Dove nessuno poteva entrare
Nel mese di marzo dedicheremo molto spazio a Chiara Lubich. Di seguito la meditazione che la fondatrice del movimento scrisse nel 1960, riletta da Florence Gillet nel libro "Ho trovato l'amore" di Città nuova
«"Ti voglio bene/ perché sei entrato nella mia vita/ più dell’aria nei miei polmoni,/ più del sangue nelle mie vene./ Sei entrato/ dove nessuno poteva entrare/ quando nessuno poteva aiutarmi/ ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi./ Ogni giorno ti ho parlato./ Ogni ora ti ho guardato/ e nel tuo volto/ ho letto la risposta,/ nelle tue parole/ la spiegazione,/ nel tuo amore/ la soluzione./ Ti voglio bene/ perché per tanti anni/ hai vissuto con me/ ed io ho vissuto di Te./ Ho bevuto alla tua legge/ e non me n’ero accorta./ Me ne sono nutrita,/ irrobustita,/ mi sono ripresa,/ ma ero ignara/ come il bimbo che beve dalla mamma/ e ancor non sa chiamarla/ con quel dolce nome•[1]».
Una mattina del 1960, dopo aver partecipato alla messa nella basilica romana di S. Maria degli Angeli Chiara scrive di getto la preghiera appena citata, così come è sgorgata dal suo cuore. È il suo Magnificat di quel giorno, nel quale ella racconta la sua storia d’amore con Gesù: Chiara rilegge la sua vita e la vede tutta intessuta dell’amore di Gesù eucaristia per lei. Più tardi spiegherà queste parole dicendo che tutta la sua vita «è stato un affare tra Gesù eucaristia e lei»•[2]. Comprende che è stato lui a darle la spinta, lui a rivelarle quel carisma di luce, a guidarla passo dopo passo, soprattutto nei momenti difficili.
Quando, a 23 anni, confida al suo direttore spirituale il desiderio di donarsi a Dio per sempre, egli, facendo la parte dell’avvocato del diavolo, le descrive l’abisso di solitudine in cui presto o tardi rischierà di trovarsi. Dentro di sé, la giovane pensa: «Finché ci sarà un tabernacolo sulla terra, non sarò sola» e, convinta, trova le parole per convincere anche il suo direttore spirituale.
Agli inizi del Movimento, quando per formare le sue prime compagne teneva ogni mattina una meditazione, Chiara si preparava a lungo davanti al SS. Sacramento ripetendo incessantemente: «Tu sei tutto, io sono niente». Da questa preghiera sgorgano dal suo cuore e dalle sue labbra le parole che attireranno decine e decine di giovani, fino a formare in pochi mesi una comunità di 500 persone.
Qualche anno più tardi, mentre la Chiesa e il Sant’Uffizio studiano quel Movimento «così nuovo, così diverso nella sua struttura dalle realtà religiose dell’epoca»•[3] e su quel primo gruppo al seguito di Chiara incombe la minaccia dello scioglimento, ella ricorre all’eucaristia: «Ancora non riusciamo ad avere un’udienza col Vicario di Cristo; ma tutti i giorni, a tutte le ore, possiamo avere un’udienza con Cristo stesso». E aggiunge, rivolta a Gesù: «In fondo il Papa è tuo Vicario, comandagli e digli che siamo figli suoi, che la nostra Opera vuol servire soltanto la Chiesa»•[4]. Tanto che si chiederà, anni dopo: «È forse l’eucaristia che ha fatto nascere in me l’Ideale?»•[5].
Chiara, dunque, ci invita a fermarci – «Venite in disparte… e riposate un po’» (Mc 6, 31) – e a contemplare ciò che l’eucaristia ha fatto e continua a fare in noi. Approfittiamo del colloquio con l’Onnipotente: egli ci indicherà la strada, con Lui troveremo un perché a tutte le nostre sofferenze. Ringraziamolo di tutto. E non dimentichiamo che egli entra, è entrato, là dove nessuno ha potuto entrare mai: Gesù eucaristia, «nelle chiese di tutto il mondo accogli le segrete confidenze, i nascosti problemi, i sospiri di milioni di uomini, le lacrime di gioiose conversioni, note a te solo, cuore dei cuori, cuore della Chiesa»•[6]. Quale consolazione sapere che accogli anche i moti del mio cuore e della mia anima!
Cristo è colui che ci ama nella stessa misura e con lo stesso amore col quale egli è stato amato dal Padre: «Li hai amati come hai amato me» (Gv 17, 23). Possiamo contemplare nell’eucaristia la parola d’amore pronunciata, che realizza ciò che dice; impariamo dall’eucaristia a dilatare il nostro cuore su quello di Cristo, che ha dato la sua vita per molti. L’eucaristia ci dà la possibilità di essere proiettati fuori di noi stessi, perché ci fa rimanere in Gesù: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6, 56).
Tutto il percorso compiuto finora ci ha inserito in una dinamica di reciprocità tra il dono ricevuto da Dio, che è dono di rivelazione, e la risposta che cerchiamo di dare con la nostra vita. La nostra risposta, il nostro “sì”, suggella un patto con colui che è «degno di fede» (cf. 1 Ts 5, 24) e che da sempre ci offre la sua alleanza. In questo modo siamo passati dalla morte alla vita, abbiamo rivissuto la Pasqua.
Chiara, figlia della Chiesa, ci porta nel cuore della fede che la Chiesa ha ricevuto e ci trasmette. Ella vuole dirci che, grazie all’eucaristia di cui ci nutriamo, quella reciprocità è compiuta e noi “siamo” pienamente la nuova ed eterna Alleanza, credenti nel Credente, figli nel Figlio, divinizzati, viviamo pienamente la Pasqua. L’eucaristia, inoltre, ci fa Chiesa perché fa di tutti e di ciascuno un altro Gesù. Grazie all’eucaristia siamo realmente “uno” in lui e per lui, “uno” nel Padre, vera Chiesa.
A Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, una bambina di nove anni torna a casa dopo un incontro del Movimento dei Focolari in cui ha imparato ad amare Gesù nell’altro. Il mattino seguente si alza mentre è ancora buio, si veste, esce di casa per recarsi all’unica messa della giornata, che si celebra, nella sua parrocchia come in tutte le parrocchie del Paese, alle 6 del mattino. Vi trova una numerosa assemblea in preghiera. Il giorno seguente, Rosam – questo il nome della bambina – sveglia sua sorella minore perché vada con lei; il giorno dopo ancora è la volta della sorellina più piccola, di cinque anni. Il sabato sveglia i genitori, dal momento che, dice, essi sono a casa dal lavoro. «Perché vai tutte le mattine a messa?», le chiede la mamma, incuriosita. «Perché senza non posso amare».
Se vuole amare gli altri con il cuore di Gesù, Rosam non può fare a meno dell’eucaristia. Troppo piccola per fare la comunione, tuttavia attinge da lì l’amore, impara che l’amore è «farsi uno» con tutti come Cristo che «si fa pane per entrare in tutti, per farsi mangiabile, per farsi uno con tutti. (…) Farsi uno anche con noi dunque (…) in modo che gli altri si sentano nutriti dal nostro amore, confortati, sollevati, compresi»•[7].
[8].».
Dammi d’esserti grata/ – almeno un po’ –/ nel tempo che mi rimane,/ di questo amore/ che hai versato su me,/ e m’ha/ costretta/ a dirti:/ Ti voglio bene•
[1]•La dottrina spirituale, cit., p. 201.
[2]•Inedito, 30 dicembre 1976.
[3]•Il grido, cit., p. 64.
[4]•Colloqui con i Gen, anni 1970-74, Città Nuova, Roma 1999, p. 122.
[5]•Inedito, 30 dicembre 1976.
[6]•L’eucaristia, Città Nuova, Roma 20056, p. 15.
[7]•Una famiglia per rinnovare la società, Città Nuova, Roma 1993, p. 70.
[8]•La dottrina spirituale, cit., p. 202.
(Tratto da Ho trovato l’amore. Un itinerario di preghiera con Chiara Lubich, di Florence Gillet, Città nuova 2010)