate. La signora deve gestirsi la vita e la malattia abbastanza in solitudine. Si chiama il Welfare fatto in casa. Lo ha preso in esame un’indagine nazionale delle Acli sui collaboratori domestici stranieri che lavorano a sostegno delle famiglie. Delinea un quadro realistico e preoccupante che secondo Andrea Olivero, presidente Acli, ci mostra come siamo di fronte ad un sistema che non può reggere così per sempre, perché estremamente logorante, sia per le famiglie che per le lavoratrici immigrate, legate da una dipendenza reciproca e costrette spesso ad accordi al ribasso.Ma anche perché subordinato ai progetti migratori delle colf straniere di nuova generazione, orientate più di ieri al rientro a casa in tempi brevi, senza che nessuno possa garantirne il ricambio nel medio e lungo periodo. La situazione nei Paesi d’origine è in evoluzione: si aprono mercati lavorativi per loro più vantaggiosi sia in patria, che in Europa, che nella stessa Italia. Dalla ricerca effettuata dall’Iref, infatti, emerge che solo una colf su quattro vuole rimanere in Italia; la maggior parte è intenzionata a tornare al più presto in patria o a spostarsi altrove. Il 57 per cento lavora del tutto o in parte in nero; il 51 per cento assiste persone anziane; il 33 per cento vive nella casa in cui presta servizio e lavora fino a 59 ore settimanali. È ufficialmente entrato in crisi il sistema fai da te col quale la maggior parte delle famiglie italiane pensava di aver risolto il problema degli anziani non autosufficienti. Quella delle badanti, che sembrava la panacea di tutti i mali, si è rivelata, alla lunga, solo una soluzione a breve termine, il cui tempo sta già per scadere. Perché se aumenta la richiesta e diminuisce l’offerta si capisce che il sistema familiare non regge più. Quali soluzioni adottare? Il presidente Olivero, in occasione della presentazione della ricerca, presente il ministro della famiglia, Bindi, avanza delle proposte ben precise. La prima, creare un fondo per la non autosufficienza, con la possibilità che un membro della famiglia, potendo svolgere un lavoro part-time, sia nelle condizioni di dedicarsi alla cura dell’anziano. La seconda, reintrodurre il riscatto dei contributi versati per chi vuole andare via tramite accordi bilaterali con i paesi fuori dall’Unione. La terza, valorizzare socialmente questo tipo di lavoro con un percorso di cittadinanza temporanea. È il momento di abbandonare il fai-da-te – afferma Olivero – ed è chiaro che non si esce da questo sistema senza maggiori risorse. Perché, tra l’altro, non tutti possono permettersi una badante con le pensioni che girano… Ci vorrebbe almeno un miliardo di euro in più per la presa in carico della non autosufficienza risponde la Bindi, che riconosce come da 10 anni la solitudine delle famiglie abbia dato vita alla privatizzazione della risposta. E noi vi abbiamo assistito da spettatori incoscienti . Ben venga, secondo il ministro, un fondo nazionale, ma ci vuole anche una rete di servizi a responsabilità pubblica che prenda in mano le famiglie e i loro anziani. Come è necessaria una riforma del servizio sanitario nazionale, perché comprare l’attrezzatura per una tac da più visibilità che attivare una linea di assistenza domiciliare . E allora perché non riconoscere la tipicità di questo lavoro per la regolarizzazione dei flussi d’immigrazione? È impensabile che questa professione possa interessare qualche italiana? Perché non riconoscere a un familiare tale tipo di prestazione lavorativa?. Proposte che attendono concretizzazioni. Al più presto. RIVEDERE IL SISTEMA Intervista a Pina Brustolin, responsabile di Acli colf. C’è preoccupazione per la tendenza delle badanti a tornare sempre più in fretta nei loro Paesi. Come stanno le cose? Bisogna dire che ancora ce ne sono tante, il problema è che la gran parte di loro sono senza permesso di soggiorno, soprattutto coloro che fanno il servizio con la convivenza, stando cioè a casa della persona che accudiscono, e quindi quelle che sono più indispensabili in questo momento, nel senso che assistono anziani, malati ecc… I loro Paesi di provenienza cominciano a preoccuparsi di vedere tante loro donne che lasciano le famiglie, i figli, gli anziani e quindi iniziano a mettere dei veti. Ad esempio la Moldavia le lascia uscire con difficoltà. Pure l’Ucraina, dove la Chiesa e le autorità sono molto preoccupate. Tra l’altro queste donne mandano a casa molti soldi e i giovani si chiedono come mai loro, in patria, guadagnano tanto poco. A lungo andare bisognerà che iniziamo a pensare che l’assistenza ai nostri anziani dovrà essere svolta in un modo diverso. Quali sono i maggiori problemi a cui vanno incontro? La pesantezza del lavoro, perché sicuramente la convivenza è molto stressante, tant’è vero che noi stessi per i nostri parenti, lo facciamo con difficoltà. Inoltre non c’è neanche un riscontro economico significativo dal momento che, nella maggior parte dei casi vengono versati pochi contributi. Resta poi aperto il discorso dell’indennità di maternità, di disoccupazione, di infortunio, di malattia che ancora non esiste…. Ci sono delle italiane che svolgono questo tipo di lavoro? Si sa che ce ne sono, ed esistono i dati Inps, ma anche le italiane che fanno questo tipo di lavoro sono abituate a non versare i contributi, quindi è molto difficile fare un riscontro. Ma che ce ne siano tante lo verifichiamo tramite i nostri uffici di collocamento sparsi un po’ in tutta Italia, dove sono molte quelle che vengono a chiedere lavoro come colf o assistenza, ma sicuramente non con la convivenza presso la famiglia. Quelle che sono disposte a rimanere in casa dell’assistito giorno e notte sono solo le straniere alle quali logicamente conviene anche avere vitto e alloggio. Quali sono le strategie di Acli colf per assicurare da una parte condizioni di lavoro dignitose a queste persone e dall’altra assistenza ai sempre più numerosi anziani? Noi sosteniamo che gli enti locali, il governo, devono farsi carico dell’assistenza degli anziani, ma anche dei malati, perché di fatto ormai molti malati li mandano a casa quando hanno ancora bisogno di assistenza e cura. Sappiamo che molti enti, le stesse regioni, cercano soluzioni a questi problemi, ma bisogna trovare il modo che il costo non sia eccessivo se ci sono più persone che assistono un malato o un anziano perché un’assistenza continua, giorno e notte richiede più persone.