Dove va l’Argentina?
Dove va l'Argentina? La domanda è necessaria. La gestione della presidente Cristina Fernández de Kirchner sta prendendo una piega che, sebbene non preluda a una delle catastrofi cicliche che sconvolgono questo Paese, la evoca nell’immaginario collettivo di molti, anche di coloro che osservano dall’estero.
Il Paese sta entrando in una spirale di scontro ideologico e per gestirlo la presidente spende la gran parte delle sue energie, come se fosse in corso una battaglia epica nella quale costantemente bisogna giocarsi il tutto per tutto. Uno scontro che a prima vista sembrerebbe inutile, a meno che l’idea non sia quella di cedere alla tentazione di una egemonia permanente.
Uno di questi scontri è terminato lo scorso 7 dicembre con una cocente sconfitta. Il governo aveva scommesso tutto sulla scadenza della misura cautelare che avrebbe posto fine alle dilazioni concesse al maggiore gruppo editoriale argentino, il Gruppo Clarín, per adeguarsi alla nuova legge sui mezzi audiovisivi che impone un numero limitato di licenze (il gruppo ne accumula più di 200!). È vero che siamo di fronte alla strenua difesa di un interesse corporativo sull’interesse collettivo, rappresentato da una legge approvata dal Parlamento che da tre anni attende di essere applicata, ma goffamente il governo ha trasformato un princìpio legittimo in una lotta senza esclusione di colpi, con pressioni sul potere giudiziario per niente in armonia col princìpio della separazione dei poteri. Da "data fatidica" si è passati al flop: la giustizia ha concesso una proroga in attesa della sentenza sulla costituzionalità delle norme impugnate.
Ma sono questi i veri problemi del Paese? La battaglia sui media – il governo ne ha fatto incetta per avere un coro che sostenga pubblicamente la sua propaganda, anche mostrando un'immagine del Paese che non corrisponde alla realtà – sembra puntare al controllo della versione dei fatti da fornire all’opinione pubblica. Tale controllo è considerato strategico dalla presidente, da qui l’uso di ogni mezzo per addomesticare i media non allineati.
I veri problemi, tuttavia, sono altri. Primo fra tutti l’inflazione che il governo si ostina a negare, manipolando gli indici dell’Istituto di statistica, che presenta un vergognoso 9,8 per cento. Eppure gli stipendi, anche quelli pubblici, sono aggiornati annualmente a partire dal 20 per cento. A cosa serve tale espediente? Da un lato fa pagare meno interessi sul debito pubblico, dall’altro permette di falsare i livelli di povertà sociale, perché lo zoccolo duro della povertà non è stato scalfito e un 25-30 per cento della popolazione se non è povero è comunque in condizioni di elevata vulnerabilità.
L'inflazione non è ingovernabile, ma è il terzo anno che si registra un tasso molto alto e per il 2013 si prevedono ulteriori aumenti. Negarla, inoltre, impedisce l’adozione di misure serie per rallentarla.
L’altro problema grave del Paese è che è ancora escluso dal credito internazionale. Mentre Brasile, Uruguay e Bolivia possono indebitarsi a tassi di interesse intorno al tre per cento, l’Argentina è ancora penalizzata da tassi impossibili. Eppure, sarebbe bastata una più accorta politica volta a stabilire la fiducia in un Paese che tra il 2005 ed il 2008 cresceva a ritmi cinesi. Il risultato finale, insieme alla maldestra espropriazione della petroliera Repsol, è stata la scarsa raccolta di investimenti dall’estero che potenzierebbero l’economia del Paese.
In tal senso, l’Argentina appare carente di una politica estera lungimirante e coerente col ruolo che potrebbe svolgere nella regione. Anche i vicini se ne rendono conto e, fatte salve le formalità diplomatiche, osservano con sempre maggiore scetticismo la sua condotta.
Difficile dunque dire dove vada l’Argentina in un mondo in Paesi che crescono lo fanno in base a un preciso piano di sviluppo. Durante i due mandati di Cristina e durante quello del defunto marito, sono stati messi a segno vari risultati positivi. E senza dubbio la vita di molti settori della popolazione è migliorata, ma al costo di un clientelismo preoccupante, alimentato da prestazioni sociali e da sussidi.
In tal senso, oggi il governo sembra aver perso l’iniziativa e appare più che altro impegnato ad affrontare sempre nuove emergenze o a concentrare le sue energie su questioni che non sono prioritarie o che potrebbero essere affrontate usando una cucchiaiata di miele, più che una tonnellata di aceto.
Nel frattempo il mondo va avanti e ci sarebbe bisogno di leader capaci di cogliere le opportunità che ci offre. E Cristina Fernández de Kirchner non appare molto concentrata su quanto avviene fuori dalla politica interna argentina. Riuscirà a correggere la rotta e a migliorare la sua gestione del Paese?