Due successori a confronto

Il senso di un incontro, l'eredità ricevuta, il rapporto con il fondatore, i rischi attuali per Cl e i Focolari.
Maria Voce e Juiliàn Carròn

L’attendeva all’ascensore e, appena arrivata al piano, Maria Voce è stata accolta con simpatia e calore da mons. Juliàn Carròn presso l’istituto Sacro Cuore, Milano zona Lambrate, nella cui chiesa fu allestita la camera ardente per don Luigi Giussani, scomparso il 22 febbraio 2005.

Chiamato a Milano dal fondatore nel settembre 2004, il sacerdote spagnolo, 60 anni appena compiuti, venne nominato presidente dalla Diaconia centrale della Fraternità di Comunione e liberazione il 19 marzo 2005. L’8 marzo 2008 è stato riconfermato per i successivi sei anni.

Non si vedevano dall’ottobre del 2008, quando entrambi erano stati invitati da Benedetto XVI a partecipare al Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio. La presidente dei Focolari si trovava Milano per le celebrazioni ambrosiane del secondo anniversario della morte di Chiara Lubich, e ha voluto incontrare il leader di Cl. Al termine dell’appuntamento, eccoli disponibili a rispondere alle stesse domande.

 

Un incontro tra presidenti di movimenti è sempre importante. Quale la valenza di questo?

Carròn «È importante avere un’occasione per riconoscere che  quello che ci unisce più di qualsiasi altra cosa è la gratitudine per la fede, per il carisma di ciascuno che ce la sta facendo vivere molto più intensamente e per la compagnia che ci facciamo nel vivere il proprio carisma in modo da raggiungere la pienezza della vita. Così, vivendo ciascuno secondo la modalità con cui il Signore ci ha affascinati, offriamo il nostro contributo per servire la Chiesa».

Voce «Quest’incontro ci ha fatto sperimentare la comunione tra i carismi. Quella comunione tra Chiara e don Giussani che era già cominciata nell’incontro memorabile dei movimenti convocati da Giovanni Paolo II a Roma nel 1998. Quell’appuntamento aveva generato in noi viva gioia perché aveva fatto vedere due carismi diversi ma entrambi dedicati a far crescere la comunione nella Chiesa a tutti i livelli. Riconoscere questo reciprocamente e gioire gli uni per le opere degli altri ha una grande valenza. Oggi in modo particolare».

 

La vostra presidenza possiede una caratteristica unica, storica: siete i successori dei fondatori. L’eredità che avete raccolto vi ha schiacciati in questo tempo?

Carròn «Io ho la consapevolezza che l’opera è di un altro. Per questo quello che cerco di fare nella semplicità è servire quest’opera nel migliore dei modi con le mie caratteristiche, diverse da quelle di don Giussani».

Voce «L’opera è di Dio, e Dio per costruire il Movimento dei focolari s’è servito di una creatura unica, Chiara. Una volta che lei ha lasciato quest’opera, Dio continua a portarla avanti attraverso l’ispirazione che da lei continua a venirci con la sua spiritualità, i suoi scritti, l’esempio della sua vita, così come mons. Carròn può dire per don Giussani. In questo momento l’opera di Dio è affidata alle nostre mani, ma – ci dicevamo poco fa – è Dio che ce l’ha affidata e cerchiamo di svolgere il compito di primi responsabili nel miglior modo possibile».

 

Come vivete gli inevitabili confronti con il proprio fondatore fatti anche all’interno dei rispettivi movimenti?

Carròn «Confronti non possono esserci, perché la grazia che ha investito don Giussani e Chiara è loro propria. Noi siamo “graziati” e perciò grati di poter partecipare di una grazia che ha generato pure noi. Per cui, nella misura in cui viviamo il desiderio di essere costantemente generati, noi possiamo collaborare alla continuità dei rispettivi carismi».

Voce «È un momento delicato, perché sappiamo che non possiamo fare confronti. Altri magari li fanno, ma sono raffronti che non hanno riscontro nella realtà, perché uno è il fondatore, cioè quello che è stato investito da Dio di un carisma, e altri sono i seguaci che portano avanti quanto nato dal carisma, sempre nella gratitudine verso il dono di Dio di cui anche loro sono figli».

 

Partito il fondatore, quale rischio può correre il movimento?

Voce «Un duplice rischio. Quello di restare arroccati a qualche cosa che era necessariamente legata al periodo di fondazione senza affrontare una situazione diversa dell’umanità o le nuove sfide, o di cercare di rispondere con Chiara a queste sfide ma in un modo avulso dalla storia; dall’altro lato, il desiderio di novità presente in tutti – perché desiderio di vita – potrebbe rischiare di far guardare al passato come a qualcosa da archiviare. In questo senso il periodo della generazione del dopo-fondatore è particolarmente cruciale, perché occorre testimoniare che non ci può essere novità senza continuità, che la novità comprende ed esprime tutto il passato, di cui siamo figli».

Carròn «Don Giussani usava un’espressione: “Tante volte siamo legati al ‘come’ e non al ‘quello’”. È evidente che ciascuno ha incontrato il carisma attraverso un “come”, attraverso persone, volti, situazioni. Ma per la natura storica del cristianesimo questo “come” deve cambiare. Cambia il “come” ma non il “quello”, non il contenuto di ciò che incontriamo».

 

In cosa l’esperienza dei Focolari è particolarmente rispondente all’uomo di questo tempo?

Voce «In questo mondo così frammentato e frammentario, dove i contatti sono innumerevoli, i mezzi di comunicazione consentono possibilità impensate di collegarsi con l’altro. Eppure questi contatti diventano sempre più poveri di senso, più parziali, fugaci. Il cuore umano ha invece bisogno di sentirsi legato agli altri cuori e ritengo che la testimonianza dell’amore scambievole, della comunione che i cristiani possono dare è ciò che può ridare senso all’umanità che ci circonda, è ciò che può far cogliere la bellezza di questi legami, che possono diventare duraturi, portare alla relazione».

 

Ma come?

Voce «C’è bisogno di un amore soprannaturale, capace di accettare l’altro così com’è, di non aspettarsi nulla, di andare oltre le mille distinzioni e differenze che l’umanità ci presenta; e credo che, in questo senso, i movimenti, proprio perché operano a stretto contatto con tutti nel mondo, portino una tale testimonianza e ridiano speranza. E la speranza è ciò di cui ha più bisogno l’umanità di oggi. Non per niente il papa ha scritto un’enciclica sulla speranza. E di questa speranza mi sembra possano essere un segno profetico i movimenti. Ognuno con il proprio carisma e nella comunione tra carismi».

 

Cosa rende attraente oggi la proposta di Cl?

Carròn «Sempre di più siamo davanti a una situazione in cui sta venendo meno l’umano – si parla infatti di emergenza educativa –, in cui si moltiplicano le difficoltà di un soggetto umano e della sua creatività, del suo desiderio di imparare, di crescere. In questo contesto don Giussani ci invita ad appellarsi a quello che è più originale dell’uomo – il suo cuore, la sua esperienza –, che sarà sempre più decisiva perché, come stiamo purtroppo vedendo, sta venendo meno la tradizione della Chiesa. Noi perciò dobbiamo appellarci a quello che nessun potere può togliere all’uomo, cioè il suo desiderio di felicità, la sua esigenza di bellezza, di giustizia».

 

Su cosa puntate, allora?

 Carròn «La vera sfida che abbiamo davanti è quella di vivere con tale fascino l’esperienza cristiana che il cuore degli altri possa restare colpito e riconosca in quel fascino l’offerta di una possibilità per vivere più intensamente la vita e rendere ragionevole la fede cristiana».

 

Paolo Lòriga

 

Milano di nuovo protagonista

  

Il contributo di idee e spiritualità dei Focolari al futuro della città ambrosiana

 

Fu il desiderio di liberarsi dal giogo dell’oppressione e partecipare alla costruzione di una nazione italiana libera a spingere i milanesi contro il generale Radetzky. Allora la città era capitale del Regno lombardo-veneto e quei moti hanno reso famose le Cinque giornate (18-22 marzo 1848), celebrate ancora oggi.

Proprio durante questo anniversario è stata ricordata Chiara Lubich con un convegno. Nella prestigiosa sala Alessi di Palazzo Marino – qui nel 2004 fu conferita la cittadinanza alla Lubich – erano presenti numerosissime personalità della politica, della finanza e dell’imprenditoria.

La città voleva sentirsi liberare, ora come ai tempi di Radetzky, dalle nuove oppressioni. Dalle tante ferite che ogni giorno la segnano nel profondo. Voleva sentire un messaggio di pace, di condivisione, di fratellanza, e lo cercava nel progetto di vita offerto dal carisma dei Focolari. Al tavolo dei relatori, Maria Voce, presidente del movimento, i professori Baggio e Zamagni, mons. Zappa, dell’arcidiocesi, Emanuela Scandolara, dell’associazione Arcobaleno, che opera a sostegno delle persone di altre nazioni presenti in città. A coordinare la riflessione, il vice direttore del Corriere della Sera, Gian Giacomo Schiavi.

La presidente dei Focolari dona alla cittadinanza una Chiara viva, pronta a rispondere alle esigenze più impellenti, tanto da far dire al sindaco Letizia Moratti che la città deve scommettere sull’amore, sulla fratellanza universale, su quella vocazione ambrosiana fondata sui valori di solidarietà, accoglienza e dialogo che si ritrovano nella vita di Chiara, cittadina onoraria di Milano.

 

La messa in sant’Ambrogio è l’occasione per la Chiesa ambrosiana, attraverso le parole dell’arcivescovo Tettamanzi, di sottolineare la novità e la modernità del profondo rapporto di Chiara con Dio, quale fondamento di una società creativa e dell’intuizione del focolare come cellula viva per l’edificazione di relazioni sociali rinnovate e di senso.

I due incontri hanno disegnato una sorta di programma per il rilancio di Milano: la consapevolezza che la ricerca continua del dialogo e il cammino di spiritualità sono la testimonianza di come l’amore per il prossimo possa dare senso concreto alla costruzione di una cittadinanza attiva: un caposaldo cui la politica deve sempre ispirarsi. Da qui la responsabilità del popolo di Chiara che vuole essere propulsore di una cultura che costituisca la vera anima di una Milano di nuovo protagonista della realtà nazionale e internazionale.

Carlo Genovese

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