I drammi del giovane Verdi
Il Teatro alla Scala di Milano sta dando fino al 7 luglio I Masnadieri di Verdi. Tratti da Schiller, sono quattro atti foschi, di un pessimismo esistenziale acuto, giocati sull’eroe diventato bandito perché rifiutato da un padre debole, ingannato dall’ambizioso fratello Francesco, sull’amore spinto sino alla morte da parte di Amalia, donna vittima sacrificale.
Il libretto di Andrea Maffei, amico del musicista, è un po’ troppo letterario e frena la naturale impetuosità verdiana. Ma non del tutto. Nel dramma di menti folli ed esasperate fatto di cori agguerriti, di cavatine e cabalette furenti, di duetti teneri ma anche di allucinazioni (Verdi da Nabucco a Macbeth ama l’elemento soprannaturale) il Maestro “sperimenta”. Passa dalla vocalità più virtuosistica del soprano (cantava, alla prima londinese del 1847 l’”usignolo svedese Jenny Lind), alla melanconia dolente di Carlo, l’eroe masnadiero, dai terrori della morte di Francesco ai lamenti del padre Masimiliano.
L’orchestra è varia, mai banale e i l dramma vola alla conclusione funerea come una corsa verso un dolore che non ha fine: tipico del giovane Verdi e dell’atmosfera Sturm und Drang di Schiller. Ma la meraviglia è questa. Come in Leopardi, il pessimismo verdiano si trasforma nella musica in una vitalità ardente, ossia le note sembrano dire il contrario dei versi: essi parlano di morte, la musica di vita.
Chi ha capito benissimo questo è i l direttore Michele Mariotti, seguito da una orchestra appassionata. Il suo gesto “cantante”, chiaro e preciso, immedesimato nel ruolo senza divismi, estrare colori nuovi e rende bella la partitura, per nulla ”minore”. Accompagna cantanti straordinari come il soprano Lisette Oropesa (voce belcantistica preziosa, brava attrice) e il tenore Fabio Sartori, romantico al punto giusto.
La regia cupa e forse troppo movimenta di David McVicar forza la scena ma non offende la parte musicale che Mariotti guida saldamente. Il risultato? Una edizione di sicuro riferimento.