Il Libano ha un nuovo premier
«Questo è un governo di unità nazionale, tutti insieme dobbiamo affrontare i problemi della popolazione che non ha nessuna colpa se sono musulmani, cristiani o drusi», così il simpatico e azzeccato commento fatto a caldo, appena nominato, dal neo-ministro libanese dell’industria, Ali Hassan Khalil (www. assadakah.com). Poco prima di Natale, infatti, il parlamento libanese ha concesso la fiducia al nuovo governo guidato da Saad Hariri. Insieme all’elezione del presidente della repubblica in ottobre (Michel Aoun, eletto dopo oltre due anni di vuoto istituzionale), ecco un’altra conquista per il piccolo paese mediorientale, che ha un grande significato non solo dal punto di vista politico ma per il dialogo in tutta la regione. Si avverte da lontano la possibilità di un passo avanti verso quello che Giovanni Paolo II aveva detto nel 1989, alla vigilia della pace libanese, dopo 15 anni di guerra civile: «Il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente!» (Lettera apostolica sulla situazione nel Libano, del 7.9.1989).
Saad Hariri (46 anni) è figlio di Rafiq Hariri, il primo ministro amato da molti libanesi e assassinato nel 2005 con un’autobomba insieme ad altre 21 persone. Saad decise allora di entrare in politica e di assumere la guida del partito sunnita “Movimento il Futuro”. Fu per breve tempo (da novembre 2009 a gennaio 2011) a capo di un governo di unità nazionale che per la prima volta apriva le porte a Hezbollah, il partito sciita tacciato in quegli anni di terrorismo. Poi la crisi.
Il nuovo governo Hariri comprende 30 ministri, di cui sei sono ministri di Stato, suddivisi in modo uguale fra cristiani e musulmani. Nella scelta del gabinetto sono stati coinvolti i partiti di entrambi gli schieramenti parlamentari, secondo la formula cara ad Hariri: 15 ministri sono espressione della maggioranza, 10 dell’opposizione e 5 nominati dal Capo dello Stato. Solo il partito falangista Kataeb non ha voluto entrare nella formazione governativa, nonostante l’insistenza di Hariri. Il compito che il governo si è assegnato è quello di affrontare le emergenze del Paese (elettricità, rifiuti, acqua, sicurezza) e di approntare una nuova legge elettorale che consenta di rinnovare il Parlamento, eletto per l’ultima volta nel 2009 e da allora in autoproroga. Tra le novità della nuova amministrazione: un ministero per i diritti delle donne e uno per i rifugiati.
Fra le voci che più hanno premuto per superare il vuoto istituzionale degli ultimi due anni e mezzo vi è quella del patriarca maronita Bechara Rai, che ancora qualche giorno prima di Natale si è pronunciato auspicando «uno spirito di responsabilità e imparzialità, che faciliti la missione di formare un nuovo governo».
L’esordio del nuovo governo libanese apre ad una cauta speranza anche nel difficile scenario del Medio Oriente, offrendo un quadro che riunisce nel nome del bene comune diversi orientamenti, non ultime le posizioni dei partiti sunniti e sciiti, in contrapposizione in tutte le altre nazioni della regione.
Su quest’ultimo importante tema, che domina drammaticamente tutta la vicenda mediorientale è molto stimolante l’opinione dello scheikh Mohammad Nokkari, religioso sunnita, giudice, professore di diritto all’Università Saint Joseph a Beirut e all’Università di Strasburgo ed ex direttore di Dar El Fatwa Libano, che in un’intervista a Formiche.net ha dichiarato: «La storia ci mostra che tutti i conflitti prima o poi passano e il popolo va oltre. In Libano lo si può constatare, siamo ancora insieme dopo una guerra civile».
Oltre i separatismi e le pesanti soluzioni unilaterali, il popolo sa andare oltre e non lo dice solo Nokkari, anche i libanesi lo sperano e lo vogliono dimostrare.
*, in Francia, ex direttore generale di Dar El Fatwa Lebanon