Dove Lui appare

Un’esistenza persa? L.era rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori. Noi lo conoscevamo perché i nostri vicini di casa lo avevano preso in affido. Da adulto, purtroppo, quando ha perso il lavoro è cominciata per lui una crisi profonda che, portandolo all’alcol, ha fatto sì che si appoggiasse sempre più alla nostra famiglia. Soprattutto a me, in cui ravvisava una figura materna. Certo, quando arrivava un po’ brillo, la sua presenza a volte ci creava un mucchio di complicazioni, ma non potevo chiudergli la porta in faccia: per me rappresentava Gesù che chiedeva di essere accolto, amato. Sfiduciato, cercavo di fargli apprezzare la vita; qualche volta piangevo con lui, qualche altra lo ammonivo… A causa dell’alcol, L. ha dovuto vendere poco alla volta ogni suo avere, persino l’appartamento. E di quanto non aveva venduto è stato ad un certo punto derubato. È proprio vero: piove sul bagnato! Un giorno sono venuta a sapere che era ricoverato in psichiatria in uno stato preoccupante: non si ricordava più di niente, non riconosceva più le persone. Nelle mie visite quasi quotidiane gli portavo cibi che lui tuttavia mangiava con appetito. Una volta mi sono fatta accompagnare anche da un fotografo per potergli rifare la carta d’identità e l’assicurazione. Particolarmente penoso, nei vari uffici, era dover fare i conti con i debiti che L. aveva lasciato e con l’incomprensione del personale. Mi sentivo chiedere: Chi è lei, la madre? . No, rispondevo. Ma se non fa parte della sua famiglia perché si dà tanta pena?. Perché è un essere umano con tanti problemi e senza nessuno che se ne occupi!. C’era infatti chi sospettava che volessi sfruttare la situazione a mio vantaggio… Intanto, sentendosi sempre incoraggiato, sia pure lentamente, L. ha cominciato a reagire, e poi a riconoscermi. Finché tra la sorpresa di tutti è cominciata a tornargli anche la memoria. In seguito, a forza di insistere da parte mia, ha accettato di curarsi. E dopo il ricovero in tre diversi istituti per alcolizzati, è tornato alla vita normale. Adesso L. vive altrove per evitare i compagni della vita precedente. Ma via telefono mi tiene sempre al corrente per dirmi come va. Quando capita in città, mi viene sempre a trovare. Una volta mi ha portato anche della cioccolata, accompagnandola con questa spiegazione: Mi sono reso conto che lei ha fatto tanto per me. Nessuno è venuto a trovarmi in psichiatria, negli istituti, solo lei. Infatti era stato abbandonato anche dalla sua unica parente, sicura che non sarebbe sopravvissuto e che sarebbe stato inutile dedicarsi a un’esistenza persa come la sua. Passando tuttavia in seguito a trovarlo, non lo ha riconosciuto, tanto era cambiato. Da quel momento ha avuto tutt’altro atteggiamento nei suoi confronti, e si è creato fra loro un rapporto nuovo. A.S. – Slovacchia Oggi ho condannato un morto G. aveva concluso la sua esistenza nel modo più triste e vergognoso: dopo una nottata passata nell’ubriachezza, tra le prostitute. Era ricco, aveva moglie e figli, ma anche delle pessime abitudini. La sera prima di morire, preso con sé il figlio quindicenne, lo aveva condotto nel mondo che era solito frequentare, per insegnargli a essere uomo. Non era la prima volta: era già stato richiamato dal giudice dei minori e dalla polizia; ma G. se ne infischiava delle autorità. Così, quella notte era morto ubriaco per un attacco cardiaco in una zona malfamata della città; e il figlio era tornato a casa a darne la triste notizia. Il giorno dei funerali, a chi mi chiamava per benedire la salma ho risposto di no: G. non meritava la benedizione della chiesa. Mi sembrava, così facendo, di difendere la giustizia, di dare un buon esempio al popolo, di fare insomma il mio dovere. Anche un amico di famiglia, un avvocato, è venuto a supplicarmi di non dare scandalo. Ma tutta la sua arte non è bastata a convincermi. Rimasto solo però, non ho avuto più pace. Pensavo alla vedova e ai figli in pianto… a loro ai quali in quel momento negavo un po’ di conforto. Avevo condannato un morto, un prossimo di cui conoscevo soltanto la storia esteriore, ergendomi a suo giudice al posto di quel Gesù che per lui pure aveva versato il suo sangue! È stata una notte difficile, combattuta, in cui non sono riuscito a prendere sonno. Il giorno dopo però avevo deciso: come prima cosa sono andato a trovare la vedova e i figli di quell’uomo. E dopo aver chiesto loro perdono, abbiamo combinato insieme la data per la messa di suffragio. Il fatto ha suscitato un certo scalpore tra la gente: non è di tutti i giorni che un prete vada a chiedere scusa! E chissà, forse questo gesto ha evangelizzato più di tutte le mie prediche. E.P. – Italia Ormai era preparato Anche dopo la chiusura del cosiddetto parco della droga a Zurigo, continuo a frequentare quell’ambiente, per cercare di aiutare qualche ragazzo disadattato o senza famiglia, per i quale l’unica casa rimane la strada. M. l’avevo conosciuto proprio in quel posto e in quell’ambiente, quando aveva diciannove anni. Un tipo in gamba, a dire il vero, caduto purtroppo nella trappola della droga; per procurarsi i soldi, si prostituiva. Non sapevo come aiutarlo, tanto più che lui stesso non intendeva venir fuori da quel giro. Accettava di incontrarsi con me solo perché pensava che potessi diventare un suo cliente, anche se a più riprese gli avevo fatto capire che non lo sarei mai diventato. Lo trattavo con rispetto, senza condannarlo, pur dicendogli chiaramente cosa pensavo del suo comportamento; e così gli lasciavo sempre spalancata la porta dell’amicizia vera. Ormai frequentavo M. da un paio d’anni, e avevo la netta impressione di perdere il mio tempo. Aveva scopo continuare? Non era meglio lasciar perdere? Ma reagendo a questa tentazione insistente, continuavo il dialogo con lui, cercando un terreno di interessi comuni. Di religione M. non voleva nemmeno sentir parlare, gli sembrava roba per bigotti; ma rispettava il mio modo di vivere la fede, perché, diceva, sento che per te è vero. Finì che si dovette ricoverare in ospedale, dove andai a trovarlo più volte, sempre cercando di fare mie le sue pene. Una volta dimesso, incontrandomi per strada, non poté fare a meno di chiedermi: Come mai sei venuto a trovarmi così spesso? Vengo da un mondo così diverso dal tuo e proprio non capisco…. Certo non potevo spiegare a M. che il motore della mia vita era il vangelo, e che lui nella sua condizione di sofferenza, di lontananza da Dio, mi ricordava l’abbandono patito in croce da Cristo; gli risposi semplicemente che essendo mio amico era normale per me cercare di aiutarlo. Un lungo silenzio, dopo di che sbottò: Sai, in ospedale ho avuto molto tempo per riflettere. Cercavo di convincere me stesso che non riuscivo a credere in Dio, ma non era vero: avevo solo paura di ammettere la verità, perché ciò mi avrebbe costretto a cambiare vita. Ora però non posso andare avanti così. Sei l’unica persona veramente felice che abbia mai incontrato, e sei sempre stato un amico per me che in cambio ti ho tentato per metterti alla prova. Vorrei tanto vivere come te… ma non so proprio da cominciare: mi aiuti?. Avevo in mente una proposta: cercare di mettere in pratica una Parola del vangelo alla volta. Tante persone di mia conoscenza, oltre a me, si regolavano così… e funzionava! Quando glielo dissi, M. rimase perplesso: non capiva come una cosa del genere potesse cambiargli la vita, ma poiché si fidava di me accettò almeno di provare. Soprattutto gli riuscì faticoso cambiare il significato della parola amare, che per lui, fino a quel momento, aveva voluto dire prostituirsi per soldi; ma dopo i primi passi nella nuova direzione gradualmente riacquistò la gioia di vivere. Fu un cammino arduo, si trattava di rialzarsi dopo ogni caduta, di affrontare sempre nuovi turbamenti e sfide. Da parte mia, potevo solo stargli accanto perché non mollasse, essere la sua certezza quando non ce la faceva più. Poi riuscii a trovargli un lavoro in un’altra città e così si allontanò anche da ricorrenti tentazioni. Quando mi scoprivo impaziente di raggiungere con lui la tappa della riconciliazione con Dio, cercavo di mordere il freno, sapendo di non potergli chiedere nulla. No, l’unica cosa da fare era continuare a volergli bene in modo disinteressato. Finalmente un giorno M. mi cercò al telefono: voleva incontrarmi. All’appuntamento tremava per l’emozione e a fatica, tra le lacrime, confidò: Sento che ho iniziato una vita che vale la pena di essere vissuta e non so come fare a mettermi in pace con quel Dio che tu mi hai fatto incontrare… . A questo punto potevo proporgli la confessione. Ottenuto il suo assenso, dopo esserci preparati insieme, lo accompagnai da un sacerdote amico. M. tremava come una foglia, ma quando uscì quel colloquio era raggiante: Sono l’uomo più felice del mondo! – ripeteva -. Sì, Dio mi ama malgrado tutto; e questo lo devo a te, che mi hai voluto bene per primo. Grazie!. Poi, sulla via del ritorno a casa, l’imprevedibile: un gravissimo incidente stradale, in cui il mio amico rimase coinvolto. Dio lo attendeva lì. Ma ormai era preparato. Oggi mi viene spontaneo affidare a lui i miei ragazzi di strada, come ad un nuovo loro protettore.

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