Dove l’inflazione è la più alta d’Italia
Un record milanese che è più vistoso per alimentari e trasporti, servizi ospedalieri e rette scolastiche, ristoranti e alberghi
L’inflazione a Milano arriva a quota 4,1 per cento rispetto al 2010: è la città con il dato più alto d’Italia. La media nazionale questo mese si attesta al 3,1 per cento. E’ il tasso più elevato dal luglio 1996, quando in città l’indice dei prezzi al consumo sfiorò il 4,4 per cento.
Un record tutto milanese, che va dagli alimentari ai trasporti, passando per i servizi ospedalieri e le rette scolastiche, fino ai ristoranti e agli alberghi che, complice la settimana della Moda appena conclusasi, registrano un più 33 per cento su base mensile e un più 22,4 su base annua.
Da gennaio la corsa non rallenta: allora l’indice era all’1,6, meno della metà dell’attuale. Un solo dato per tutti: a Milano lo stesso carrello della spesa costa almeno il 10 per cento in più che nelle altre città italiane. Nonostante i consumi, che nel 2010, in Lombardia sono diminuiti dello 0,8 per cento, e a fronte della stabilità nazionale.
Ad incidere sui costi sono i prezzi dei trasporti: più 4,4 per cento i taxi, più 13,5 i treni, mentre l’aumento per gli alimentari sfiora il 3,5. Nel far colazione si nota che il caffè è aumentato del 22 per cento, lo zucchero del 16, la marmellata del 6,1, e lo yogurt costa il 4,8 in più.
Per curarsi i denti un milanese paga il 2,4 in più e per effettuare visite specialistiche il 3,8. Per comprare calzature e abbigliamento gli aumenti sono rispettivamente dell’1,1 e dell’1,4 per cento.
«Gli aumenti dell’Iva dal 20 al 21 per cento, dei biglietti Atm e delle tariffe alberghiere durante la Settimana della Moda – spiega Giuliano Noci, vice direttore della Business School del Politecnico –, hanno inciso sull’inflazione a livello mensile. A questo, si aggiunge il divario di un punto percentuale rispetto alla media nazionale, dovuto al fatto che Milano attira visitatori di fascia alta, ovvero, russi, cinesi e giapponesi che considerano la città un “cancello” d’Italia e sono disposti a pagare per i prodotti in vendita cifre più elevate che altrove».
Tutto ciò fa si che la domanda sia più sostenuta che nel resto del Paese. «Questo permette alle imprese di alzare i prezzi dei prodotti con la certezza di riuscire a venderli comunque – puntualizza Giuseppe Ferraguto, docente di Economia della Bocconi –. In questo modo, le ditte ammortizzano gli aumenti legati a trasporti e caropetrolio senza perdere guadagni. Come sempre a pagare le conseguenze dell’aumento dei prezzi sono le fasce più deboli, che sostengono meno la domanda, ma sono la maggior parte della popolazione».
Il Codacons lancia un appello: «Il Comune aumenti i controlli della polizia annonaria, multando i negozianti che alzano i prezzi in modo fraudolento». E fa la proposta di creare un “bollino” per i commercianti virtuosi «che accettano di mantenere fissi i prezzi per sei mesi. Così – conclude il presidente Marco Donzelli – i cittadini saranno protetti dai rincari. E forse si eviterà quella stangata di fine anno che, al momento, appare inevitabile».