Due dialoganti con l’Islam
Ho conosciuto mons. Fouad Twal appena nominato arcivescovo di Tunisi, era il primo arabo che occupava quel ruolo. Gli ho reso visita per felicitarmi con lui, per semplice curiosità e per un po’ di nazionalismo arabo (lo confesso!). La facilità di incontrare un responsabile di così alto rango senza protocolli e la calorosa accoglienza araba della gente di Madaba, in Giordania, non sono state le sorprese di questo primo incontro. Mons. Twal, sapendo la mia formazione accademica e il mio serio desiderio di approfondire da musulmano il cristianesimo, mi ha proposto di chiedere una borsa di studio alla Fondazione Nostra Aetate. Questa sorpresa ha poi cambiato la mia vita. In mons. Twal ho conosciuto le caratteristiche del beduino, quello genuino: semplicità, spontaneità e generosità. E aggiungerei una ferrea memoria che sa riconoscere nomi e volti dopo lunghi anni. Anche dopo il trasferimento a Gerusalemme come coadiutore del patriarca dei latini, nel 2005. Impresa non facile quella di succedere a mons. Michel Sabbah, il primo patriarca arabo-palestinese, uomo di giustizia e pace, che ha segnato la storia del suo popolo, soprattutto nella drammatica situazione che attraversa il Medio Oriente. In questi giorni è venuta in luce un’altra figura episcopale del mondo arabo, mons. Henri Teissier, arcivescovo uscente di Algeri. L’ho incontrato diverse volte, la prima durante un incontro degli amici musulmani dei Focolari, nel 1998. Teissier, come il suo predecessore mons. Duval, ha lasciato una traccia profonda nella vita dell’Algeria in generale, e nella storia della Chiesa algerina in particolare, soprattutto dopo gli anni del terrorismo in cui la Chiesa algerina, come gli altri algerini, ha pagato cara la sua testimonianza con il sangue e il martirio: 19 religiosi uccisi, tra cui il vescovo di Orano, Claverie. L’Algeria vive le proprie contraddizioni, tra la crisi economica e la legge che ha messo in dubbio la libertà religiosa. Lo ribadisco: come credente musulmano e come teologo impegnato nel dialogo, la presenza cristiana nei Paesi a maggioranza islamica, tramite queste grandi figure, ma anche tramite tante persone anonime, è una testimonianza necessaria per garantire pluralismo, democrazia e rispetto dei diritti umani. Tramite un cristianesimo mite, al servizio del prossimo. È un segno di speranza, una voce minoritaria ma capace di resistere alla tentazione della omogeneizzazione che impoverisce e indebolisce le società arabe.