Il dramma dei senza fissa dimora. La storia di Mostafa

Mostafa è morto a Torino a 59 anni nonostante si sia sempre arrangiato con dignità. Stessa sorte per un giovane rumeno di 33 anni. I clochard sono aumentati esponenzialmente e in città non ci sono posti per tutti per ripararsi dal freddo

Mostafa amava moltissimo i fiori. Era contento di aver trasformato la sua passione anche in un lavoro, proprio a Torino, dove viveva da tempo. Era arrivato dal Marocco, da un paesino vicino a Marrakech, 30 anni fa, dopo che la vita gli aveva portato via moglie e due figli in un incidente stradale, e viveva in un quartiere torinese facendo il vivaista a Pecetto. Poi si era messo a vendere fiori nel mercato di borgo San Secondo, ma 10 anni fa qualche problema con gli scontrini e le tasse si erano portati via il banco di fiori. E non solo il lavoro, ma prima la casa e poi l’auto, che era diventata la sua casa per un bel po’.

Mostafa ha cercato di arrangiarsi sempre con dignità e con la sua bontà d’animo che lo rendevano un amico che si faceva ben volere da tutti. Ma tutto questo non è bastato, la fatica, l’alcool per dimenticare e per sentire meno il freddo. Così quattro assi di legno, qualche cartone spesso e qualche coperta sotto una panca, nel dehors di un bar vicino agli storici palazzi lussuosi di corso Re Umberto, nel ricco quartiere della Crocetta, erano diventati il suo letto. E sono diventati il suo capezzale. Lo hanno trovato morto a 59 anni proprio i proprietari della caffetteria nel cui dehor dormiva, una di queste fredde mattine dell’inverno sabaudo.

Tutti nel quartiere lo ricordano come una persona gentile, educata, perbene, piena di quella dignità che neppure l’estrema povertà e l’abbandono riescono a portarti via. Sapeva e amava suonare, conosceva 5 lingue e il latino, tutti i nomi in latino dei tanti fiori che aveva curato, amato e venduto. Da quando non lavorava più cercava di cavarsela sempre con le sue mani facendo lavori di fatica o piccoli lavoretti per chi il banco al mercato ha continuato ad avercelo. Ma tutti nel quartiere confermano di non averlo mai visto chiedere soldi per strada. Frequentava a volte degli spazi diurni per i senzatetto ed era stato ricoverato in ospedale per i problemi del freddo e dell’alcool.

«È una tragedia che ci stimola a fare ancora di più – ha commentato l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia –. Le persone più fragili hanno bisogno di essere accompagnate a maturare scelte, ad intravvedere quale sia il proprio vero bene e sentirsi parte della città e non osservati speciali. La qualità del nostro stare davanti a loro per parlare, ascoltare, avviare anche una piccola ma efficace relazione, la libertà dai falsi pregiudizi, la verità del farsi prossimo invece che nel delegare gli altri sono gli impegni su cui dobbiamo insistere nel rapportarsi con loro».

La tragedia di Mostafa si è ripetuta anche venerdì 12 febbraio. Un clochard, un giovane rumeno di 33 anni, è stato infatti trovato morto in strada a Torino, in corso Taranto, alle spalle del mercato, nel quartire popolare di Barriera di Milano, dopo essere già stato curato in ospedale nei giorni scorsi per ipotermia.

Il dramma delle persone senza dimora si sta aggravando e con la pandemia è letteralmente esploso. E “gli invisibili” sono finiti sotto le luci delle cronache per la scelta del Comune di far sgomberare gli eleganti portici del centro dai senzatetto e dalle loro povere coperte e cartoni. La Comunità di Sant’Egidio che da sempre si occupa di loro ha messo in evidenza i numeri: a Torino un anno fa erano 150 quelle aiutate in strada oggi sono oltre 500. E in città non ci sono posti per tutti per ripararsi dal freddo. Sono circa 550 letti nei dormitori ed emergenze freddo della città e della Diocesi a fronte di una richiesta stimata tra i 1700 e i 2500.

Morti evitabili che chiedono la nostra attenzione e cura, una sensibilità nuova e un desiderio di andare incontro ad ogni uomo lì dove è, in qualsiasi punto della sua vita si trovi. Anche e soprattutto nella città dei grandi santi sociali, da don Bosco al Cottolengo, da Cafasso all’Allamano.

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