Draghi, il salvatore dell’euro
Dopo otto anni di mandato Mario Draghi si appresta a dare l’’addio alla Banca centrale europea e si appresta a lasciare il 31 ottobre prossimo la presidenza della Bce al suo successore, Christine Lagarde, ex direttore del Fondo monetario internazionale.
Stimato e riconosciuto in tutto il mondo, il terzo presidente della Bce passerà alla storia per aver salvato l’euro, quando la crisi del debito pubblico dei Paesi “PIGS” (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) seguita alla crisi finanziaria di Wall Street rischiava di contagiare l’intera Europa.
Dal curriculum di Draghi emergono prestigiose esperienze in Italia e all’estero, dal dottorato al Mit di Boston alla Banca Mondiale, di cui è stato direttore esecutivo dal 1984 al 1990; dal ministero del Tesoro italiano (ne è stato direttore generale dal 1991 al 2001) alla vicepresidenza di Goldman Sachs; da governatore di Bankitalia al vertice della Bce. Forte della sua autorevolezza, è riuscito così ad opporsi ai cosiddetti “falchi” nord-europei, poco inclini a venire incontro ai problemi dei Paesi mediterranei super indebitati.
Draghi si è distinto soprattutto per la scelta delle tempistiche, il fiuto politico e la capacità di modificare le situazioni con delle semplici parole e le aspettative, creando fatti compiuti capaci di abbattere le obiezioni dei critici. “Whatever it takes” sono le tre parole pronunciate con grande determinazione nel pieno della crisi alla UKTI’s Global Investment Conference di Londra del 2012, parole passate alla storia per aver messo in ritirata la marea speculativa dando ai mercati il segnale che la Bce sarebbe stata disposta a fare, appunto, “qualunque cosa fosse necessaria” per preservare l’euro, diventando di fatto un prestatore di ultima istanza: un importante fatto compiuto capace di superare le obiezioni dei critici e di modificare radicalmente le aspettative che si erano pericolosamente orientate al pessimismo.
Pur senza avere il supporto delle politiche fiscali degli stati, Draghi ha guidato la Bce al sostegno dell’economia e del Pil dell’area dell’euro. Con un piano strategico di strumenti di politica monetaria non convenzionale ha combinato un mix di misure di stimolo composte da una strategia di comunicazione pubblica, la forward guidance, dal taglio dei tassi, dall’acquisto di massicce quantità di titoli di stato dalle banche in modo da iniettare liquidità nel sistema finanziario (il cosiddetto quantitative easing) e dalle aste di liquidità finalizzate a spingere le banche a prestare alle aziende (Tltro).
Lo scorso 12 settembre la Bce, con un nuovo quantitative easing da 20 miliardi al mese, ha reso ancor più accomodante una politica monetaria già ampiamente espansiva, il che ha sollevato dubbi e critiche.
Infatti, se è vero che i dati econometrici confermano che la politica espansiva di Draghi è stata efficace nel salvare l’euro, sembra invece aver fallito l’obiettivo della Bce nel riportare il livello dell’inflazione verso il 2%, segno che la domanda interna e i consumi non si sono riavviati abbastanza da generare una modesta ma positiva dinamica dei prezzi.
Se ormai è lontana – per fortuna – la crisi del debito sovrano, resta dunque ancora la paura della deflazione, quella pericolosa spirale negativa di riduzione del livello generale dei prezzi che potrebbe innescarsi se continua la riluttanza degli operatori a spendere, in particolare in nuovi investimenti. Un segnale chiaro del fatto che la politica monetaria sta ormai raggiungendo i propri limiti.
Alla politica monetaria espansiva di Draghi deve affiancarsi una forte politica di spesa pubblica, in particolare da parte degli stati meno indebitati, senza la quale tarderà ancora quel rilancio dei consumi e quell’aumento dei salari di cui si sente un acuto bisogno.
Nell’ultima conferenza stampa in veste di presidente della Bce, diversi giornalisti hanno chiesto a Draghi un bilancio dei suoi otto anni di presidenza e dell’eredità da lasciare alla Lagarde: «Ho sempre cercato di rispettare il mio mandato, senza mai arrendermi», ha dichiarato. «È stata un’esperienza intensa, profonda e affascinante» e ancora «Se dovessi dire una cosa di cui sono orgoglioso insieme a tutto il consiglio è il modo in cui abbiamo perseguito il mandato. È parte della nostra eredità: mai mollare»