Duchenne, in attesa della decisione della Commissione Ue
Sono ore di grande attesa per i pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne (una patologia genetica che provoca un progressivo deterioramento dei muscoli scheletrici): è attesa infatti per la settimana del 22 aprile una decisione della Commissione Ue in merito al rinnovo dell’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio del farmaco Ataluren (commercializzato con il nome di Translarna™ da PTC Therapeutics), su cui si è già espresso negativamente due volte il Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali.
Per capire di che cosa stiamo parlando, bisogna fare un passo indietro. Qualsiasi azienda che desideri commercializzare un farmaco deve prima richiedere un’autorizzazione alle agenzie regolatorie, che hanno il compito di valutare la sicurezza, l’efficacia e la qualità del medicinale. Una procedura che può richiedere anche anni. In risposta però a minacce immediate per la salute pubblica, o in caso di malattie molto aggressive o prive di trattamenti adeguati, si può ricorrere all’autorizzazione condizionata: subordinata cioè al fatto che l’azienda produttrice fornisca poi entro un certo lasso di tempo dati supplementari (contrariamente alle normali autorizzazioni, per le quali tutti i dati devono essere presentati prima dell’immissione in commercio). Naturalmente, condizione per il rilascio della CMA è che i rischi che si corrono nel non assumere alcun farmaco siano comunque superiori a quelli legati all’assunzione di un medicinale di cui ancora non si dispone di tutti i dati, e che i dati che ci sono siano comunque tali da indicare una ragionevole sicurezza ed efficacia del farmaco.
E questo è stato appunto il caso di Ataluren, disponibile in Italia dal 2014 con un primo rinnovo dell’autorizzazione nel 2017. A settembre 2023, tuttavia, il CHMP si è espresso negativamente in questo senso; giudizio confermato poi ad una richiesta di riesame a gennaio 2024. Una decisione controversa e sulla quale sia le associazioni di pazienti che alcuni membri della comunità scientifica hanno chiesto un ripensamento.
I dati elaborati sull’osservazione di 300 ragazzi che hanno assunto il trattamento per una durata media di oltre 5,5 anni dimostrano che la terapia a lungo termine con Ataluren è in grado di ritardare la perdita della deambulazione (in media) di 3,5 anni; e non pongono dubbi sulla sicurezza del farmaco. Nel parere del CHMP si legge tuttavia che negli studi effettuati non si evidenzierebbe un una differenza statisticamente significativa nei pazienti trattati con Ataluren e quelli che non lo sono; e che, per quanto si evidenzi un ritardo nella perdita della capacità di camminare in chi riceve il farmaco, non sarebbe possibile sulla base dei dati disponibili e della metodologia adottata affermare che ciò sia dovuto ad Ataluren.
Diverso il parere di medici come il prof. Eugenio Mercuri, ordinario di neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma e direttore dell’UOC di neuropsichiatria infantile del Policlinico Gemelli, che ha parlato di decisione che «ci lascia sorpresi» ed ha affermato che «l’esperienza clinica di oltre dieci anni suggerisce che, come riportato dai dati del registro internazionale, il farmaco aiuti a rallentare la progressione della malattia, anche se i dati di studi a breve termine sembrano essere molto più modesti». Una lettera è stata firmata anche da 28 esponenti della comunità scientifica, che rispondono alle obiezioni del CHMP affermando che per il 95 per cento dei pazienti trattati con Ataluren sono state effettuate le corrette valutazioni cliniche, e che l’analisi cumulativa delle banche dati mostra invece una differenza statisticamente significativa. Viene contestata, insomma, la metodologia adottata per valutare il farmaco.
L’associazione Parent Project Aps, che rappresenta le famiglie italiane con distrofia di Duchenne, unitamente all’associazione UILDM Odv (Unione Italiana Lotta alle Distrofie Muscolari) e alla Federazione Italiana Malattie Rare Uniamo FIMR Aps ETS, ha inviato una missiva indirizzata alla Commissione Europea e all’Ema per chiedere ancora una volta il rinnovo dell’autorizzazione, su cui deve appunto esprimesi in maniera definitiva la Commissione Ue.
«La notizia ha gettato nello sconforto centinaia di pazienti e famiglie in tutta Europa – si legge nella lettera – che non possono più beneficiare di un farmaco che per anni è stato l’unica opzione di trattamento […]. Pur consapevoli che gli endpoint primari [i principali risultati attesi, ndr] non sono stati raggiunti dal punto di vista statistico, tutti i risultati mostrano una differenza tra i bambini trattati e quelli non trattati in maniera consistente in tutti gli studi effettuati. Questo risultato, che appare modesto nella durata breve degli studi clinici, emerge in maniera più evidente nei dati a lungo termine». «Guadagnare tempo per i nostri ragazzi – prosegue la lettera – è l’unica arma disponibile al momento. Inoltre vogliamo sottolineare che la Duchenne […] è caratterizzata da un decorso clinico variabile e difficile da prevedere e questo aspetto rischia di nascondere gli effetti benefici di una terapia in sperimentazione disegnati con le regole attuali, stabilite per l’approvazione di farmaci convenzionali».
«Noi famiglie di Parent Project siamo addolorate per il rischio che stiamo correndo di perdere ancora una volta una opportunità terapeutica che ha contribuito da quasi dieci anni a contrastare i danni provocati ai nostri figli dalla distrofia muscolare di Duchenne – ha dichiarato Ezio Magnano, Presidente di Parent Project Aps. – Ataluren non è la cura, ma è una parte importante di una terapia combinata che ha contribuito a dare più vita e più qualità di vita ai nostri figli. Faremo il possibile perché il nostro messaggio venga ascoltato dalla Commissione Europea».
«Ataluren ha dimostrato di essere un farmaco ad alto profilo di sicurezza, di facile somministrazione e ci sono rallentamenti nella progressione della patologia -, ha aggiunto Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO -. Per persone che non hanno alternative terapeutiche, questi sono motivi più che sufficienti per la sua immissione in commercio. Auspichiamo, in generale, una maggior partecipazione dei rappresentanti dei pazienti alla costruzione dei disegni di ricerca e a tutto il percorso di sperimentazione successivo».
I pazienti e le loro famiglie rimangono quindi in attesa della decisione. Al di là del merito di questo specifico caso, tuttavia, la vicenda solleva una volta di più un nodo critico: la necessità di chi soffre di una malattia rara di vedere un approccio adeguato allo studio e valutazione dei possibili farmaci e delle possibili cure, dato che i criteri utilizzati per le patologie più comuni non necessariamente sono applicabili allo stesso modo quando le persone interessate – e quindi coinvolgibili in uno studio – sono molto poche.