Dove è finita la festa?

Dicono sia un favore che elargiscono. Che vengono incontro alle esigenze della gente oramai senza tempo nelle convulse giornate feriali. Che offrono l’opportunità di trascorrere ore serene, magari con la famiglia al completo, per valutare con ponderazione gli acquisti da fare. Rigorosamente di domenica. Sembrerebbero dei benefattori dell’umana gente, questi enormi centri commerciali, che dalle grandi città vanno ormai dilagando anche negli abitati minori, imponendo anche agli esercizi tradizionali, con la suadenza del nuovo, la logica stringente delle saracinesche alzate pure nei giorni festivi, l’orario continuato, le fasce serali. Il lavoro domenicale sta diventando in alcuni settori – ad incominciare da quello commerciale – non più eccezione ma regola. Gli esperti concordano nel ritenere che tale sovvertimento risponda al criterio di incrementare i consumi piuttosto che venire incontro ad esigenze di servizio. Basta pensare, per contrappunto, al sistema sanitario, che nel fine settimana viene quasi smobilitato, mentre le lunghe file al pronto soccorso degli ospedale manifestano le reali necessità della gente. Sul tema del lavoro e della festa la Chiesa italiana si interroga da tempo in vista del convegno ecclesiale di Verona nel prossimo ottobre, da cui scaturiranno le linee pastorali per il prossimo decennio. Nell’ampia riflessione sono stati coinvolti esperti di diversi ambiti. È venuta meno – spiega Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl – una delle motivazioni storiche e condivise nella comunità che legittimavano il lavoro domenicale, l’esigenza di servizio, e ha preso piede la tendenza legata all’opportunità di fare acquisti, senza che questo fatto avesse una motivazione di necessità. Solo dopo la Prima guerra mondiale, fu sancita la riduzione della settimana lavorativa a sei giorni e ad un massimo di 48 ore, prevedendo un giorno di riposo come tempo rigenerativo. Lo sviluppo economico e tecnologico ha poi favorito la stagione (1968- 1973) della conquista delle 40 ore settimanali nei diversi settori produttivi e il varo della cosiddetta settimana corta (lunedìvenerdì). Nacque il fine-settimana o week end e iniziarono a modificarsi comportamenti e consuetudini legati al settimo giorno. Più recentemente, il trapasso dalla società industriale – in cui la grande azienda dettava il sincronismo dei tempi – a quella postindustriale – caratterizzata da inediti rapporti di lavoro e da una pluralità di orari, ritmi, durate e scadenze – sta sovvertendo la consolidata fisionomia non solo della settimana ma anche dell’intero anno lavorativo. Voi come ve la passate? Siete ancora nel solco della società industriale o siete già post? Soddisfatti o frustrati? Per quale scelta propendereste riguardo alle due filosofie d’intervento che si stanno confrontando? Una tende a liberalizzare il più possibile la regolazione degli orari di apertura dei servizi per diversificare al massimo i tempi. L’altra privilegia un intervento mirato per regolare il fenomeno, assicurando alla maggioranza delle persone la sincronia dei tempi e soprattutto del riposo, domenicale e notturno. Non affrettatevi a rispondere. Sono necessari ulteriori elementi. Il primo dei quali è la salute fisica e psicologica di chi lavora frequentemente di domenica. La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro continua a rilevare che tra quanti lavorano di domenica almeno una volta al mese sono presenti stress, affaticamento generale, insonnia e stato ansioso. Risultano, poi, coinvolti nell’occupazione domenicale soprattutto i soggetti più deboli nel mercato del lavoro, sia dal punti di vista delle competenze, sia per quanto riguarda i tipi di contratti stipulati, Inoltre, per coprire orari molti lunghi si fa ricorso a tutte le forme di flessibilità esistenti, con forti differenze di condizioni tra lavoratori. Infine, si accentuano le ripercussioni sulla vita familiare per l’elevata percentuale di donne impegnate in occupazioni festive. Il valore della concorrenza deve essere mediato con altri valori sociali in cui le persone si riconoscono e che vogliono tutelare, sostiene lo studioso Giovanni Palmerio. In altre parole, non è ineluttabile uno scenario di selvaggia e generalizzata deregolazione. La flessibilità – riconosce il sindacalista Santini – non può essere negata, perché è legata ai processi di cambiamenti avvenuti, ma non può essere assunta come un fine buono in sé. Riuscire a tutelare la domenica come giorno di riposo è un’impresa di non poco conto, fare della domenica il tempo della festa resta un’operazione ancora più ardua. L’uomo di oggi ha inventato il tempo libero, ma sembra aver dimenticato la festa, chiarisce don Franco Giulio Brambilla, docente alla facoltà teologica di Milano. Il fatto è che a un mondo imperniato sul lavoro interessa non come si passa la festa, ma che il lavoratore si riposi o, se è giovane, che viva momenti d’evasione. Si privilegia il divertimento, la fuga dalla città. Proprio vero. Ma l’alternativa? Non bisogna riposare per ritornare al lavoro, ma riposare per fare festa, perché la festa ha valore di fine. Una prospettiva in possesso di pochi. Il tempo della festa, perciò, non è separato e contrapposto al tempo del lavoro, perché la festa rivela una coscienza: che la vita non proviene da sé sola e non basta a sé stessa. Solo questo dà senso alla rincorsa al tempo libero, al gioco, al divertimento o, nelle forme più impegnate, al bisogno di comunicazione, di cultura, alla voglia di viaggiare e di conoscere altri popoli. Si tratta di ripensare i modi di far festa, recuperando il senso della festa, auspica Angelo Ferro, presidente dell’Unione cattolica imprenditori e dirigenti. Anche a livello di imprese, c’è l’esigenza di evitare lo stordimento. Prima il lunedì era una delle giornate più produttive, mentre da un po’ di anni è quella di maggiore sofferenza per le assenze impreviste e la scarsa produttività . Non sembri una considerazione interessata, tiene a precisare. Il fatto è che i cocci dovuti alla rottura del rapporto tra lavoro, festa e famiglia non ricadono solo sull’impresa ma sulla società. Come procedere, allora, per regolare meglio il lavoro domenicale e per recuperare il senso della festa? Il sindacato deve operare – chiarisce Gabriele Olini, del centro studi della Cisl – con maggiore convinzione per salvaguardare il principio dell’eccezionalità del ricorso al lavoro domenicale. È allora importante rivedere i punti più critici della legislazione e affidare un ruolo centrale alla contrattazione sindacale degli orari di lavoro, in modo che il lavoro domenicale sia una scelta volontaria, sia programmato con anticipo e consenta la rotazione delle persone. E la festa? Le comunità cristiane possono svolgere un ruolo fondamentale – sostiene il teologo Brambilla – per riscoprire il senso della festa come gioco, come spazio sociale, come sorgente di senso. Far vivere la domenica come il tempo della festa significa dire che la voglia di serenità e di gioia è in realtà il desiderio di futuro. La domenica resta il signore dei giorni, che apre all’incontro, fa scoprire l’altro, consente di dedicare tempo alle persone, alimenta la speranza. LAVORO E FESTA DA RIMINI A VERONA Riminizzare e divertimentificio sono due termini entrati nell’uso comune. Il primo rimanda ad un’urbanizzazione disordinata sulla spinta di un turismo di massa, il secondo indica l’evoluzione del turismo balneare verso la trasgressione. A noi riminesi non piacciono. Semplicemente non ci descrivono, precisa mons. Aldo Amati, vicario generale della diocesi che abbraccia i 40 chilometri della nota riviera. Il primo stabilimento balneare fu inaugurato qui, anno 1843, ad opera del cardinale legato. Se avesse immaginato! Era territorio della Stato pontificio. Qui la Chiesa italiana ha voluto tenere a fine giugno tre giorni di confronto sul lavoro e la festa, nel cuore della marina di Rimini, nel Parco Fellini, davanti al mitico Grand Hotel. Era il quinto e ultimo appuntamento di riflessione in preparazione al grande convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre prossimo. Palermo, a novembre, aveva aperto la sequenza, ripercorrendo con Ricorda, racconta, cammina il percorso compiuto dalla comunità ecclesiale dopo l’ultimo appuntamento del 1995, tenutosi nel capoluogo siciliano. Sull’affettività, L’Amore si fa storia, era stata incentrata la tappa a Terni in febbraio. Sul caso serio della fragilità umana, Novara, in marzo, aveva ospitato i lavori, mentre Arezzo, in maggio, è stata meta di quanti interessati a Il grido della città. Dalla cittadinanza ferita alla cittadinanza salvata.

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