Doppio titolo per Aterballetto

Ospite della stagione del teatro Comunale di Modena, la versatile compagnia di Reggio Emilia porta in scena “Non sapevano dove lasciarmi” e “Wolf”, due nuove creazioni commissionate a due coreografi dai differenti stili: Cristiana Morganti e Hofesch Shechter

Hanno ben appreso il linguaggio “selvaggio” di Hofesh Shechter i danzatori di Aterballetto. Wolf è il titolo firmato dal coreografo israeliano, naturalizzato britannico, che ha impegnato tutta i 16 componenti della compagnia in una performance energica, pulsante, animalesca nelle posture spesso carponi, striscianti, dalle schiene curve, ginocchia piegate, braccia oscillanti o alzate verso il cielo, con movimenti corali dettati da un ritmo martellante. Uno stile tellurico, quello di Shechter, che scuote la terra e i corpi dentro un trionfo di luci abbacinanti che tagliano la persistente nebbia tra tonfi di suoni meccanici, scrosci d’acqua, rumori di foresta, e latrati di cani.

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Dog, infatti, era il titolo di questa creazione nata 10 anni fa per 7 interpreti dello Scottish Ballet e ora rielaborata mutando il titolo in Wolf (Lupo). Nome che richiama una istintività ferina, terrigna, aggressiva, tradotta in movimenti individuali e di branco, con coppie che si toccano, si abbracciano, si strattonano, si sfuggono; o in lotte di avvicinamento e cadute a terra, mentre si inseguono nel contatto refrattario, brancolanti o raggruppati, ritraendosi o attaccando. C’è una fisicità travolgente, com’è nello stile di Shechter, un lato selvaggio del movimento scaturito da stimoli basilari e primitivi innescati dal ritmo percussivo della partitura sonora firmata dallo stesso Shechter, che genera, nel finale, una danza ancora più vorticosa e travolgente. E si placa improvvisa nell’assolo di un danzatore che batte le mani. Tutto questo per «una riflessione sulla società in cui viviamo e su come questa venga influenzata dall’istinto e da stimoli basilari e primitivi».

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Cambio totale di registro con la seconda creazione commissionata a Cristiana Morganti, Non sapevano dove lasciarmi. Vi ritroviamo le atmosfere di quel teatro danza, tanto amato, di Pina Bausch, con alcuni suoi stilemi, le folgoranti schede di vita carpite ai danzatori, l’ironia, il collage di musiche, e altri cliché riconoscibili. E che piacere respirare ancora quel mondo! E non poteva che essere così se la coreografa è la danzatrice romana, cresciuta alla scuola della Bausch e a lungo militante nella strepitosa compagnia del Tanztheater Wuppertal dove ancora è interprete-ospite. Inevitabile che di quel vocabolario così peculiare non ci si possa staccare del tutto (come qualcuno potrebbe biasimarle) anche quando, come è il caso suo, si muovono passi autonomi nella creazione coreografica. Dopo i due precedenti lavori  Moving With Pina (2012) e Jessica And Me (2014) dichiaratamente autobiografici, e una creazione per due danzatrici, A Fury tale (2016), questa nuova prova autoriale della Morganti per un ensemble numeroso, dimostra ancora un retaggio impossibile da cancellare del tutto, ma anche una ulteriore tappa di affrancamento, che si intravede, verso una propria poetica. «È un viaggio vertiginoso nella vita del danzatore – spiega la stessa autrice –. Mi interessavano i danzatori: le loro storie, le diverse personalità, la loro fantasia creativa. Perché si fa una scelta professionale così difficile, una scelta che comporta grandi sacrifici, disciplina, fatica e dolori».

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L’inizio è quasi una firma bauschiana: una danzatrice in abito lungo attraversa in lontananza la scena con movimenti avvolgenti di capelli e di braccia fluide. Risalteranno altri assoli, balli repentini e cangianti con accenni di danza classica, nelle carrellate di creature profondamente umane che la coreografa costruisce per quadri. Dall’uomo in accappatoio che entra ed esce ritagliandosi una successiva scena in cui, per un attacco di rabbia urlata, esala un gettito di vapore dalla schiena; ai maschi in tutù; alle domande di una intervistatrice che rincorre i danzatori chiedendo cosa faranno quando non potranno più ballare o se la danza è solo estetica. Dalle confessioni personali, col racconto del motivo per cui si è iniziato a ballare strappandosi concitatamente il microfono di mano finché nel gruppo si impone una di loro; al mostrare nel corpo, sempre rivolti al pubblico, il punto dove si sono fatti male la prima volta ballando. E poi feste di gruppo tra sigarette coriandoli e bevute; abbracci, teneri schiaffi, pianti e sorrisi. E ancora, corse circolari, spostamenti su pattini, danze mambo in coppia, una canzone albanese e un energico assolo su musica rock. Infine meravigliose danze corali, veloci, di gruppi maschili e femminili che entrano ed escono insieme battendo il tempo, per finire con un solo danzatore a terra illuminato da un fascio di luce. Una bella e riuscita prova per i 9 magnifici danzatori di Aterballetto, per la prima volta alle prese con un lavoro che ha tirato fuori da loro un’espressività più teatrale e introspettiva.

 

“Non sapevano dove lasciarmi”, coreografia Cristiana Morganti, musiche di autori vari: Karen Dalton, Peaches, Uhuhboo Project, Joao Gilberto, The Bad Plus, Horace Silver, Bigg Business, costumi Cristiana Morganti e Francesca Messori; luci Carlo Cerri.

 “Wolf”, coreografia, musica, costumi e luci  Hofesh Shechter, e musiche di Giuseppe Verdi, Johann Sebastian Bach, Ophir Ilzetzki.

A  Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, l’11 maggio 2018.

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