Tra i due litiganti… La mediazione tra pari
Mediare è un compito delicato all’interno della rete educativa, soprattutto i conflitti e i contrasti. Le divergenze generazionali possono ostacolare lo scambio dialogico o gli interventi, in alcuni casi limitati dai pregiudizi reciproci. Sebbene la mediazione possa migliorare la qualità delle relazioni affettive e professionali, appare spesso poco conosciuta e utilizzata. La mediazione associata ai ragazzi stessi, ai compagni di classe, poi, andrebbe divulgata perché nasconde spunti innovativi.
“La mediazione tra pari – pratiche di legalità in tempi di educazione civica” libro casa editrice Aracne, racconta le esperienze fatte in circa 10 anni di attività del progetto divulgativo nazionale della cultura della mediazione INVECE DI GIUDICARE® della cooperativa sociale Risorsa Cittadino, partner scientifico della Rete nazionale per la diffusione delle scuole amiche della mediazione. Scoperchia un nuovo approccio alle dispute tra ragazzi e ragazze in ambito scolastico, che con la supervisione di adulti formati dispongono degli strumenti per autoregolamentarsi e trovare accordi.
Mariachiara Gentile, Mauro Julini, Marzia Lillo, Consolata Santino, Andrea Spada, con le specifiche competenze nel settore pedagogico, educativo, psicologico, legislativo e della mediazione hanno dato contribuito alla stesura del testo. La mediazione tra pari si avvale di una strutturazione che capovolge i paradigmi tradizionali per le realtà scolastiche ed educative. Il progetto, con oltre 597 interventi sul territorio nazionale ha avvicinato scuole, ragazzi e formando al ruolo di divulgatori 400 soggetti entrando così nel mondo giovanile, nella rete educativa, nel contesto sociale del quotidiano carico di tensioni, prospettive, di realtà, virtualità, aridità, affettività. In Italia esiste una “rete nazionale per la diffusione della scuola della Mediazione” con un tragitto riconosciuto con l’attestato “Scuola amica della Mediazione” con 13 scuole di 5 regioni coinvolte che nel 2022 potrebbero diventare circa 20.
Anche grazie alla pubblicazione del libro, la rete delle scuole amiche della mediazione può reperire risorse per il progetto. Mauro Julini, mediatore sociale e civile commerciale, divulgatore della cultura della mediazione, cultore della materia della cattedra di mediazione e conciliazione nel corso di laurea in Scienze dalla Pace all’Università di Pisa e responsabile nazionale del progetto ha risposto ad alcune domande.
In un mondo in cui domina la frenesia e la velocità, la fluidità delle relazioni che sbrigano un conflitto con strumenti errati, soprattutto tra i ragazzi come si può educare alla mediazione come filtro?
Occorre saper stare nel conflitto e il modo di starci dentro è una maniera di intendere le relazioni. Un dato incontestabile della mediazione fra pari è che si rivolge a ragazzi coetanei. Una persona, nel bene o nel male, si appoggia ai suoi coetanei per percepire un consenso, avvalora il loro modo di essere più di un familiare e di un adulto. Per non lasciare sterile questa fase è stato approntato il progetto che resti durevole all’interno della comunità giovanile. Stiamo provando a diffonderlo all’interno delle scuole, degli oratori, dei centri di aggregazione giovanile purché sia presente una comunità organizzata e strutturata, oltre alla presenza di adulti formati.
Dove si colloca la mediazione all’interno del contesto educativo?
La mediazione tra pari punta a generare un contesto autogestito e costruito dai ragazzi, senza sentirsi abbandonati dagli adulti, partendo da un accordo quadro tra gli adulti focalizzando il contesto specifico in cui è calato, attraverso un successivo passaggio della loro formazione a scuola, oltre ad un membro esterno del progetto formato alla mediazione. Essi fungono da supervisori dei ragazzi, a loro volta formati, per essere mediatori lavorando in coppia e per diverso genere.
Come è organizzato il progetto per entrare nel processo della mediazione tra pari?
Non si tratta di un corso decontestualizzato. È un lavoro di programmazione con determinati obiettivi, previsto dai principi internazionali che decliniamo con un patto bilaterale fra comunità, scuola, oratori e l’organizzazione che gestisce il progetto. Si interviene sulle componenti come la famiglia, il personale non docente, docente, il dirigente, i ragazzi. Si tratta di un vero e proprio patto educativo.
Il progetto prevede, quindi, un concreto coinvolgimento dei ragazzi?
Credo sia terminato il tempo in cui i ragazzi debbano sentire soltanto cosa fare dagli adulti. Imparano da ciò che noi facciamo non da quello che diciamo. Sono capaci di calarsi in differenti esperienze più facilmente; dovrebbero apprendere meglio le loro prospettive di vita capendo cosa avrà giovato nelle relazioni, da portare come bagaglio nelle future esperienze di vita.
La strutturazione del progetto è più incisiva in determinati contesti?
Ritengo sia alla portata di tutti. Un contesto è diverso dall’altro. In Toscana, per esempio, sperimenteremo il partenariato con una comunità educante esterna come un gruppo scout, un ambiente diverso dalla scuola, una comunità educante di familiari e di insegnanti di religione.
Esistono già realtà in cui la Mediazione fra pari ha ottenuto benefici nelle dinamiche relazionali?
Decolla lentamente perché sfiora un cambio di paradigma culturale. La mediazione essendo “fra pari”, appunto, non si occupa dei conflitti fra insegnanti, che però sono parti interessate all’interno del contesto-classe. Un docente può sottoporre la mediazione fra pari per argomenti o problematiche specifiche emerse tra gli studenti. Per i dirigenti scolastici italiani è uno strumento utile intuendo in esso un supporto nella gestione: avviato il percorso di mediazione fra pari il dirigente può ricevere direttamente segnalazioni di famiglie o ragazzi, e valutare di avvalersi della mediazione, ritenendo necessari eventuali provvedimenti solo dopo aver interpellato il servizio.
Oltre a conoscere la mediazione, forse è preferibile dare un significato al conflitto.
Il conflitto è tutto ciò che riguarda divergenze, litigi, differenze di opinione in contesti in cui, suo malgrado, ognuno vive; è l’accadimento ineliminabile della vita che con l’infanzia alle spalle, diventa generazionale, intergenerazionale, con i pari. La convivenza di una classe o di un luogo determina il conflitto e compare mentre si sta creando il personale spazio di vita e sociale. È un fattore naturale, non va eliminato, ma gestito traendo tutto il positivo da esso. Negli anni della maturità, ricordando quel conflitto si prenderà maggiore consapevolezza di alcuni atteggiamenti vissuti che diventano esperienze di vita. La mediazione accelera questa consapevolezza anzitempo.
Saper gestire un conflitto è l’obietto primario e principale, ma esiste una strategia che faciliti le relazioni tra i ragazzi?
Esiste l’approccio con gli interventi educativi con precise strategie. Un altro modo è dato dal macro evento, in cui spiegando il progetto ai ragazzi si conosce la mediazione tra pari con un corso di formazione, con valutazioni finali pratiche e teoriche. La supervisione degli adulti permette di organizzare e valorizzare la qualifica acquisita. Poco alla volta si sta prendendo maggiore consapevolezza del servizio di mediazione fra pari perché sollecita il senso di responsabilità.
Qual è l’elemento mancante che non permette un dialogo efficace?
Spesso si fraintende il dialogo con il parlare con l’altro. Dialogare è riconoscere l’altro, investire nella relazione con la pazienza dell’ascolto, concependo il conflitto come opportunità. Nel conflitto è difficile che una persona si diverta; può essere abituata, coriacea, ma certamente un conflitto non allunga la vita e certamente vivere in armonia non fa male.
Per la mediazione occorrono pazienza e capacità di ascolto, una sospensione del giudizio. Caratteristiche che soccombono alla velocità dei social, di cui proprio i ragazzi sono fruitori. L’uso dei social non frantuma il muro del limite?
Le possibilità di commentare, di essere sempre presenti sui social autorizza gli utenti e i ragazzi a superare il limite. Con la mediazione e l’ascolto, invece si percepisce la sensazione di limite. L’uso razionale e irrazionale dei social nei giovani non è un aiuto, ma credo che i ragazzi lo comprendano. Su oltre 300 ragazzi formati alla mediazione fra pari molti sono attenti quando raccontano se stessi e della loro riservatezza. Nonostante i social, i ragazzi comprendono che ciò che avviene sulle piattaforme è virtuale e può essere pericoloso confonderlo con il reale.
Oggi, soprattutto tra i giovani, di difficile gestione sembra essere la frustrazione, come viene percepita?
In genere i ragazzi non formati, alla consegna degli attestati del percorso di mediazione ai loro compagni, tendono a sottovalutare quella qualifica. Si sentono capaci individualmente di risolvere una problematica sbandierando la loro autosufficienza. La mediazione mette in campo un terzo punto di vista all’interno del conflitto che due litiganti non possono intuire. Una terza persona può dare contributo a risolvere il conflitto con sensibilità e modi di vedere simili proprio perché si tratta di coetanei. Gestire la frustrazione è un compito difficile nel contesto italiano pieno di sbarramenti. Il cambio di paradigma che presuppone la mediazione necessita di pazienza e di comprensione rispetto le posizioni altrui.
Perché la mediazione non diventa prassi? Perché questi processi spiccano il volo con lentezza?
Gli italiani litigano il 122% in più della media europea e inoltre va registrato un elevato numero di avvocati, un basso numero di giudici e tante controversie da risolvere. Viviamo in una realtà frammentata in cui prevale eccessiva autonomia all’interno di contesti comuni; l’appartenenza diventa molto forte, si trasforma in un muro che chiude possibili alternative o nuove sfide. Per il radicamento della mediazione in generale, e tra pari in particolare occorre pazienza.