Due mesi di Occupy Wall Street
Il 17 novembre il movimento torna in piazza, nonostante lo sgombero di Zuccotti Park. Al di là delle modalità della protesta, il disagio che esprimono è condiviso: e le voci corrono su internet
Zuccotti Park e Liberty Square saranno pure stati sgomberati, ma per capire che la storia non finisce qui basta guardare la data: oggi, 17 novembre 2011, sono passati due mesi da quando il movimento Occupy Wall Street – che ne ha generati a centinaia, da Occupy Portland a Occupy Denver – è iniziato. Per questo gli (ex, almeno allo stato attuale) dimostranti hanno annunciato per oggi, anche in occasione della giornata internazionale dello studente – in cui sono previste anche in Italia manifestazioni per il diritto allo studio e contro i tagli all’istruzione – una nuova serie di azioni. Nessuno si azzardi a dire che sono dei dormiglioni: alle 7 del mattino – le 13 in Italia – si riuniranno a Liberty Square, prima che suoni la campana che dà inizio agli scambi in borsa, per «mettere Wall Street di fronte alle storie di tante vittime dell’ingiustizia economica», come si legge sul loro sito. Alle 15 si sposteranno in metropolitana per leggere queste storie ai pendolari, e due ore più tardi a Foley Square, di fronte al municipio, in sostegno ai lavoratori colpiti dalla crisi. Infine, accompagnati dalla musica, marceranno sui ponti della città.
Pare dunque che l’intervento della polizia di lunedì scorso non li abbia scoraggiati: sarà stata anche l’ordinanza del giudice in loro favore, che ha stabilito che – pur senza bivaccare – hanno il diritto di riunirsi liberamente. Ora si stanno riorganizzando, anche sotto il profilo logistico: sul loro sito hanno lanciato appelli ai newyorkesi perché, con macchine e furgoni, si rendano disponibili ad aiutarli a recuperare tutto il materiale – tende, cucine da campo e addirittura una piccola biblioteca – che era stato loro sequestrato, o perché mettano a disposizione un alloggio per chi viene da fuori e medicinali (anche il contenuto del loro dispensario è stato requisito). Certi che «non si può sradicare un’idea quando i tempi sono maturi», vanno avanti con fiducia per la loro strada.
Non sono i soli: tra le tante città dove hanno preso vita simili manifestazioni, hanno avuto particolare risonanza quello della californiana Oakland e del vicino campus universitario di Berkeley, celebre per aver visto anche le prime manifestazioni del 68. Ogawa Square di Oakland è stata sgomberata per la terza volta lunedì in concomitanza con Zuccotti Park – come testimoniano i tweet –, mentre a Berkeley la polizia ha condotto un’azione controversa contro gli occupanti di Sproul Plaza, che – almeno a vedere dai video fatti circolare in internet – sono stati presi a manganellate per aver formato una catena umana allo scopo di impedire il passaggio alle forze dell’ordine. Azione magari illegale, ma non così violenta da giustificare una tale reazione, condannata sia dal rettore che dagli stessi vertici della polizia. E nell’espandersi il movimento ha iniziato a prendere di mira non solo la borsa, ma un intero sistema sociale ed economico che, scrive un blogger, «prima di autodistruggersi distruggerà noi»: dallo strapotere delle banche, a quello delle multinazionali agricole e farmaceutiche, a quello dei finanziatori delle università – che negli Stati Uniti spesso hanno in mano l’effettivo diritto all’istruzione – tutto viene denunciato, oppressione dei popoli nativi americani compresa.
Le città interessate si dividono. Se gli abitanti della zona attorno a Zuccotti Park tirano un sospiro di sollievo, ritenendo che davvero – come affermato nell’ordinanza di sgombero – le condizioni igienico-sanitarie del quartiere fossero insostenibili, c’è anche chi ritiene che si sia trattato di una montatura: «Sono passata di lì quasi ogni sera – scrive Chilena nel commento ad un articolo del New York Times – e non ho visto né persone sollazzarsi sull’erba, né cibo abbandonato, né sentito rumori molesti». Kley conferma: «C’era tutto il necessario per pulire e anche un dispensario medico, non ho mai visto livelli intollerabili di sporcizia». Anche il fattore criminalità sembrerebbe esagerato: tre atti di violenza in due mesi, certo non di più che nel resto della città.
Nel resto del Paese, le opinioni tendono a polarizzarsi tra il sostegno quasi incondizionato e il desiderio che «anche qui vengano a fare piazza pulita dei bivacchi»; ma al di là di tutto c’è una crescente consapevolezza del divario tra quel famoso 1 per cento più ricco della popolazione e il resto dei cittadini, e del ruolo difficile in cui si trova la polizia. Un poliziotto di Philadelphia scrive: «Anche noi siamo parte di quel 99 per cento, e spesso non ce ne rendiamo conto. Dobbiamo far rispettare le leggi fatte dall’1 per cento, mentre anche a noi tagliano i servizi sanitari, le pensioni e i salari». Comunque finisca la cosa, Occupy Wall Street ha dato voce ad un disagio condiviso: le modalità per esprimerlo ed incidere sul Paese, tuttavia, non sono facili da trovare.