Dove ritrovarsi non è una fatica
L’indipendenza nazionale, un sogno secolare per alcuni, un dramma per altri, avvenuta sedici anni fa, ha messo in fermentazione un popolo di cinquanta milioni di abitanti, con una popolazione eterogenea che dalla metà del XVII secolo ha vissuto nell’impero russo ed in seguito, ancora per settant’anni sotto il piombo sovietico. Subito sono venute fuori le vecchie e le nuove opposizioni fra i nazionalisti ed i comunisti, l’Ovest del paese, a volte accanitamente antirusso, e l’Est russofono, fra gli ortodossi e i greco-cattolici, ma prima di tutto fra gli ortodossi stessi. Sembra che oggi non si possa trovare un Paese nell’Europa orientale con delle divisioni così dolorose e delle cicatrici confessionali più profonde. Basta guardare la mappa religiosa: accanto alla Chiesa greco-cattolica con il suo centro spostato a Kiev (cosa che Mosca percepisce come una sfida all’Ortodossia) esistono almeno tre Chiese ortodosse dello stesso rito che non si possono neanche parlare fra di loro. Una, la più grande, è dipendente dal Patriarcato di Mosca (canonica), un’altra è del Patriarcato di Kiev (il cui capo è scomunicato da Mosca), la terza è la Chiesa autocefala, anch’essa non-canonica, cioè non in comunione con la famiglia delle Chiese ortodosse. Senza parlare della presenza, anche se simbolica, della Chiesa ortodossa russa all’estero, la quale non riconosce nemmeno l’esistenza dell’Ucraina indipendente e sogna che essa ritorni nella Russia monarchica… Non esiste una ricetta miracolosa che possa riconciliare tutte queste ispirazioni, ideologie, nazionalismi, scontri, passioni, opposizioni. In modo schematico si può parlare di due tendenze che dividono il paese; una è per un’integrazione di vecchio stampo sotto l’occhio del padrone imperiale; e l’altra è per la costruzione di una società civile in cui forze non riconciliabili fra di loro possano trovare il loro posto legale e riconoscere la legalità – almeno sul piano civile – dell’esistenza dell’altro. Solo da questo riconoscimento si può fare un grande passo verso la riconciliazione umana, cristiana ed ecclesiale. Poiché proprio la riconciliazione è l’autentico nome dell’ecumenismo… Ma anche nel tempo delle divisioni e delle lacerazioni si possono trovare in Ucraina delle iniziative di valore, di vero impegno spirituale e culturale, che riuniscono le comunità più lontane le une dalle altre, iniziative che già oggi portano i loro frutti. Pensiamo alle importanti conferenze internazionali che si svolgono fra i muri della Laura delle Grotte di Kiev, nella culla stessa del cristianesimo russo (conosciuto per il suo spirito assai poco ecumenico), come anche nel complesso di Santa Sofia, nell’Accademia delle scienze, con la partecipazione di cristiani e di laici, di ortodossi tradizionali e di cattolici, di uomini di cultura e di fede. Ma il fatto, forse, più positivo è che questi incontri si svolgono davanti agli studenti dell’Accademia teologica (quasi 3 mila studenti), cioè davanti ai futuri chierici della Chiesa ortodossa in Ucraina, non in condizioni di semiclandestinità, ma con l’approvazione e la partecipazione attiva del capo della Chiesa canonica, il metropolita mons. Vladimir e con la partecipazione del metropolita di Minsk, mons. Filaret. Forse, lo spirito di questi incontri ha trovato la sua adeguata espressione nella figura di Serghei Averintzev, un ortodosso, membro dell’Accademia pontificia (1937-2004), uno dei più grandi studiosi e pensatori russi della nostra epoca, uno dei più devoti cristiani che io abbia mai incontrato. Averintzev era l’incarnazione della pace fra forze sempre in guerra (fredda, ma che a volte può diventare calda) nella terra russo- ucraina: intellighenzia e Chiesa, Est ed Ovest, un’anima patriottica e con una straordinaria apertura alle culture e fedi diverse, cosa che rappresenta un caso straordinario nell’universalismo russo. Questi incontri vengono organizzati dal Centro europeo delle ricerche umane che lavora all’interno dell’Accademia Pietro Moghila a Kiev e in qualche modo avvengono sotto il segno di questa grande personalità della prima metà del XVII secolo. Moghila, metropolita di Kiev, autore del catechismo ortodosso (scritto da lui in greco ed in latino) fondò nel 1615 la prima università che a quell’epoca fu la più importante nell’Europa orientale, dopo quella di Cracovia. Questa università, diventata simbolo della più alta cultura ucraina, è esistita fino alla rivoluzione russa, ed è stata chiusa dal potere comunista per essere riaperta solo nel 1991. Oggi, l’Accademia San Pietro Moghila, a differenza delle altre università in Ucraina, non ricicla la vecchia nomenclatura, elemento che ha fornito un’ottima occasione per creare lo spazio per un nuovo respiro. La figura chiave di questa attività è un giovane professore di filosofia, che insegna a Kiev e a Parigi (a volte anche in Italia), Konstantin Sigov. Sigov ha organizzato conferenze e incontri quali La famiglia nella società post-atea; Le vie dell’educazione e i testimoni della verità; La personalità umana e la tradizione; L’uomo, la storia, il messaggio… E l’ultima conferenza del settembre scorso ha avuto come titolo: L’integrità della persona e l’incontro delle culture, e è stata dedicata alla situazione del cristianesimo nell’epoca della globalizzazione, in un contesto dialogico con il mondo con- temporaneo. Un dialogo a due polmoni, ovviamente. Gli incontri che si svolgono dopo la festa della Dormitio Mariae (28 agosto secondo il calendario gregoriano, 15 agosto secondo il calendario giuliano) si compiono sotto la protezione di Maria. In questi incontri hanno preso parte a teologi e pensatori ortodossi provenienti dalla Russia, dall’Ucraina e dall’estero, anche esponenti della Chiesa latina. Bisogna menzionare che la costruzione di questi ponti culturali è ispirata, oltre che dal prof. Sigov, anche dai suoi amici della Commissione per l’unità cristiana, mons. Pierre Duprey e Paola Fabrizi. Dopo più di dieci anni di attività del Centro europeo, si può parlare di un successo fuori dal comune, poiché quanto è riuscito perfettamente in Ucraina sembra oggi quasi utopico a Mosca. È davvero difficile trovarle in Russia dove, dopo il boom religioso degli inizi degli anni Novanta, il dialogo tra l’intellighenzia e la Chiesa è quasi interrotto; e dove tutte le comunità religiose vivono nelle loro riserve culturali e naturali, uno spazio nel quale i rappresentanti delle diverse denominazioni possono condividere le proprie esperienze, ove si incontrano non tanto le posizioni e le ideologie, ma prima di tutto le persone e le fedi. Oltre alle conferenze regolari, il centro ha una propria casa editrice – Duch e Litera, lo spirito e la lettera -, che pubblica in ucraino e in russo una cinquantina libri di teologia e di filosofia all’anno. Di più, nel quadro dell’attività editoriale si sviluppa anche il dialogo cristiano- ebraico, un fenomeno ancora abbastanza raro nell’ambito ortodosso. Non è facile trovare una casa editrice religiosa così importante persino nella grande Russia. Più della metà delle pubblicazioni sono libri tradotti dalle lingue europee. L’anno scorso il card. Kasper si è recato appositamente a Kiev per la presentazione del suo libro Gesù Cristo in ucraino. Fra qualche mese deve uscire il libro del card. Etchegaray, Vero Dio, vero uomo, anche questo in ucraino. Ma le conferenze organizzate a Kiev e nelle altre città non bastano più. Dal 2004 in un piccolo villaggio a 30 chilometri da Kiev funziona la Scuola teologica estiva, che dura due settimane e vede la partecipazione di docenti venuti dagli Stati Uniti, dalla Francia, dalla Germania, i quali trattano vari argomenti come la liturgia, gli studi biblici, il diritto… Non è una cosa da poco: un paesino sconosciuto, tipicamente ucraino, con una parrocchia prevalentemente contadina, presieduta dal suo ardente ed instancabile parroco, lo ieromonaco Filaret Egorov, uomo dotato di carisma, che riunisce ogni estate teologi di fama internazionale, la cui partecipazione diventa più ampia di anno in anno. Gli alunni? Una cinquantina di giovani ucraini e russi che ascoltano le lezioni e mantengono la casa. Le condizioni di vita sono ancora abbastanza spartane: i ragazzi dormono sul fieno e preparano il cibo da soli. Ma c’è anche una nuova iniziativa all’ordine del giorno: la costruzione di un Centro ecumenico che porta il nome di Clemente, il papa martire del I secolo, per poter essere un luogo d’incontro tra teologi e universitari ortodossi e cattolici. Questo progetto ha già ricevuto la benedizione del metropolita Vladimir e nello stesso tempo è concordato con il nunzio apostolico di Kiev. Si può trovare davvero un altro spazio nell’Europa dell’Est dove una collaborazione del genere sarebbe possibile? La pace può venire quasi in incognito, oltre il rumore delle discussioni e dei problemi, come spirito di riconciliazione fra le persone, le culture, le fedi, le tradizioni. Un giorno questo spirito verrà a bussare anche alle porte dell’Europa occidentale. Esiste già un progetto per costituire qualcosa di simile anche in Italia. Perché l’Italia, dove oggi si trovano decine e decine di migliaia di immigrati dall’Est europeo, soprattutto dall’Ucraina, deve diventare il luogo dell’incontro delle culture e della maturazione dell’unità cristiana.