Dove va Putin?
Gli osservatori di professione e gli addetti ai lavori si interrogano sull’umore di Vladimir Putin e quindi sulle sue prossime mosse. Ma ce lo chiediamo pure noi semplici cittadini, implicati nostro malgrado nelle faccende complesse della Seconda guerra del Donbass. Cosa c’è da aspettarsi? Solo lo zar lo sa. Ma qualche segnale va pur seguito. Non c’è dubbio che il crollo verticale del regime di Assad sia stato inatteso, come inattesa era stata la vittoria nel 2014-2015: allora come ora, gli eventi erano stati precipitosi. Era allora cominciata la lunga battaglia mediatica occidentale contro un nuovo “asse del male” (ricordate gli “Stati canaglia” di Wolfowitz e George W. Bush?) che partiva da Mosca, passava per Teheran e arrivava a Damasco (con Pechino sullo sfondo). Ciò ha portato a 10 anni di calma (molto) relativa in Siria, mentre anche la Turchia aveva rafforzato le sue posizioni aggressive “anti-curde” nel Kurdistan iracheno e in quello siriano, oltre che nella città di Idlib.
Ma proprio in quel 2014 era anche scoppiata la Prima guerra del Donbass, anche se Mosca all’epoca l’aveva giocata rifornendo le milizie più o meno autonome filorusse della regione. La Seconda guerra, invece, dal febbraio 2022 ha drenato non poche riserve degli arsenali russi – e dei suoi alleati −, che hanno progressivamente sguarnito i fronti extraeuropei, contando su una presenza più consistente delle milizie della Wagner di Prigozhin. Caduto quest’ultimo in disgrazia, per poi scomparire dalla scena, Putin non ha più potuto contare sulla dinamicità dei mercenari al soldo di Mosca e ha dovuto dedicare non poche delle sue forze per tenere unite le sue truppe ed evitare che l’embargo occidentale bloccasse la macchina bellica russa. E forse non si è accorto che i suoi alleati non riuscivano a sostituire i suoi soldati e agenti. La potenza d’urto militare e di intelligence degli israeliani ha poi contribuito a indebolire le forze dell’alleato persiano e delle milizie di Hezbollah, che ora si trovano ad avere ricevuto un colpo forse definitivo con la chiusura delle vie di rifornimento siriane, completamente interrotte. Tra 6 mesi, sia detto per inciso, sapremo veramente quale sarà il futuro prossimo venturo della Siria, in particolare se le promesse concilianti con le minoranze dei nuovi padroni di Damasco – troppo simili al Daesh – saranno confermate o meno.
Dunque, Putin si è giocoforza dovuto ricentrare sull’Europa e sul fronte ucraino, e non lo ha fatto solo militarmente, ma anche politicamente, cercando di indebolire il già fragile fronte europeo, alle prese coi malumori di alcuni alleati, Orban in testa: godendo non poco del grave declino dell’asse franco-tedesco − Macron ha ora messo sul tavolo l’ultima carta, quello del centrista e cattolico François Bayrou, non si sa con quante possibilità di formare un governo −, Putin ha iniziato un’opera di persuasione morale delle popolazioni dei Paesi dell’Europa orientale balcanica e del Caucaso, soprattutto Moldavia, Romania, Serbia, Armenia e Georgia, contando già sull’alleanza di Bielorussia e dei Paesi dell’Asia Centrale. Il successo è stato maggiore in Europa, curiosamente − come testimoniano i risultati elettorali in Moldavia e Romania −, rispetto ai Paesi della “pancia” asiatica, nei quali sta crescendo l’influenza del sultano-nemico Erdogan, il quale ha già messo a segno due successi, in Siria e in Azerbaijan-Nagorno Karabakh.
In quest’operazione di moral suasion di Mosca, stanno lavorando alacremente soprattutto i servizi digitali russi, che da tempo hanno arruolato fior di esperti numerici, professionisti di primissimo livello pagati profumatamente, che sicuramente hanno avuto buon gioco nell’influire sulle popolazioni dell’est europeo, scosse dalla guerra vicina. Putin ha anche scommesso non poco – e di certo i suoi servizi hanno lavorato nell’ombra – per favorire la rielezione di Trump. Il quale sta però sparigliando le carte e non ha ancora “finalizzato” la sua strategia in Ucraina e in Medio Oriente. Anche le recenti indicazioni su una forza di pace d’interposizione europea è un’ipotesi tutta da confermare.
Lo zar, dunque, è stato ferito dalle recenti sconfitte, ma non finirà col cedere le basi militari sul Mediterraneo siriano, né rinuncerà a Donbass e Crimea. Un affare internazionale da seguire attentamente.