Dopo la fiducia al governo, fibrillazioni e urgenze
I numeri. Larga maggioranza sia alla Camera (+ 300 voti) che al Senato (+150 voti). Il governo Letta incassa la doppia fiducia e può iniziare il suo cammino in pienezza di poteri. Tutto in salita, nonostante i numeri.
Le prime fibrillazioni. Appena insediato il governo deve subito fare i conti con il primo problema. Il ministro Dario Franceschini interviene sull’Imu: «Non possiamo creare problemi di cassa per i Comuni (che hanno già predisposto e magari già approvato i propri bilanci di previsione, ndr)». Annunciando che il primo provvedimento del governo sarà l’approvazione del Def (Documento di economia e finanza), afferma che si «dovrà anche tener conto del problema di evitare il previsto aumento dell’Iva». Gli fa eco il ministro Graziano Delrio che – da sindaco uscente di Reggio Emilia e presidente dell’Anci (associazione nazionale comuni italiani) – si fa interprete delle ambasce delle amministrazioni locali, che stanno tenendo conto delle entrate dell’Imu, affermando: «Intanto sospendiamo la rata di giugno, poi rivediamo la materia rendendo più leggero il carico per i meno abbienti».
Repentina e lapidaria la reazione di Silvio Berlusconi: «Togliere l’Imu o ce ne andiamo. Abbiamo preso un impegno con gli elettori e vogliamo mantenerlo».
Sull’argomento interviene poi lo stesso premier Enrico Letta: «Vale quello che ho detto in Aula», afferma, e precisa: «va superato l'attuale sistema di tassazione sulla prima casa, con uno stop alla scadenza di giugno per avere il tempo di elaborare insieme una riforma complessiva».
E dalla Commissione europea giunge un segnale d’allarme: «Abbiamo preso atto della dichiarazione di Letta sull'Imu. È presto per commentare, abbiamo bisogno di vedere i dettagli delle misure che verranno prese», spiegano avvertendo comunque che «gli obiettivi di bilancio per l'Italia non cambiano e il nuovo governo dovrà dire come intende rispettarli senza un nuovo indebitamento».
Durerà questo governo? E per quanto tempo? I dubbi sono leciti, ha scritto Iole Mucciconi nella sua lucida analisi su questo sito. E li esprime anche la stampa estera, considerato che, ad esempio, per il Financial Times «è poco probabile che questo governo duri a lungo».
Dipende da quanti passi indietro sia il Pdl che il Pd sono disposti a fare, se entrambi credono davvero in una fase eccezionale di pacificazione ed hanno a cuore le sorti del Paese.
Che senso ha condizionare la fiducia al governo, ad esempio, assegnando priorità assoluta al tema dell’Imu (abolizione dell’imposta sulla prima casa e restituzione di quella versata nel 2012), solo perché in campagna elettorale – come viene ricordato dal Partito delle libertà – Berlusconi aveva assunto questo impegno con gli elettori?
È solo una provocazione. Perché, specularmente, si potrebbe a buon diritto rivendicare – anche da parte del Partito democratico – quanto promesso agli elettori in campagna elettorale: una legge sul conflitto di interessi, una revisione della legge anticorruzione (con la previsione di norme più stringenti in materia di incandidabilità/ineleggibilità), di quella sul falso in bilancio e di quella sulle norme inerenti la prescrizione dei reati.
La campagna elettorale è dietro le spalle (è andata come è andata, senza vincitori in grado di governare e senza vinti da costringere all’angolo). Gli impegni assunti con l’elettorato, dall’una e dall’altra parte, avrebbero avuto un senso solo nella circostanza che l’una avesse potuto governare con l’altra relegata all’opposizione. Non certamente nel caso di un governo di coalizione in cui entrambi stanno al governo, in uno stato di necessità, dopo aver preso atto che non sussistevano alternative. Adesso il conflitto va azzerato: bisogna farsene una ragione.
Nelle diverse agende non tutto è incompatibile. All’interno degli 8 punti del programma annunciato da Bersani, degli altrettanti presentati da Berlusconi e persino dei 20 indicati da Grillo, non vi sono solo temi divergenti o contrapposti. È possibile, al contrario, individuare alcuni punti condivisi, che possono costituire delle priorità di azione per il governo Letta, come peraltro esplicitato dal discorso programmatico che il premier ha rivolto alle Camere.
Solo per esemplificare: tutti invocano misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro e chiedono norme di sostegno alle imprese; tutti parlano della opportunità di rendere meno gravosa e socialmente più equa la tassazione sulla prima casa; tutti della necessità di rivedere i poteri di Equitalia (con la non pignorabilità della prima casa).
E non c’è chi non chieda una riforma della vita politica e dei partiti: dalla revisione (abolizione/riduzione) del finanziamento pubblico ai partiti alla riduzione del numero dei parlamentari; dal superamento del sistema bicamerale all’abolizione delle province. Tutti lo vogliono. Certo, con una differente articolazione di visioni. Ma è proprio questo il compito istituzionale del Parlamento: portare a sintesi, ricercando il massimo possibile di mediazione e di convergenza, e tenendo conto delle compatibilità finanziarie.
Se si continua ad irrigidirsi, da una parte e dall’altra, solo sui temi intorno ai quali le posizioni sono divergenti, in tutto od in parte, il governo non andrà lontano.
In politica, il bene comune si propone come “il massimo bene umano possibile” (come lo definiva Felice Balbo) oppure come la “scommessa sul probabile” (secondo Amartya Sen). Da nessuna parte si legge che sia l’arroccamento su posizioni di parte.
Ai tavoli europei. La partita, non occorre ricordarlo, si gioca anche in Europa. E occorre un governo forte, che porti con sé il mandato di un Parlamento coeso, per far valere autorevolmente a quei tavoli le nostre ragioni. Già oggi Letta sarà in Germania per incontrare la Merkel, e nei prossimi giorni si porterà a Parigi e poi a Bruxelles, per colloqui con Hollande e Barroso.
Il nostro Paese ha adottato straordinarie misure di rigore, portando a termine un risanamento strutturale di enorme portata, a costo di immani sacrifici, la cui efficacia è stata riconosciuta, pubblicamente, dalle istituzioni europee. Ma adesso occorre che anche Bruxelles faccia la sua parte. Sia la Francia (prima) che la Spagna (poi) hanno chiesto ed ottenuto dilazioni per mettere in ordine i propri conti. Occorre che anche il nostro Paese chieda con forza (ed ottenga) analoghe misure di flessibilità, tenuto conto dei constatati effetti recessivi delle politiche di riequilibrio troppo accelerate adottate dal nostro Paese, che costituiscono un freno alla crescita.
(Nella foto, in ordine da sinistra, Angelino Alfano, Dario Franceschini ed Enrico Letta)