Due atti unici di Eduardo De Filippo

Carlo Cecchi è regista e interprete del dittico eduardiano, una riflessione sul mondo del teatro come metafora della vita.
foto di Filippo Ronchitelli

«Atto unico perfetto» lo ha definito l’attore e regista Carlo Cecchi, il quale, a distanza di anni, torna a questo spettacolo in un ruolo interpretato più volte. Sik Sik, l’artefice magico è uno dei primi testi scritti da Eduardo De Filippo. Qui si gode di un teatro popolare allo stato purissimo seguendo le disavventure di uno squattrinato illusionista ciarlatano, cinico e malmesso, con accanto la moglie, alle prese con assistenti anche più cialtroni di lui, tra colombi che diventano polli e casse con donna dentro che non si aprono.

foto di F. Ronchitelli

Tutto inizia quando entra in scena uno sprovveduto passante, un’occasione da acciuffare al volo per l’illusionista rimasto senza il complice di vecchia data che gli tiene bordone per i suoi trucchi. Poi arriva lui, il palo ritardatario, guappo e sbruffone pronto a rivendicare il suo ruolo con un secco «Amico, qua ci debbo stare io»… L’atmosfera si fa surreale nel ping pong di battute fatte di battibecchi, malintesi, vocali storpiate e buffe espressioni idiomatiche da avanspettacolo retro. Tutto qui, in Sik Sik, per dare corpo a una triste caricatura della miseria umana, cui dà mostra un Cecchi sempre carismatico per quella naturalezza e “indolenza” del suo stare in scena.

La breve commedia Dolore sottochiave, nata come radiodramma nel 1958 (con lo stesso autore e la sorella Titina), è un altro atto unico di De Filippo inserito nella raccolta Cantata dei giorni dispari, e messo in scena per la prima volta nel 1964 insieme a Il berretto a sonagli di Pirandello. È un copione tragicomico di fine anni ‘50 che Cecchi sfronda dagli eccessi melodrammatici.

foto di F. Ronchitelli

Storia bizzarra, dolorosa e sarcastica, quella di Lucia, zitella di casa, e del fratello Rocco, in perenne viaggio d’affari. Durante uno di questi muore la moglie dell’uomo e, per paura che egli soffra troppo e che, per disperazione, si lasci andare a un gesto incontrollato, la sorella gli nasconde per un anno la notizia del decesso adducendo che la consorte è gravemente malata e costretta a non poter ricevere alcuna visita poiché ogni minima emozione potrebbe esserle fatale. Mantenendo chiusa a chiave la porta della “moribonda”, la cognata interdice l’accesso alla stanza fino a quando, non resistendo alla limitazione, in uno scatto di nervosismo l’uomo entra e scopre la verità. Il suo dolore, che sarà equivocato per quello di un vedovo prima dalla sorella, poi da degli invadenti vicini di casa, presto rivelerà ben altro motivo: l’aver, cioè, sciupato l’innamoramento nato nel frattempo nei riguardi di un’altra donna che però l’ha abbandonato non tollerando più l’attesa dell’uomo inconsapevolmente vincolato ancora alla moglie della quale egli, in tutto quel tempo, desiderava la morte.

Foto di F. Ronchitelli

Di questa folgorante sintesi del teatro di Eduardo dai forti echi pirandelliani il regista ne fa un gioiello farsesco e amaro della morte esorcizzandola, «perché è anch’essa parte delle nostre esistenze e cercare di negarla significa negare la vita stessa».

“Dolore sotto chiave / Sik Sik, l’artefice magico”, regia Carlo Cecchi, con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Dario Iubatti, Remo Stella, Marco Trotta. Produzione Marche Teatro, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Elledieffe. Al Teatro Argentina di Roma fino al 23 dicembre 2021, e in tournée.

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