Dove va il cinema?
James Bond è arrivato al capolinea? Il film numero 25 della saga sul killer di Sua Maestà, iniziata nel 1962, è certo l’ultimo per l’attore Daniel Craig, 53 anni, superpagato purchè accettasse il ruolo. Tanto più che il futuro 007 è probabile non sarà bianco o macho, ma forse di colore e femminile. In No Time To Die, James è un pensionato di lusso in Giamaica che però deve fare i conti con il passato che ritorna (e le citazioni non si sprecano) e con la nuova 007 con cui si trova a combattere insieme il cattivissimo di sempre. Perciò fughe e inseguimenti (a Matera bellissima, per la gioia degli stuntmen), una possibile figlia avuta da una vecchia fiamma che ritorna, l’immancabile Martini-Vodka “agitato non mescolato” (ma quanto beve Bond!), e il ritorno per oltre due ore alla grande fra oceani, cieli, aerei, foreste, strade, catacombe, moto, auto e così via: lui se la cava sempre, anche se i graffi si vedono (e si sentono, ormai).
Ma il nuovo film concede allo spettacolo il giusto tempo necessario, perché nella seconda parte -che non riveliamo- la nostalgia fa capolino e i fantasmi del passato non si sono davvero mai spenti. Bisogna farne i conti.
Craig è bravissimo con la sua faccia tagliente, gli occhi freddi (ma che iniziano a diventare “umani”) e il fisico ancora atletico, ma sono perfetti anche Ralph Fiennes – M -, Q – cioè Ben Wishaw- Paloma a Cuba – la bravissima Ana de Armas – e il vendicativo Safi (Rami Malek), mentre la nuova 007 è la muscolosa Lashana Lynch (meno perfetta).
Cast dunque molto buono, spettacolo che funziona e piace, e la malinconia che si legge negli occhi di Craig come la cosa più bella e inattesa di un film-fiume, mai pesante, diretto con astuta professionalità dal giovane Cary Fukunaga. Divertente e non ripetitivo.
Perdiamoci invece tranquillamente Titane, inutile provocazione francese della love story di una ragazza malata e assassina che resta incinta da una cadillac, generando un mostro umano-meccanico. Scene estreme e anche di pessimo gusto, recitazione agitata e scontata, il film segna la solita volontà francese di stupire chi ormai non si stupisce più di niente, se non della bruttezza di un film inutilmente premiato e fatto passare per un’opera coraggiosa. E’ il sonno della ragione, persa anche da Cannes, evidentemente.