Dove nessuno piange
Mi trovo nell’ospedale di Bussolengo, reparto di oncologia. Pur di farsi curare quì, la gente arriva anche da lontano: “Non tanto perché vi si pratichino terapie all’avanguardia o i decessi siano inferiori lì piuttosto che altrove – precisa Lino, l’amico che mi ha accompagnato da Verona -, quanto per la qualità dell’assistenza ai pazienti, messi sempre al primo posto, e per il clima sereno che, malgrado tutto, vi si respira”. Sì, grazie alla dedizione dell’ équipe medica e di chi collabora con essa, “qui è tutta un’altra cosa “: come confidava, fra i tanti, la moglie di un famoso cantante lirico il cui ultimo approdo, dopo aver girato vari ospedali specializzati all’estero, è stato appunto il reparto del dottor Paolo Azzoni. Nell’attesa di essere ricevuti da lui, scorro il foglietto che disegna l’identikit dei volontari del Vao (Volontariato d’assistenza ospedaliera), che operano in questo ospedale. Fanno effetto alcune frasi: “Se credi nel valore della vita umana, anche quando manca la salute. Se ti senti di entrare in un rapporto non tecnico, ma umano con il malato. Se infine, anche come cristiano, vuoi rispondere al mandato dell’Amore con un gesto di solidarietà, la tua presenza, accanto al malato e fra noi, sarà un dono”. Nel suo ufficio, il dottor Azzoni inizia a narrarci con tono pacato di sé. “Devo rifarmi alla metà degli anni Settanta, quando, giovane medico dalla carriera promettente, avrei potuto inorgoglirmi per il fatto di avere una splendida fami- glia, una bella casa, un cospicuo conto in banca… Eppure ogni traguardo mi lasciava insoddisfatto: tanto più che la mia ricerca puramente intellettuale di Dio, attraverso la filosofia e i libri, non me lo aveva reso più vicino. Inoltre nessuna ideologia riusciva a darmi una visione unitaria, convincente della realtà: erano solo interpretazioni parziali che accrescevano il mio disagio. “Questa ricerca era diventata così angosciosa che, disperando di trovare un senso all’esistenza, ero arrivato ad una conclusione paradossale per un medico, la cui missione è salvare la vita: farla finita…”. Un fatto, tuttavia, indirizzerà diversamente quel suo andare a tentoni. “Ero amico, pur nel rispetto delle posizioni diverse, di un prete al quale, prima della sua partenza per il Brasile, avevo dato qualche nozione di infermieristica. La sua prima lettera dal Sudamerica si concludeva con un “perché non ti abboni a Città nuova?”. Mai avevo sentito parlare di questa rivista, io che pensavo di conoscerle tutte. Visto però che era un amico a consigliarmela, perché non provare?”. Partito dunque sulle tracce di Città nuova, Paolo non desiste finché non s’imbatte nella persona giusta dalla quale farsi abbonare. “Non esagero – continua – se dico che la prima volta in cui ho l’ho scorsa ne sono rimasto sconvolto: dietro a ciò che leggevo, infatti, avvertivo una stretta coincidenza tra verità e vita, la mia ricerca di sempre. In particolare ero attratto dalle testimonianze e dalla Parola di vita: più l’assimilavo, più mi sentivo cambiato”. Altro choc circa due anni dopo, durante una Mariapoli: “Ascoltando dei primi tempi del movimento, quando le bombe della guerra facevano crollare gli ideali umani più legittimi, mi son sentito chiamato in causa: anche nella mia vita non era rimasto in piedi nulla. Ancora però non me la sentivo di trarre le concludesioni delle prime focolarine, che in Dio Amore avevano trovato “l’unico ideale che non crolla e per cui valga la pena vivere…”. “Una frase della Scrittura era in vista nel luogo dove ci riunivamo: “L’amore copre una moltitudine di peccati”. Di peccati io sentivo di averne tanti; in passato avevo provato anche a confessarli ad un prete, ma quel peso era rimasto. Mi son detto: non ho più niente da perdere. Perché non accertarmi di ciò che ho sentito, e se è vera questa frase? “Eravamo seduti sulle dure gradi- nate di un palazzetto dello sport, e un tale accanto a me cercava invano una posizione più comoda. Da parte mia disponevo di una giacca nuova di renna, cui tenevo molto. Senza pensarci su due volte, l’ho piegata a mo’ di cuscino e offerta a quella persona. Ed ecco, all’istante, m’è scomparsa l’angoscia dovuta ai miei peccati: era dunque vero, l’amore copre tutto! E lo dovevo a quel semplice gesto”. Dio, “rivelatosi” in tal modo a Paolo, è un tesoro che non può tenere solo per sé, ma deve subito condividere con altri. Nulla di meglio, a tal fine, che servirsi dello strumento Città nuova, convinto che “chi la legge non rimane indifferente: in qualche modo ha un contatto non intellettuale, ma vitale, con Dio, proprio per l’esperienza evangelica che sta alla radice della rivista”. Da quegli anni lontani, saranno almeno un migliaio coloro che attraverso Paolo hanno conosciuto e apprezzato il nostro periodico, spesso facendosene a loro volta diffusori. Entriamo ora nel vivo di un lavoro spesso stressante, perché certi drammi umani non lasciano indifferenti. “La mia vicenda – riprende Paolo – ha a che fare con Maria: è lei che ha preso in mano la mia vita e mi conduce a Gesù. Vicino a questo ospedale c’è un santuario dedicato alla Madonna del Perpetuo Soccorso. Ed è lì che mi reco in qualche sosta dal lavoro: è un “fermarmi con l’anima” davanti a Maria, per recuperare, al di là dell’attivismo e dell’agitazione, le energie spirituali senza le quali non riesco ad andare avanti. “Ricordo che una decina d’anni fa, in un momento di grande angoscia per l’insufficienza del servizio ospedaliero, sono entrato in quel santuario per chiedere aiuto a Maria. “Nel giro di qualche giorno, la risposta: sono venuto in contatto con un gruppo di Aiuto alla vita che stava languendo: da quando predominava una cultura abortista, erano rare le mamme che si rivolgevano a questo centro per portare avanti la loro gravidanza. Per cui i membri, da molti che erano, s’erano ridotti a tre-quattro, e anche questi in crisi di identità. “Ho esposto a quei pochi i motivio della mia sofferenza e loro sono stati strafelici di mettersi a disposizione. Quel nucleo iniziale si è allargato, è stato necessario incontrarsi periodicamente per organizzare il servizio, scambiarsi esperienze e rimettere a fuoco il proprio impegno nell’ascolto della Parola di vita…”. Così è nato il Vao, in sostegno a chi già opera a servizio dei malati, senza per questo sostituirsi né a medici né a infermieri, onde portare un contributo di amicizia, di comprensione e di dialogo nell’ambiente ospedaliero (vedi box). Chi ne fa parte? “È un gruppo aperto a gente d’ogni fede o convinzione – spiega il dottor Azzoni -: l’importante è essere una presenza d’amore accanto al malato: assisterlo quando i parenti sono assenti, per aiutarlo a mangiare, a vestirsi e in ogni altra necessità. Ed è un gruppo che opera in maniera discreta per custodire la gratuità di questa donazione; tant’è che il Vao non è iscritto nel registro del volontariato e neppure riceve sovvenzioni (esiste però una cassa comune)”. Chiedo dei malati terminali di questo reparto e suscito una reazione inaspettata: “Terminali? No, piuttosto direi persone rese “sane” dall’amore. Se ci amiamo – e posso affermare che con tanti dei miei pazienti tendiamo a questo -, la realtà di Cristo presente in mezzo a noi prevale sull’aspetto della malattia e li rende “vivi”, addirittura più di altre persone che non hanno problemi di salute ma con cui è più difficile attuare il comandamento dell’amore. “Ecco perché qui non si vedranno mai dei malati piangere o nella disperazione… Insomma, per me loro sono altrettanti Cristo. E questi non li considero letti di dolore, ma troni sui quali essi siedono regalmente come figli di Dio”. LO STATUTO DEL VAO Il volontario d’assistenza è una persona che ama in particolare quanti si trovano nel dolore, nella sofferenza e nella solitudine. Egli esiste pertanto, come tale, solo se ama. Fra i tanti modi d’amare cerca d’uniformare il suo al modello portato da Gesù sulla Terra. Per questo: ama ogni prossimo come sé; ama tutti; ama per primo; vede in ogni uomo Gesù. L’amore di ogni volontario vuole essere perciò: libero, gratuito, concreto, umile. Scopo del volontario è che ogni ammalato, anche per questo amore, possa riscoprire la paternità di Dio e la fratellanza universale.