Due dischi e una capanna

Sono arrivati in zona Cesarini gli album più significativi del 2001. Due pubblicazioni (per un totale di quattro cd registrati dal vivo, due nel corso del Telethon planetario del 21 settembre, gli altri due al concerto del 20 ottobre al Madison Square Garden) per commemorare le vittime dell’ 11 settembre e per sostenere i sopravvissuti più colpiti. A tribute for the heros quanto The concert for New York City (entrambi pubblicati su etichetta Sony, mentre i dvd corrispondenti sono su etichetta Wea) non sono soltanto le stelle che hanno aderito alle due iniziative (praticamente il meglio del panorama pop-rock contemporaneo: da Springsteen a Michael Jackson, da McCartney, agli U2), e neppure l’encomiabilità degli intenti, o l’oggettiva bellezza della maggioranza delle canzoni presenti. Ciò che li rende così importanti è soprattutto l’intensità emotiva che li attraversa, la forza simbolica sottintesa da una manciata di performance che sintetizzano meglio di qualunque analisi sociologica l’anima bifronte di questi giorni: dolente eppure mai così piena di grandi speranze, ferita eppure risoluta, angosciata ma anche convinta della necessità di cogliere in questo dramma l’occasione per una svolta epocale. Anche se a nessuno è dato sapere quali scenari ci attendono, molte di queste performance fotografano il presente e scandagliano gli inquieti fondali dell’inconscio collettivo. E poco importa se i brani siano datati o recentissimi, se meravigliosamente emozionanti, o invece gravati dalla retorica, o solo banalmente sentimentali. Certo fa specie veder accorpate la sobrietà springsteeniana alla melassa di una Mariah Carey, così come sfugge il nesso tra un James Taylor e i Backstreet Boys; ma ridurre l’analisi alle sole logiche di assemblaggio sarebbe, almeno in questo caso, assai riduttivo. Quel che qui va sottolineato è semmai la trasversalità dell’impresa, questo comune sforzo di trovare un senso e una speranza sotto le macerie di una tragedia che ci ha globalizzato più di qualunque strategia economica. Ascoltati sotto questa luce molti brani dimostrano una dirompente forza comunicativa, altri addirittura un’inquietante carica profetica, altri ancora soltanto la brillantezza di una metafora o di una melodia. Poco importa: quel che una canzone deve fare è innanzi tutto innescare un processo emozionale capace di rendere chi l’ascolta elemento attivo, in certa misura co-creativo dell’opera stessa. E questo non necessariamente accade per volontà dell’autore. Anzi, a volte è indipendente perfino dal valore qualitativo di quel determinato brano. I due album in questione centrano il bersaglio proprio in virtù di questa forza catalizzante e catarchica: offrono un riparo ai nostri cuori assiderati, ci raccontano come eravamo e quanto siamo cambiati. Forse spingeranno molti a dare una mano più concreta alle moltitudini che soffrono nelle mille tragedie generate da questa. In definitiva due piccoli miracoli di stimolo e consolazione: se tutti i dischi fossero così, chissà, magari il mondo non sarebbe ridotto tanto male. cd 2001: altri 15 da non dimenticare rem: “reveal”. il rock è ancora vivo. lenny kravitz:”lenny”. lungo il solco che da hendrix porta a prince. divine comedy: “regeneration”. alla ricerca della melodia perfetta. bob dylan: “love & theft”. quando finirà di stupirci? starsailor: “love is here”. il debutto dell’anno. ryan adams: “gold”. il miglior cantautore dell’ultima generazione. francesco de gregori: “amore nel pomeriggio”. sempre diverso e sempre uguale. travis: “the invisibile band”. il pop non annoia. alicia keys:”songs in a minor”. nata una stella. leonard cohen: “ten new songs”. settantanni ben portati. carmen consoli: “l’anfiteatroelabambina…”. piccole donne crescono. bruce springsteen: “live in n.y.c.”. il boss dal vivo è sempre uno spettacolo. macy gray: “the id”. il futuro della black-music. manu chao: “proxima estacion esperança”. la voce dei no-global. björk: “vespertine”. crepuscolare post-moderno.

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