Come il Duce si prese l’Italia
Il discusso libro-monumento di Antonio Scurati (847 pagine!), M. Il figlio del secolo (Bompiani), su Mussolini e il fascismo, è giunto in due mesi alla 7a edizione, fatto più unico che raro da noi. Leggendo questa lunga “cronaca” delle origini del fascismo e della presa del potere da parte di Benito Mussolini, dall’anno di fondazione dei Fasci di combattimento (1919) al delitto Matteotti e all’incipit della dittatura vera e propria (1924), si toccano con mano e si è quasi travolti dalle “lacrime” e dal “sangue” che negli anni ’20 furono l’humus del regime fascista destinato a opprimere l’Italia fino al ’43-’45, dopo averla trascinata in una guerra rovinosa.
La brutalità di squadristi e camicie nere, che andavano dalle derisioni-umiliazioni alla distruzione morale e fisica degli avversari, dagli incendi alle distruzioni di giornali, camere del lavoro e sedi associative pure cattoliche, dai pestaggi ai delitti di sangue, pagina dopo pagina sono raccontate (e documentate) con avvincente vivacità e con dovizia di episodi, ambienti e personaggi.
Italo Balbo, Dino Grandi e gli altri ras del fascismo di provincia ci sono tutti, con le rispettive scalate al potere, nel partito fascista, nei territori e infine nel Paese. E a volte con la loro fronda e le loro ribellioni al duce, in nome di una mai negata fedeltà alle origini, fatte appunto di deliberata violenza fino ai limiti della criminalità, e spesso oltre. Mentre Mussolini, al di sopra e sullo sfondo, vuol servirsi di tutto ciò chiamandolo “violenza chirurgica”, per conquistare il potere vero, nazionale, la guida del governo, a Roma.
Per lui la violenza è uno strumento, come tutto il resto: gli errori dei socialisti, le loro violenze, le occupazioni di campi e fabbriche e gli scioperi che spaventano l’opinione pubblica, l’utopia della rivoluzione bolscevica, da promuovere in un Paese europeo, liberale e che aveva vinto la guerra, mentre la Russia di Lenin e Nicola II era una nazione feudale, con un monarca assoluto ed era uscita sconfitta e umiliata dal conflitto. Mussolini usa questi fatti e processi per rafforzarsi e salire, così come si vale dell’appoggio del re, di quello di agrari e industriali e dell’insipienza, indecisione e incapacità politica dei partiti politici, dai liberali, ormai logori dopo il declino di Giolitti e Nitti, ai socialisti, scissionisti per vocazione e divisi prima in due, poi in tre e infine in quattro partiti. L’uno contro l’altro armato, come al solito.
Il capo del fascismo è ritratto magistralmente in tutto il suo ego prorompente, la sua megalomania, l’attivismo inesauribile (degno di miglior causa!) e nel contempo il suo trasformismo, il tatticismo, il machiavellismo in senso deteriore e la sua furbizia da arcitaliano com’è stato detto, pronto a sfruttare tutti i mezzi e le occasioni per centrare l’obiettivo. E se lui è il protagonista assoluto del libro e – ahimè – di 25 anni della nostra storia, Scurati gli mette di fronte un antagonista all’altezza, Giacomo Matteotti. Che nel difendere la libertà e smascherare bugie e nefandezze dello squadrismo nero e del suo fondatore è presentato dall’autore quasi come l’unico vero oppositore dello squadrismo nero e del suo capo, un campione di coraggio, d’impegno senza requie e di fulgido eroismo, pagato, come si sa, al prezzo più alto. Totale il suo contrasto non solo coi complici e alleati del duce, ma anche con quei pur grandi – D’Annunzio, Albertini, Croce… –, che alla fine ammainarono per conformismo, convenienza o debolezza la bandiera della libertà-legalità-verità.
Un libro notevole (attendiamo con ansia, almeno chi scrive, il 2° e 3° volume della prevista trilogia, che arriverà al ’45), che però non si può chiamare romanzo, come vuole Scurati, per la scarsità di dialoghi e la struttura inevitabilmente spezzettata, non unitaria come invece esige un romanzo, pur storico e corale. Un ultimo merito di questo libro è l’attualità, perché contribuisce sia a spiegare chiaro e tondo come si agguanta il potere tirannico, a beneficio di chi vuol tutelare quello democratico, sia a dimostrare che il fascismo non può risorgere. È stato ciò che è stato, e non può ripetersi. Non si ha il diritto – politico, morale o culturale – di chiamare fascista ogni posizione di destra, autoritaria o pseudodemocratica che sia.