Draupadi Murmu è la presidente dell’India
Il cognome della nuova presidente dell’India tradisce immediatamente la novità di questa scelta. Murmu è, infatti, un tipico cognome tribale, adivasi, come si definiscono gli abitanti originari dell’India che appartengono ad una costellazione di gruppi tribali che popolano soprattutto, ma non solo, alcuni stati dell’India centrale ed orientale (Madhya Pradesh, Bihar, Uttaranchal, Jharkhand Odisha, West Bengal) e tutti quelli del Nord-Est attorno al Bangladesh. E proprio questa è la grande novità che questa donna, originaria dello stato dell’Odisha ed appartenente all’etnia dei Santal, porterà al Rashtrapati Bhavan, il palazzo presidenziale di Nuova Delhi.
Non si tratta della prima donna che rappresenta la massima autorità nazionale. Nel 2007, infatti, l’on. Pratibha Patil era stata eletta dopo una serie ininterrotta di presidenti uomini, e a cavallo fra gli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso l’India aveva conosciuto la forte leadership di Indira Gandhi, a lungo Primo ministro, assassinata nel 1984. Altre donne si sono distinte e continuano ad essere protagoniste della scena politica della più grande democrazia del mondo.
L’elezione dell’on. Murmu ha un significato importante e, al tempo stesso, genera anche delle perplessità. Candidata dal Bharatya Janata Party (Bjp), il partito che da due legislature governa il Paese con una maggioranza parlamentare assoluta e al quale la Murmu appartiene dal 1997, questa donna tribale era certa di diventare presidente del suo Paese. Il concorrente, Yashwant Sinha, politico di lungo corso appartenente al Congress National Party, molte volte ministro in vari gabinetti guidati dal suo partito, non avrebbe mai potuto raggiungere il numero di voti su cui la candidata del Bjp poteva contare. Ecco, dunque, il paradosso: una donna tribale che rappresenta milioni di persone, che reclamano di essere gli abitanti originari dell’immenso Paese, sono allo stesso tempo persone che oggi, nonostante leggi e facilitazioni, vivono come cittadini di seconda classe.
Il fatto di avere un rappresentante alla guida del Paese, come ha detto Mons. Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bubhaneshvar, capitale dello stato dell’Odisha, porta speranza alla vigilia del 75° anniversario dell’indipendenza della nazione. La speranza di Mons. Barwa e di milioni di adivasi è che Murmu «da presidente alzi la voce per i tribali e tenga saldi i valori della Costituzione». C’è, quindi, all’interno delle comunità tribali indiane un senso di orgoglio per il fatto che una donna tribale abbia raggiunto la più alta carica costituzionale.
Qualcosa di molto simile a quanto si verifica oggi accadde nel 1997, con l’elezione di Kocheril Raman Narayanan, il primo presidente indiano appartenente ai dalit, i fuori casta. Anche allora si era molto sottolineato il fatto che l’India sarebbe entrata nel nuovo millennio con un dalit nella posizione costituzionale più alta. Ma non fu certo il mandato di Narayanan a cambiare il destino della grande comunità dei dalit, che continua ad essere fortemente discriminata. Si trattava, in effetti, di una scelta a sensazione. Ma la realtà sociale da trasformare è ben più profonda, e dura da millenni.
E qualcosa di simile lo si avverte oggi, pur nella soddisfazione del momento per avere nuovamente una donna nella posizione più alta del Paese, e una donna che rappresenta una larga fetta di persone sfruttate e discriminate. Infatti, come sottolinea un altro tribale, il gesuita Vincent Ekka, che dirige il Dipartimento di studi tribali dell’Istituto sociale indiano, nella capitale: «L’elezione di Draupadi Murmu suscita un misto di felicità e sospetto. Felicità perché per la prima volta nella storia dell’India una donna tribale viene elevata alla più alta carica del Paese, il che dimostra che anche le persone emarginate possono emergere nella vita. Sospetto, perché la pratica e l’ideologia dell’attuale governo del Bjp sono state una strategia di inclusione solo simbolica. C’è il rischio che anche la scelta della signora Murmu segua questa strada mentre la maggior parte della popolazione tribale continua ad affrontare l’emarginazione, l’esclusione, il trasferimento forzato e la privazione dei diritti costituzionali».
Resta il grande quesito, se la scelta del Bjp e del premier Narendra Modi di una candidata adivasi per l’elezione a presidente non sia stato altro che un astuto tentativo – e Modi ha mostrato in questi anni di essere particolarmente capace in questo – di conquistarsi le simpatie di tutti i milioni di tribali indiani. La maggioranza di queste popolazioni vive ancora nelle foreste, nelle campagne, nelle piantagioni di thé, con tradizioni religiose locali che, se da un lato, hanno visto una intensa attività missionaria cristiana negli ultimi 150 anni, insieme a progetti di promozione sociale vasti e innovativi, dall’altra, più recentemente, sono testimoni di un interesse spesso violento da parte di fanatici indù. In questi stati, infatti, esiste una forte discriminazione religiosa nei confronti dei cristiani e non mancano tentativi di riconversioni di massa all’induismo, il cosiddetto ghar vapsi, il ritorno a casa.
Come sempre in India, è necessario attendere e vedere come si svilupperanno le cose. Resta il fatto che l’on. Murmu, figlia e nipote di capi villaggio santal dell’Odisha, dopo aver lavorato come insegnante, è entrata nel Bjp fin dal 1997. Dopo aver ricoperto diversi ruoli amministrativi, nel 2015 è diventata la prima donna tribale ad essere nominata governatrice del Jharkhand, altro stato dove la popolazione è, per la stragrande maggioranza, tribale.
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