A due mesi dagli attacchi di Colombo

Ritorno alla normalità nelle chiese del Paese. Le indagini svelano complicità nazionali e internazionali. Il subcontinente indiano minacciato nella sua tradizionale coabitazione tra fedi e culture diverse

Dopo l’orrore suscitato nella giornata di Pasqua con le 250 vittime e più di 500 feriti, l’attacco alle chiese in Sri Lanka è sparito dai titoli dei giornali e notiziari Tv. Intanto il Paese sta cercando di riprendersi lentamente, anche se certe ferite sono difficili da guarire e le cicatrici resteranno a lungo nella mente e nel cuore della gente: non solo dei cristiani. Proprio quanto accaduto nella giornata di Pasqua ha spinto il governo ad operare misure preventive accanto alle indagini che hanno portato alla scoperta della rete terroristica fra insospettabili persone del mondo del business dell’isola e, come diremo più avanti, non solo.

Il governo di Colombo, in questi giorni, ha annunciato che istituirà uno speciale “Consiglio per la riconciliazione tra religioni“. La principale finalità del nuovo organismo è quella di costruire la convivenza interreligiosa nella società e evitare ogni forma di polarizzazione. Il primo ministro, Ranil Wickremesinghe, ha dichiarato che l’idea del consiglio è nata da una proposta presentata da rappresentanti dei monaci buddhisti.

La nuova istituzione comprenderà leader religiosi di tutte le comunità religiose presenti in Sri Lanka. Attualmente si è solo nella fase iniziale del processo che prevede l’approvazione di leggi e regolamenti che rendano possibile l’istituzione di questo organo. La notizia è stata riportata dall’agenzia di stampa cattolica Fides alla quale Robert Thilakaratne, laico cattolico dello Sri Lanka, ha dichiarato che «istituire un Consiglio per la riconciliazione religiosa e impegnarsi direttamente a costruire la convivenza nella società è una mossa gradita e saggia del governo. Servirà a promuovere la solidarietà, la comprensione, l’armonia, la pace e la fratellanza. Il Paese ne ha davvero bisogno».

Nel frattempo, in questi giorni, è stata riaperta al pubblico la chiesa di St. Anthony nella parte centrale della capitale, accanto al porto. I lavori di ristrutturazione sono stati realizzati dalla Marina Militare. Si tratta di una delle tre chiese colpite a Colombo dagli attacchi e quella senza dubbio più frequentata dai cattolici cingalesi e non solo. Sede di una novena a Sant’Antonio molto popolare fra persone di ogni religione in Sri Lanka, la chiesa è stata riaperta con una benedizione a cui ha fatto seguito, il giorno successivo, la celebrazione di una messa. In questa chiesa sono morte 54 persone e la riapertura ha, ovviamente, trasmesso un segno importante di speranza a tutti, soprattutto, ai cattolici. Le due celebrazioni sono state presiedute dal mons. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, che ha colto l’occasione per rassicurare i fedeli. «Coloro che sono morti negli attacchi sono dei santi. Li ricorderemo ogni giorno. Non ci dimenticheremo neppure dei loro cari. Ogni centesimo raccolto sarà speso per il bene di queste famiglie».

Intanto, come accennato sopra, proseguono le indagini sui fatti di sangue del giorno di Pasqua. In questo periodo esse hanno confermato il ruolo senza dubbio fondamentale avuto dal gruppo locale islamico National Thowheed Jamath. Ma sono emersi non pochi collegamenti con la politica locale. Tuttavia, la rete terroristica non sembra avere radici solo nell’isola dell’Oceano Indiano. Negli ultimi giorni, infatti, nella città di Coimbatore, in India nello Stato del Tamil Nadu, sono state arrestate diverse persone che sembrano avere collegamenti con gli attentati o con la rete operante in Sri Lanka. Si è scoperta così una serie di rapporti tra i protagonisti degli attentati e soggetti del sud dell’India, anche nello stato del Kerala. E questi contatti non sarebbero pochi, secondo i servizi segreti indiani, che da tempo tenevano d’occhio alcune persone che sono state poi arrestate. Altri sono stati fermati ed interrogati e si cerca di capire la natura dei contatti fra persone che appartengono a gruppi sospetti nei due Paesi.

La città di Coimbatore non è nuova a queste derive. A metà degli anni Novanta una serie di bombe scoppiarono nella stessa giornata facendo decine di vittime e creando una tensione sociale pericolosa che, nel corso degli anni, le autorità civili e politiche pensavano di aver debellato anche attraverso l’educazione. La città è il centro urbano con il maggior numero di college pro capite in tutta l’India.

Mentre la vita lentamente torna alla normalità e i cingalesi cercano di dimenticare quanto accaduto, ci si sta rendendo conto di trame pericolose che rischiano di minare equilibri sociali e religiosi in diversi angoli del sub-continente già oggetto di violenze sia in Pakistan che in Bangladesh.

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