Dopo la rivolta si rischia il caos

Senza un programma di governo, l’opposizione non ha futuro. Anticipiamo stralci dell'intervista all’islamologo Giuseppe Scattolin
Manifestazioni in Egitto

«Il mondo arabo islamico ha un progetto religioso e culturale antico di quattordici secoli e la tradizione democratica occidentale non può essere imposta di colpo». Giuseppe Scattolin, missionario comboniano, non abbandona mai questa convinzione durante tutta l’intervista. Islamologo, attento osservatore delle vicende del Medio Oriente, docente di mistica islamica e autore di numerosi libri sull’Islam, è profondo conoscitore della quotidianità mediorientale avendo trascorso tra Libano, Sudan e Egitto ben trent’anni della sua vita.

 

Si aspettava una mobilitazione e una partecipazione così corale del popolo egiziano?

«Che la tensione ci fosse e che la gente comune esprimesse disappunto e contrarietà al regime era palese da tempo. Il sistema di corruzione che governa il Paese pesava e con la crisi economica di questi ultimi due anni, tutto si è accentuato. Il carattere dell’egiziano è mite, è un uomo capace di sopportare, ci si affida alla battuta, alle barzellette, di fronte alle situazioni più difficili. Ma ora si è arrivati ad un punto di rottura. Gli egiziani vivono al limite della povertà e sono ben consapevoli che le ultime elezioni non erano proprio corrette. Certamente l’esperienza della Tunisia ha spinto l’opposizione a scendere in campo, in modo fondamentalmente pacifico anche se ora si sta evolvendo in modo drammatico».

 

Forse è questo il momento della riforma, di una sorta di caduta del muro di Berlino nel mondo arabo…

«È un paragone sempre troppo azzardato. Il discorso dovrebbe andare molto più a fondo. Il comunismo era un’ideologia se vogliamo superficiale, a confronto con civiltà,come quella del mondo arabo islamico che ha vissuto 14 secoli secondo un certo progetto religioso e culturale che ha abbracciato realtà vaste. Non può esserci un parallelo con il marxismo: questo rispondeva ad istanze della società europea e non creava un progetto totale di vita, come è invece il progetto religioso del mondo arabo. La modernità europea con il suo momento illuministico, la critica scientifica ha visto affermarsi i diritti della persona, l’individuo contro le strutture. Il mondo arabo punta invece a una tradizione comune dove un grande valore è la comunità non il singolo. Le categorie sono diverse».

 

Ma allora cosa si prospetta dopo le mobilitazioni?

«Basta guardare alla Tunisia, che si trova già nell’empasse, perché questi movimenti hanno preso il potere, ma non sanno come gestirlo. Ci sono elementi troppo diversi: dai fondamentalisti islamici a certe correnti liberali, ed è molto difficile che vadano d’accordo. I nostri intellettuali non capiscono che ci sono problemi culturali del mondo arabo-islamico legati al fatto di non aver assimilato la modernità. Gli scontri che in Europa hanno portato a maturare una ragione critica e i diritti della persona umana sono letti come portatori di crisi dentro altre culture, dove – ribadisco – c’è una concezione comunitaria della vita e quindi l’individuo è in funzione della comunità».

 

Una comunità che si è scoperta molto legata anche nel web…

«I media hanno inciso molto sull’informazione, ma non sulla formazione. Facebook, la rete, hanno creato la possibilità di unirsi insieme per le manifestazioni, ma se cerchiamo le idee, dove sono? Non ci sono programmi concreti di governo. Ad esempio El Baradei. Non si può fare una rivoluzione senza dire: vogliamo elezioni libere e controllate dagli organismi internazionali, vogliamo introdurre un sistema di democrazia e di libertà. Certo, se avesse stilato un programma troppo liberale, i Fratelli musulmani non si sarebbero alleati con lui: quindi siamo allo stallo. Mandare via il presidente non è un programma e non mi sembra ci siano stati incontri tra le diverse espressioni dell’opposizione. Speriamo che non succeda come con Saddam, perché buttato giù lui c’è stato il caos e ora molto probabilmente a Baghdad tanti rimpiangono l’ordine da lui tenuto».

 

Ha parlato dei Fratelli musulmani. Che ruolo giocheranno nel futuro dell’Egitto?

«I Fratelli musulmani tra i gruppi dell’opposizione sono i più organizzati. Sono presenti a più livelli in vari settori della società e in questi ultimi anni, poi, hanno abbandonato l’opposizione armata e si sono inseriti dal punto di vista sociale in tanti settori. Hanno smesso di voler essere considerati un gruppo di potere e hanno lavorato ad una riforma sociale in cui fossero eliminati abusi, scandali, corruzione e si sono dedicati all’assistenza diretta alle persone, assumendo in tal modo un volto più accettabile. Non è escluso che possano prendere in mano le redini dell’opposizione e questo porterebbe a rischi sicuri, istituendo un ideologismo religioso di tipo per così dire iraniano. El Baradei è indubbiamente più moderato, ma non ha un programma di governo. Era molto stimato come capo della commissione per l’energia nucleare, ma la sua figura in campo politico crea maggiori divisioni. Fra l’altro alle scorse elezioni si era già candidato e inspiegabilmente si era pure ritirato».

 

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