Dopo di noi

Che ne sarà delle persone disabili quando i loro genitori saranno troppo anziani o non ci saranno più? Resteranno drammaticamente sole, saranno assistite da una rete di servizi o potranno usufruire di strutture adeguate dove continuare con serenità la loro esistenza? Questi ed altri interrogativi affliggono i genitori e i famigliari di coloro che sono diversamente abili per danni fisici o psichici o per situazioni di handicap. Da un po’ di tempo si comincia a parlare del dopo di noi, cioè di quanto la società può e deve fare per venire incontro a questo particolare e grave problema. Una statistica Istat sulle condizioni di salute con riferimento agli anni 1999-2000 indica che la famiglia rimane per il 74 per cento il perno fondamentale del disabile. Inoltre gli anziani di 65 anni e oltre non autosufficienti rappresentano il 67 per cento dei disabili presenti in Italia. A queste persone va un’attenzione che finora è stata troppo scarsa, sia per la ritrosia dei familiari ad affrontare il problema, sia per le carenze di una società che tende a rimuovere nel tempo la soluzione dei casi più difficili e complessi. Il Piano nazionale sociale 2001- 2003 prende per la prima volta in considerazione le problematiche del dopo di noi, con riferimento al tempo in cui la famiglia non è più in grado di assistere il disabile, suggerendo la promozione di famiglie- comunità o misure di sostegno ad una vita più autonoma della persona con handicap (dai mezzi di trasporto ai servizi per il tempo libero), oppure ancora sostegno domiciliare temporaneo o residenze di emergenza. Alcune regioni, come la Lombardia, si sono mosse più decisamente o prima di altre, introducendo residenze assistenziali, centri diurni semiresidenziali, comunità socio-sanitarie residenziali, cooperative di inserimento lavorativo e altro ancora. Concretamente come affrontano le famiglie questo momento delicato del loro rapporto con i figli meno abili? Come li preparano e si preparano al distacco? Un approfondito studio condotto nel 2004 dal Centro internazionale studi famiglia e dalla Fondazione Cariplo è partito da una serie di interviste a otto famiglie che hanno questo problema e a numerosi operatori sociali che stanno cercando di risolverlo. Ne emerge un quadro piuttosto preoccupante, che evidenzia modalità di approccio molto diverse alla problematica: Non veniamo informati da nessuno; Lei cresce, io invecchio, i problemi aumentano, anche per me è un fatto di salute … Ancor più esplicitamente, alla domanda Qual è la cosa che più avrebbe bisogno dai servizi?, la risposta è: La capacità di essere ascoltato e soprattutto la capacità di avere delle risposte. La prima richiesta delle famiglie è quella di avere interventi di sollievo, di dare al disabile una prospettiva di socializzazione; ma spesso le soluzioni costano e le famiglie rinunziano: Ci hanno chiesto da 80 a 130 euro al giorno per portare nostro figlio al mare, a seconda delle associazioni, e noi non li avevamo; Si basano sempre sul fatto che ti danno l’assegno di accompagnamento e noi con quei 400 euro per qualsiasi cosa ci gestiamo ; Il medico di base, quello all’antica – dice un familiare – lui sì che è stato un gran punto di riferimento . Una famiglia dice che per avere informazioni sui propri diritti si rivolge al commercialista. Quando ci si accorge di essere lasciati soli spesso ci si rivolge alle associazioni, ma anche in questo caso il dopo di noi resta un problema difficile da affrontare: Nessuno fa venir fuori il problema; Non è facile potersi unire per trovare una soluzione. Non tutto è negativo, qualche associazione comincia a costituirsi proprio con questo scopo: è il caso di Oltre noi la vita, o dell’associazione Vai, entrambe in Lombardia; altre già esistenti da tempo, come La nostra famiglia, aggiungono questa problematica apparentemente nuova o emergente alle altre di cui si occupano con maggiore esperienza e da più tempo. Le famiglie tendono comunque a resistere fino a quando ce la fanno: La differenza rispetto a prima sono i disturbi che prima non avevo… ; Quando non ce la faremo più dovremo pensare di metterlo in un istituto o altrimenti dovremo metterci una persona in casa che stia qui 24 ore su 24 con noi per poterci aiutare a gestirlo; Quando non ci saremo più… qualcun altro farà al nostro posto. Manca una strategia, un accompagnamento della famiglia ad un percorso di distacco. Subentrano anche problematiche finanziarie, ereditarie, nel caso in cui i figli non siano in grado di gestire un patrimonio o di avere capacità amministrativa. In Inghilterra esiste la legge del Trust: una persona affida a un’altra persona, che si prenderà cura del congiunto disabile, beni per sostenere l’attività che vuole sia fatta per l’altro. Da noi si è ancora lontani, si parla per ora di un amministratore di sostegno al disabile. Si cominciano a costruire comunità alloggio, che spesso trovano il favore dei destinatari. Si provano ad attuare esperienze di ospitalità, di pernottamento temporaneo all’esterno della famiglia, arricchendo le relazioni e le conoscenze. Qualcuno pensa a soluzioni che non dividano il nucleo familiare. Il percorso che i genitori più attenti stanno facendo assieme alle associazioni è quello del durante noi; non basta pensare al dopo, dobbiamo costruirlo adesso: Ho capito che è meglio che ci occupiamo del durante noi, che qualcuno ci aiuti adesso. L’ideale, secondo gli operatori intervistati, sarebbe intervenire il prima possibile, promuovendo le potenzialità residue della persona disabile; ma, avvertono, la rete dei servizi è ancora insufficiente e spesso poco conosciuta dagli interessati. La legge impone oggi progetti individuali per ogni utente e il progetto va costruito con la famiglia. Ci sono esempi di soluzioni che stanno avendo il favore delle famiglie: Per esempio una cooperativa sociale che è riuscita ad avere un appartamento, l’ha ristrutturato e vi ha messo cinque ragazzi. La Fondazione Idea vita, sorta da un gruppo di famiglie, ha avviato due progetti abitativi assieme ad altre associazioni e cooperative operanti in Lombardia: è già pronta una residenza per cinque ospiti disabili che affrontano la loro vita rispettando le abitudini e i gusti che avevano: È un dopo di noi presentato durante noi…, dicono i responsabili. Anche la cooperativa Geode ha acquisito un’antica cascina, chiamata Poglianasca, ad Arluno ed accoglie utenti ad alto bisogno di assistenza, solitamente posttraumatici; alcuni ospiti a settembre vanno al mare a Sharm-El- Sheik, dove la organizzazione ha una casa. Siamo aperti al territorio – dicono gli organizzatori – organizziamo manifestazioni, balli e concerti aperti ai cittadini. A Cuasso al Monte, in provincia di Varese, la comunità Il sorriso offre alloggio e momenti di socializzazione e tempo libero ai disabili della zona, favorendo il raggiungimento di un’autonomia personale e facendosi carico dei problemi di invecchiamento degli ospiti. La creazione di possibilità residenziali integrate al territorio, accanto alla rete dei servizi, e l’accompagnamento del nucleo familiare del disabile ad affrontare per tempo il dopo di noi sono alla base delle sperimentazioni in atto. L’informazione sulle opportunità offerte è fondamentale per le famiglie, per i servizi sociali e per le stesse comunità; coinvolgere la famiglia anche nel durante è una necessità; garantirle i servizi adeguati a risolvere i problemi è un vero e proprio diritto del disabile adulto. ADESSO CON NOI L’esperienza di una coppia, tra i fondatori dell’Abc (Ass. bambini cerebrolesi), che dice quanto la famiglia sia indispensabile nell’accoglienza dei bambini disabili. Il caso ha voluto che, prima del convegno, interagissimo con l’amico Francesco Belletti, direttore del Cisf, in una riflessione sui temi dell’importantissimo convegno lombardo sul dopo di noi. È vero: il dopo di noi per chi ha figli con disabilità, è di grande importanza, ma non si risolve la questione del dopo se non si inizia ora, subito, adesso con noi. I dati riportati sono significativi ma, ricordiamo, l’Istat non è ancora in grado di selezionare e mostrare la vivacità delle famiglie nella loro capacità di modellare nuove soluzioni. Ci piace sottolineare gli aspetti più innovativi del convegno, che non si limitava a render conto di un problema ma intendeva darne una visione dove le famiglie non sono solo le portatrici dei bisogni e gli esperti quelli che li risolvono. Se fosse così sarebbe sminuito il valore della famiglia in sè, disabile o meno, e non rappresenterebbe l’attualità delle famiglie italiane, che vogliono sempre più partecipare ai meccanismi di decisione che li riguardano, co-progettando e relazionandosi tra loro e con le istituzioni pubbliche e private. La realtà attuale delle famiglie italiane rimane dura e difficile. Molte esperienze sono veramente drammatiche, ma spesso con risvolti propositivi interessanti. Il più importante è che anche le famiglie, in particolare delle persone con disabilità che non possono rappresentarsi da sole, i cosiddetti gravi e gravissimi, dicono con determinazione: Nulla per noi senza di noi. La richiesta di sostegno quindi abbinata alla partecipazione degli interventi sociali che ci riguardano. Una richiesta di cittadinanza attiva che arriva da coloro che sono addirittura in situazioni più estreme. Molte esperienze possono leggersi nei nostri siti (www.abcsardegna.org e www.associazioneabc.it). Le decisioni politiche che danno risorse per l’adesso con noi e rendono possibile la partecipazione delle famiglie vedono la Lombardia attualmente in ritardo. Il Trentino, il Veneto e la Sardegna hanno meglio disciplinato la materia e stanziano di più con fondi propri in risorse monetarie pro-capite. Ma c’è un altro rischio forte da evitare: ricadere nel solito luogo comune che famiglia e disabilità sia un binomio dalla vita impossibile. In realtà non è il carico di difficoltà, pur gravoso, ad essere insostenibile, ma la mancanza di sostegno. Se si incomincia a insinuare che la famiglia non ce la può fare, si delegittimano tutte le famiglie e il loro ruolo come soggetto sociale. Qualunque ricerca scientifica può essere indotta a dimostrare che la famiglia è inadeguata al carico della convivenza con figli disabili, e che quindi è meglio comunque iniziare e condurre a termine un processo di separazione. I nostri studi dicono esattamente il contrario e legittimano sempre la famiglia come soggetto. La sostituzione della famiglia può essere necessaria solo in caso di violenze o di condizioni particolari, come per tutte le altre famiglie. Per questo il dopo di noi dev’essere l’adesso con noi, cioè il sostegno deve iniziare adesso, non che da adesso bisogna iniziare la separazione… E attenzione anche a parlare di senso di colpa, da cui guarire la famiglia indotta a separarsi dal figlio disabile. Il senso di colpa della separazione deve essere sociale, non privato, perché è la mancanza di sostegno da parte della collettività che provoca la separazione… Le famiglie (e gli esperti) sanno bene che quando, senza sostegno, sono costrette a separarsi dai propri figli con grave disabilità, questi spesso in pochi mesi muoiono. Non ritorniamo agli errori del passato, quando si focalizzava e ingigantiva il problema, oscurando le esperienze positive e la buona prassi. Infine, anche se sembrerebbe impossibile, vediamo sempre più il dolore, il disagio più incomprensibile trasformato in risorsa per migliorare tutta la comunità. Per questo aumentare la qualità di vita delle persone più vulnerabili e delle loro famiglie aumenta la qualità di vita di tutti.

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