Due colpi di pistola e la storia cambiò

Cent’anni fa l’attentato a Sarajevo scatenava la prima guerra mondiale. Dieci milioni di morti. Rievochiamo l’episodio
sarajevo

«La primavera e l’estate del 1914 vivevano una eccezionale stagione di quiete», ricordava già anziano Winston Churchill, che all’epoca era Primo Lord dell’Ammiragliato nel governo inglese.

Quattordici anni prima si era tenuta a Parigi l’Esposizione Universale: tema dominante, l’elettricità, simbolo della vittoria del progresso e della scienza sui fantasmi del Medioevo. In piena  età della Belle Epoque la città francese, seguita da Londra e Vienna, era ammaliata da una sfrenata gioia di vivere.

Eppure, fumi di violenza erano andati progressivamente crescendo: la Germania si andava riarmando, con preoccupazione degli inglesi che possedevano il più vasto impero coloniale, gruppi di intellettuali – tra cui i nostri  futuristi – inneggiavano alla guerra come la lotta necessaria della modernità contro il vecchio e il  passato, nonostante i movimenti pacifisti. Soprattutto, c’era stata una serie di omicidi progressivi di capi di stato: nel 1894 il presidente francese, nel 1898 lo Scià di Persia, nel 1898 la regina d’Austria, la popolarissima “Sissi”, nel 1900 Umberto I re d’Italia, nel 1913 i l re di Grecia, solo per citarne alcuni.

La gelosia reciproca delle potenze europee, impegnate nelle conquiste coloniali – anche l’Italia in Libia nel 1911 per avere i l suo “posto al sole”- alimentavano un clima di sospetto, ben oltre i luccichii del mondo artistico e culturale.

Papa Pio X, oramai anziano, confidava ai suoi: «Sta per venire  il guerrone!», ma non pareva proprio dovesse succedere.

La mattina del 28 giugno a Vienna faceva bel tempo e la gente si godeva il sole. Il vecchissimo imperatore Francesco Giuseppe era in vacanza “lavorativa”, il suo ministro degli esteri era  andato a caccia di anatre. A Sarajevo, capitale della Bosnia, l’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore ed erede al trono, celebrava con la moglie Sofia il quattordicesimo anniversario di matrimonio e nello stesso tempo come ispettore imperiale assisteva alle grandi manovre dell’esercito austro-ungarico. Dal 1878 la Serbia era stata un regno indipendente, all’inizio non ostile all’Austria ma poi, dopo che quest’ultima si era annessa nel 1908 la Bosnia-Erzegovina – dove vivevano molti serbi – il nazionalismo s’era surriscaldato dando vita ad associazioni terroristiche antiaustriache.

L’Austria era preoccupata e avrebbe voluto fare una guerra preventiva, ma l’arciduca Francesco Ferdinando preferiva una politica di amicizia, concedendo semmai l’autonomia alle varie nazionalità slave.

I serbi patriottici lo odiavano per questo. Egli lo sapeva ed era stato incerto se recarsi o no in Bosnia. Nulla però lasciva prevedere qualcosa di violento.

Tre giorni prima, la coppia  principesca si era aggirata in forma ufficiosa  a Sarajevo a visitare il bazar, accolta cordialmente dalla gente. La sera del 27 un ufficiale consigliava  all’arciduca di evitare la vista ufficiale per timore di un attentato, ma egli era tranquillo: «Non accadrà nulla, sarà invece un gran successo».

Il 28 giugno è  la festa di San Vito, la festa nazionale più solenne dei Serbi. Un gruppo di studenti, dell’associazione “Giovane Bosnia”, guidato dal diciannovenne Gavrilo Princip, si prepara ad attentare alla vita dell’arciduca. Princip è deciso a sacrificarsi per uno Stato jugoslavo indipendente.

E’ una domenica soleggiata. L’auto dell’arciduca insieme a quelle delle autorità attraversa la strada principale tra la folla festante. Tra la gente ci sono gli attentatori. Ma sono maldestri: uno lancia una bomba contro l’auto dell’arciduca, ma questa rimbalza e finisce contro la vettura di scorta, ferendo l’aiutante di campo di Francesco Ferdinando, che rimane illeso.

L’attentatore  cerca di fuggire ma viene preso dalla polizia: tenta il suicidio col cianuro però non funziona. L’arciduca, infuriato, intanto, prosegue verso il municipio.

Finita la cerimonia di “benvenuto”(!), Francesco Ferdinando decide di andare all’ospedale a visitare il commilitone ferito. L’autista, non informato del cambiamento di percorso, viaggia  per la strada prevista inizialmente. Informato, si ferma ad invertire la marcia. In quel momento si trova proprio lì Princip:  estrae la pistola  e spara due colpi. La coppia viene ferita e la macchina corre verso l’ospedale. L’arciduca dice alla moglie: «Sofia, non morire, pensa ai bambini». Ma la donna muore, e lui poco dopo, in ospedale,  Princip viene preso dalla folla, picchiato dalla polizia: tenta il suicidio, ma gli va male.

A Vienna l’imperatore è turbato dal fatto, ma non “addolorato” e la città reagisce con calma. La stampa europea sul momento non dà eccessivo rilievo all’assassinio. Ce n’erano già stati molti e nessuna guerra era scoppiata per questo motivo. Sembrava che le grandi potenze puntassero ad una mediazione diplomatica per prevenire un conflitto generale.

Ma in Austria si era stati feriti “nell’onore”: l’attentato  equivaleva ad una dichiarazione di guerra dei Serbi contro la Nazione. Meglio colpire subito per vincere presto: l’esempio della Serbia avrebbe potuto scatenare la voglia di indipendenza degli altri popoli sotto l’Impero.  Era d’accordo anche Guglielmo II, imperatore di Germania.  Il 23 luglio l’Austria lancia un ultimatum alla Serbia: sopprimere associazioni, gruppi, dirigenti antiaustriaci, denunciare i congiurati. La Serbia accetta, ma rifiuta la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini, perché lesive della propria sovranità. L’Austria non ci sta. Il 28 luglio è guerra. Lo zar sta con la Serbia, la Germania con l’Austria.

Nessuno però pensa ad un conflitto mondiale. Esso invece si scatenerà ben presto, spinto dall’orgoglio ipernazionalistico dei governi europei. E sarà l’inutile strage, deprecata dall’inascoltato, e deriso, papa Benedetto XV.

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