Draghi, Confindustria e l’economia civile
È stato un fine settimana fervido di iniziative e interventi importanti quello del 24-26 settembre, ad una settimana esatta dalle elezioni amministrative che interesseranno anche città importanti come Roma, Milano, Torino e Napoli oltre la Regione Calabria.
Decisamente importante è stato, a Roma, l’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi all’assemblea di Confindustria accolto tra le ovazioni degli appartenenti all’associazione guidata da Carlo Bonomi. Nello stesso tempo iniziava il Festival nazionale dell’Economia civile promosso a Firenze nel Palazzo dei 500 grazie all’investimento di Federcasse, espressione di quel mondo bancario legato ai territori e che rappresenta uno degli elementi di biodiversità dell’economia italiana legata all’umanesimo civile di cui la Toscana rappresenta un punto di riferimento storico. A Roma si è svolto anche l’incontro nazionale di studi promosso dalle Acli incentrata su lavoro e comunità.
E proprio il lavoro è stato il filo conduttore dei tre momenti che possono rappresentare una foto emblematica dell’Italia del 2021. Draghi ha ripreso l’invito di Bonomi per un nuovo patto economico e sociale per il Paese precisando che cerca, tuttavia, di usare l’espressione «prospettiva economica condivisa”.
Al di là dei segnali incoraggianti di ripresa e crescita, l’ex governatore della Bce ha invitato a prendere atto ad esempio che prima della pandemia e cioè «nel 2019, il nostro reddito pro capite era fermo al livello di venti anni prima» e che «l’economia globale attraversa una fase di aumento dei prezzi, che riguarda anche i prodotti alimentari, i noli e tocca tutte le fasi del processo produttivo».
Draghi non può ignorare i dati della realtà e infatti se dichiara la ripartenza del mercato del lavoro deve osservare che «ci sono ancora alcuni aspetti che destano preoccupazione. Tra i dipendenti, tre quarti dei nuovi occupati hanno ricevuto un contratto a tempo determinato» mentre «nel 2020, più di due milioni di famiglie erano ancora in condizione di povertà assoluta».
«Un governo che cerca di non far danni è già molto» afferma Draghi ma questo non basta a suo parere davanti alle «sfide dei prossimi anni, in primis le tensioni geopolitiche, il protezionismo, ma anche il probabile mutare delle condizioni finanziarie, il graduale affievolirsi degli stimoli di bilancio».
L’esecutivo di larga maggioranza si propone un compito non transitorio ma fondativo intende «sciogliere i nodi strutturali che legano da anni il nostro Paese».
Ma su cosa si basa la visione condivisa auspicata da Draghi? Secondo alcuni il modello di riferimento è l’accordo tra le parti sociali del 1993 promosso dal governo Ciampi ma quell’accordo è intervenuto in un quadro di forti privatizzazioni e dismissione di asset produttivi del Paese mentre si fermava la crescita dei salari sul presupposto degli investimenti in nuove tecnologie, sviluppo e ricerca da parte del mondo delle imprese. Un patto che ha condotto alla situazione del 2019 citata da Draghi con un reddito pro capite fermo da 20 anni e la corrispondente crescita delle diseguaglianze.
Per definire un nuovo patto sociale occorrerebbe capire il ruolo che può giocare la visione umanistica dell’economia civile che a Firenze ha mostrato esempi di buone pratiche generative da parte delle imprese e della società partendo dal dati drammatico che emerge dagli studi di alcuni grandi economisti. Come fa notare Vittorio Pelligra, professore di economia all’università di Cagliari, gli studi del Nobel Angus Deaton e di Ann Case nel loro libro “Morti per disperazione e il futuro del Capitalismo” mettono in evidenza con riferimento alla società statunitense e quindi occidentale: «lo sfilacciamento del tessuto relazionale, l’irrilevanza sociale e politica, lo sfaldamento dei nuclei familiari, il trovarsi intrappolati in lavori che vengono considerati inutili quando non addirittura socialmente dannosi, sono gli ingredienti di quel cocktail tossico che ha determinato, nel solo 2018, 158.000 morti per disperazione». Pelligra, intervenuto a Firenze, cita l’antropologo David Graeber, prematuramente scomparso nel 2020 e uno dei punti di riferimento del movimento di Occupy Wall Street, di una «terribile ferita psichica» che frena lo «sviluppo generativo dei nostri territori».
Un’indicazione importante per tessere un nuovo patto sociale è arrivata dall’approfondimento promosso dall’incontro di studio delle Acli incentrato sull’urgenza di «riscattare il lavoro da un’economia al massimo ribasso e dalle diseguaglianze».
Nell’incontro di Confindustria non si è, ad esempio,affrontato il caso GKN che evidenzia il fenomeno delle delocalizazioni selvagge che, invece, non poteva non sollevare il sindaco di Firenze nel suo intervento al Festival dell’economia civile. In entrambi le manifestazioni non si è toccata la contraddizione tra l’urgenza degli investimenti sulle fonti rinnovabili e l’industria verde e i piani di sviluppo del settore bellico che emergono dopo la chiusura traumatica dei 20 anni di guerra in Afghanistan.
Come dice Draghi esistono nodi strutturali da affrontare e che un sano dibattito democratico può far emergere a partire da una società civile attenta e consapevole.