Dopo mezzanotte

Torino è l’incantato scenario notturno, colorato da mille luci, che fa da sfondo a questa storia di amore e cinema, scritta, diretta e prodotta da Davide Ferrario. Martino fa il guardiano notturno nella Mole Antoneliana, sede del Museo Nazionale del Cinema, e passa la notte a guardare vecchi film muti. Amanda vive alla Falcheria, un quartiere disagiato della periferia torinese, ma lavora in un fast food poco lontano, dove subisce le vessazioni dell’odioso principale. È fidanzata con L’Angelo, un ladro d’auto che risparmia per comprarsi la Jaguar e non disdegna le scappatelle. Una sera, costretta a fuggire perché ha aggredito il datore di lavoro, Amanda trova rifugio da Martino mentre L’Angelo cerca di tenere a bada la polizia. L’incontro tra Martino, Amanda e L’Angelo avrà conseguenze imprevedibili, perché i tre diventano i vertici di un triangolo che descrive il perimetro di un mondo a parte, distante dalle brutture di quello reale. In questo recinto del sogno è il cinema che detta le regole, intervenendo nel reale, imbevendo di sé storia, personaggi, atmosfere, situazioni, in una continua oscillazione tra il reale e il surreale. La vita imita il cinema: Martino adora Chaplin e Buster Keaton, e vi si identifica a tal punto da voler vivere come in uno dei loro film. Anche il triangolo sentimentale che si crea tra i tre è esplicitamente paragonato a quello di Jules e Jim di Truffaut, mentre l’intreccio tra amore e cinema ricorda per certi versi il più recente Dreamers di Bertolucci. Dopo mezzanotte è la prova che per fare buon cinema non servono necessariamente soldi e divi ma sono sufficienti talento, idee e qualcosa da dire. Tre cose che Davide Ferrario dimostra non solo di possedere, ma anche di saper utilizzare molto bene. Non siamo certo di fronte a un capolavoro e, anche considerando il basso costo della produzione, nemmeno a un film privo di difetti. Primo fra tutti la sensazione che a volte tutto si riduca a un’esercitazione di stile, con la troppo prevedibile ambientazione nel museo così smaccatamente funzionale alla storia, e i personaggi che mettono in mostra qualche ingenuità, più per carenze di scrittura che per demerito dei bravissimi attori. Ma a parte questo, è un piccolo gioiellino di originalità e freschezza, una vitale boccata d’ossigeno nel panorama sempre più asfittico del cinema italiano. Regia di Davide Ferrario; con Giorgio Pasotti, Fabio Troiano, Francesca Picozza, Francesca Inaudi.

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