Dopo gli attacchi di Israele a Gaza e in Libano, in aumento l’antisemitismo nel mondo
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo governo “approfittano” delle elezioni statunitensi (puntando sul favore del presidente Usa neo-rieletto) per silurare il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, e per continuare la guerra. La Lega Araba (22 Stati del Medioriente-Nordafrica) e l’Organizzazione per la cooperazione islamica (che rappresenta una sessantina di Stati del mondo), nella riunione congiunta dell’11 novembre 2024 a Riad, in Arabia Saudita, condannano il “genocidio” (è questo il termine adottato) israeliano nella Striscia di Gaza e gli attacchi all’Onu, chiedono la costituzione di uno Stato palestinese che comprenda Gerusalemme Est e rinnovano la richiesta alla comunità internazionale di interrompere l’invio di armi allo Stato ebraico.
Da parte delle istituzioni del mondo arabo c’è una presa di posizione più dura rispetto al recente passato, e l’ostilità delle popolazioni arabe continua a rimanere forte. In Occidente, l’isolamento di Israele si rafforza nella percezione della gente. Detto in altri termini: l’antisemitismo mai scomparso riprende vigore e si allarga. Il problema è che se fino al 7 ottobre 2023 l’antisemitismo (e/o l’antisionismo) era da molti in Occidente considerato una forma di razzismo, da un anno essere antisemita sta diventando quasi una virtù, che va perfino oltre pregiudizi, ideologie e fedi.
Dopo le stragi di Gaza, la distruzione meticolosa del territorio e l’ostinato rifiuto di fornire aiuti umanitari ai civili palestinesi, qualsiasi cosa sostengano i post-sionisti del governo israeliano insistendo sull’orrore scatenato da Hamas il 7 ottobre 2023, una sorta di “indignato antisemitismo” sta contagiando svariati miliardi di persone in tutto il pianeta, ben al di là del mondo islamico, isolando sempre più Israele. E non si salvano dalla condanna morale neppure quegli israeliani che danno vita alla protesta anti-governativa in favore della liberazione degli ostaggi. Questo per quanto riguarda la gente, per i governi (in particolare per quello statunitense, sebbene in fase di transizione) il discorso è in molti casi meno viscerale e più tendente all’opportunismo degli schieramenti.
Ma cosa è successo, in sintesi, con l’ormai ex ministro Gallant e che significato ha questa epurazione? Lo dice lo stesso Gallant: «Sono stato licenziato per tre motivi: Israele deve accettare un accordo per la liberazione degli ostaggi anche lasciando Hamas a Gaza; l’aver chiesto che tutti debbano prestare servizio nell’Idf [Esercito israeliano] e difendere Israele (compresi gli ortodossi); l’aver chiesto un’indagine governativa sul 7 ottobre». Ed ha aggiunto: «È possibile restituire gli ostaggi, ma ciò implica dei compromessi. Lo stato di Israele può fare quei compromessi».
Se a queste tre motivazioni, aggiungiamo lo scontro precedente fra Gallant e Netanyahu sulla riforma giudiziaria (per subordinare la Corte Suprema all’Esecutivo), si comprende meglio perchè Gallant sia stato licenziato: per dissensi sui punti chiave che ingessano l’architettura ideologica dell’attuale maggioranza di governo, formato dal Likud (il partito del premier ma anche di Gallant), dai due partiti dell’estrema destra Otzma Yehudit (Potere ebraico) e Tkuma (Partito Sionista Religioso), e il variegato mondo dei piccoli partiti ultraortodossi (Ebraismo della Torah Unito, Shas, ed altri).
In sostanza, Gallant afferma che il governo israeliano:
– non intende trattare con Hamas neppure per liberare gli ostaggi, perchè trattare equivale a concedere spazi anche in futuro;
– vuole ripristinare l’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle yeshivot (istituzioni accademiche rabbiniche) ultraortodosse contro la sentenza della Corte Suprema che li obbliga, come tutti, alla leva militare;
– non intende avviare nessuna indagine sulle proprie responsabilità per la carente vigilanza, il 7 ottobre 2023, alle postazioni di confine fra la Striscia di Gaza e i territori israeliani circostanti.
Intanto ha preso il posto di Gallant come ministro della Difesa, Yisrael Katz. Da sempre nel Likud, Katz non è un militare di carriera come Gallant, sembra piuttosto un politico in carriera: è stato ministro dell’Agricoltura, dei Trasporti, dell’Intelligence, dell’Energia, delle Finanze e due volte degli Esteri prima di approdare alla Difesa. La sua prima dichiarazione dopo la nomina è stata decisamente “conforme” alla linea del governo: “Lavoreremo insieme per far progredire l’apparato di difesa verso la vittoria contro i nostri nemici e per raggiungere gli obiettivi della guerra: il ritorno di tutti gli ostaggi come missione più importante, la distruzione di Hamas a Gaza, la sconfitta di Hezbollah in Libano, la limitazione dell’aggressione iraniana e il ritorno sicuro dei residenti del nord e del sud alle loro case”. Non una parola sui sempre più numerosi coloni della Cisgiordania sempre più occupata. Insomma: niente di nuovo sul fronte della pace.
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